La proposta o l’idea (ripresa dall’ipotesi dell’archeologo Daniele Manacorda) è apparsa su diversi canali d’informazioni, con un grande seguito di tam-tam mediatico. Nella fattispecie, l’attuale ministro del Ministero per i beni e l’attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha rilanciato a gran voce su twitter la supposizione illuminante di ricollocare all’interno del grande e antico Anfiteatro Flavio l’arena famosa duemila anni fa per le venationes (i famosi combattimenti con le belve feroci) e i combattimenti gladiatorei. Ricoprire quindi i vani oggi “scoperchiati” e in passato appunto nascosti dalla sabbia, per ricreare un antico “paesaggio”.
Il lancio della proposta virtuale seguiva canoni ben precisi “restituire al Colosseo la sua Arena”.
Personalmente non penso che operazioni per così dire di anastilosi anche solo concettuale siano sempre deleterie e mai funzionali. Sfogliando una rassegna di casi, è possibile affermare che alcune volte se la risposta scientifica e legata all’interesse turistico, la riuscita di tali operazioni non è affatto deprecabile. In Germania ad esempio, dove sicuramente non è presente la ricchezza di evidenze storico-archeologiche si è ben pensato, tramite l’utilizzo dell’attuale e funzionale archeologia sperimentale, di realizzare sul Lago di Costanza un parco archeologico in gran parte ricostruito (palafitte e capanne) il quale comunque rimane assolutamente funzionale per l’interesse turistico e scientifico.
In Italia con edifici in situ, intere insule posizionate in loco da duemila anni, templi e necropoli, le uniche proposte che riguardano il nostro patrimonio sono prettamente di stampo speculativo rispetto a quello che il bene costituisce in sè.
Lampante è l’esempio del teatro grande di Pompei, durante il commissariamento della Protezione Civile, con la ricostruzione della scalinate della cavea in cemento.
La proposta virtuale s’inserisce perfettamente in queste dinamiche. Restituire l’arena al Colosseo cosa comporterebbe?
Per un ministero senza portafoglio per accezione, sicuramente sarebbe un investimento gravoso, affrontabile solo con aiuti esterni.
Le eventuali risorse messe a disposizione potrebbero essere utilizzate per fermare l’emorragia amministrativa del settore e in ultima analisi per intervenire su diverse situazioni emergenziali presenti in diversi siti italiani.
Come affermato da Salvatore Settis nell’articolo del 2 Novembre per patrimonioSOS - “Pensare ad un rilancio delle strutture di tutela procedendo finalmente a nuove assunzioni di personale altamente qualificato, senza il quale nulla (nemmeno l'arena nel Colosseo) può esser fatto decentemente". Per Settis - "senza nuovi investimenti il destino dei nostri beni culturali è segnato: ogni placebo (come questo progetto) durerà lo spazio di un mattino".
Pensieri e parole assolutamente condivisibili davanti all’evidenza di una situazione grave a livello nazionale.
Trasformare le opere per puro interesse di profitto in capannoni per concerti o eventi non solo rischia poi di essere un danno per le stesse strutture (recente la polemica sul concerto degli Stones al Circo Massimo, notizia poi di poche ore fa la proposta di Pallotta, presidente dell’ AS Roma, il quale parla addirittura partite di calcio all’interno!), ma rischia anche di svilire il valore stesso dei segni del passato. Lo sblocca-Italia in questo senso rischia di essere un’ulteriore mazzata per la tutela del patrimonio culturale. La soluzione unica per uscire dall’empasse e rilanciare veramente i nostri beni storico-artistici e paesaggistici passa da un programma serio e pensato verso una costituzione di reti su canali turistico-scientifici che mettano assieme le eccellenze enogastronomiche unite alla conoscenza e alla promozione (quella vera) dei contesti storico-paesaggistici, il tutto passante per l’impiego sempre più incisivo di professionisti di settore, forse i veri e soli ( ad oggi bistrattati) protagonisti di questo “palcoscenico”.