Venerdì, 21 Settembre 2018 00:00

La scienza e le razze nella storia

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Le Leggi Razziali fasciste furono “supportate” da alcuni scienziati e da teorie antropologiche. Cosa pensa oggi la scienza delle razze umane?
Partiamo subito mettendo una pietra tombale su qualsiasi possibile polemica possa generare questo articolo: non esistono evidenze scientifiche sulla presenza di razze umane, né tantomeno la superiorità di una su un altra.

Eppure il razzismo e la sensazione di diversità razziale è un qualcosa che ha accompagnato per molti secoli la storia dell’uomo, spesso sfruttando teorie di scienziati più o meno famosi. Può sembrare un paradosso, ma i secoli in cui molti uomini di scienza si sono avvicinati allo studio della diversità umana sono gli stessi in cui sono avvenute le grandi rivoluzioni dell’uguaglianza umana (quella americana e quella francese).

Si, era il XVIII secolo e, spinti dal contatto con popoli molto diversi (eravamo all’apice del colonialismo europeo), gli scienziati del Vecchio Continente iniziarono a fare quello che impone il metodo scientifico: osservare, ipotizzare, verificare. Osservarono che esistevano uomini dalla pelle più scura o con forme del corpo diverse (naso, occhi, bocca), ipotizzarono che si potesse dividere e classificare l’uomo in razze e cercarono di verificare tutto ciò. Inoltre i popoli con cui si entrava in contatto erano profondamente diversi anche dal punto di vista religioso, culturale e sociale, così vennero subito dipinti come inferiori oltre che come diversi.

Per rendere l’idea di come funzionava la faccenda: Carolus Linneaus fu il primo a categorizzare gli uomini in base alla razza e alla loro localizzazione geografica, poi Petrus Camper individuò negli antichi greci la perfezione umana e indicizzò le razze in base a quanto esse fossero (meglio dire sembrassero) vicine ad essi, Johann Friedrich Blumenbach (1795) coniò il termine caucasico per descrivere i popoli bianchi europei e, logicamente, assegnar loro il primato di perfezione e infine Samuel George Morton (fine ‘800) teorizzò la craniologia, teoria per cui più grande è il cervello più la razza è superiore. E, strano a dirsi, i suoi dati "dimostrarono" come fosse la razza bianca quella dominante!1

È del tutto evidente che la scienza di quel periodo fosse imperniata sull’uomo bianco e che sia stata la legittimazione del razzismo per tutti i secoli successivi. Inutile anche sottolineare come la Dichiarazione d’Indipendenza degli USA (1776) parli di uguaglianza considerando solo i bianchi e non pensi nemmeno ai neri, segregati e discriminati praticamente tutt’oggi, o ai pellerossa, successivamente trucidati durante la conquista del West.

Le discriminazioni hanno sempre bisogno di una duplice matrice in cui crescere: un fattore emotivo-irrazionale e uno razionale-metodologico; il primo è il motore che dentro di noi spinge per vedere nel diverso un pericolo, una minaccia, mentre il secondo (molto più pericoloso) è ciò che ci permette di darci una giustificazione comune e di trovare la spiegazione al nostro istinto. Questo avveniva con i popoli colonizzati nel ‘500-‘600, con i neri ridotti in schiavitù in America, con gli ebrei durante il nazifascismo europeo e con i migranti ai nostri giorni. Nasce un odio irrazionale e poi si trova una copertura razionale che ci permette di dormire tranquilli.

La stessa cosa successe con le Leggi Razziali fasciste del 1938: poco prima della loro promulgazione, su forte pressione di Mussolini, una schiera di professori universitari di tutta Italia firmò Il Manifesto degli Scienziati Razzisti2. Tale documento dette al governo fascista ulteriore libertà di agire in nome di un bene superiore stabilito e certificato dal mondo accademico. Non che il fascismo avesse bisogno di ciò per mostrarsi razzista, ma la certificazione accademica fu la dimostrazione di come il razzismo e la discriminazione non fossero una scelta politica, ma una necessità scientificamente dimostrata.

Inutile dire che i primi a beneficiare delle purghe furono i firmatari del manifesto, che scalarono rapidamente i gradini della carriera accademica, mentre le prime vittime furono quegli scienziati antifascisti, ebrei o semplicemente con la schiena dritta che si videro rimossi dalle loro cattedre (uno su tutti Enrico Fermi che avrebbe ricevuto il Nobel per Fisica proprio nel 1938, già fuggito negli USA).

Oggi, fortunatamente, il mondo scientifico tutto è unanime sul fatto che la razza sia un costrutto sociale privo di qualsivoglia contenuto scientifico, anche se il danno fatto in due secoli di studio sul concetto razziale sarà lungo da rimarginare. Quello che, al contrario, andrebbe capito è come ogni uomo sia diverso da qualsiasi altro: più simile a qualcuno, più lontano da altri. Nell’era della genetica e del sequenziamento del DNA possiamo sapere esattamente quanto siamo simili tra noi, con il nostro cane o addirittura con un corallo del mare del Sud.

Quindi, per concludere, dovremmo pensare più al concetto di diversità che a quello di razza, più a come valorizzare queste differenze piuttosto che inveire contro il nero, il giallo o il rosso. Dovremmo, per citare Bob Marley, dare al colore della pelle la stessa importanza che diamo al colore degli occhi. Scientificamente oggi sappiamo che è così. Saremo capaci di farlo anche umanamente?


1 https://www.facinghistory.org/holocaust-and-human-behavior/chapter-2/science-race

2 http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-manifesto-degli-scienziati-razzisti-l%E2%80%99alibi-della-scienza-per-le-leggi-razziali/

Immagine ripresa liberamente da wikimedia.org

Ultima modifica il Giovedì, 20 Settembre 2018 17:05
Samuele Staderini

Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull'Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!

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