Due amici (o conoscenti) si incontrano.
Lui (Bob) ha una gamba ferita, lei (Sarah) lo interroga su cosa sia successo. La spiegazione ha del surreale. Una strega avrebbe maledetto il muretto del giardino precipitato sull’arto del malcapitato. Però è evidente, replica l’amica, che la magia non esiste!
Situazione improbabile? Non vi è capitato allora di ascoltare al fianco del vostro tavolo, in una mensa aziendale, una frase del tipo: «non capisco perché Salvini sarebbe razzista. Io voglio sapere quanti zingari ci sono in Italia, è un diritto». Finireste per sentirvi dare dei radical-chic se chiedeste cosa si intenda con la parola zingari e se persino sia possibile ottenere un numero simile.
Bob infatti sceglie di difendere strenuamente l’esistenza delle malvagie fattucchiere.
Comunque si sa, nei treni ci sono raggruppamenti di quattro posti. Si inserisce quindi una terza voce in questo dialogo filosofico (Zac). Per lui tanto Bob quanto Sarah hanno ragione. Il motivo? Conta il loro punto di vista, quindi hanno ragione “dal loro punto di vista”. Nessun vincitore. Entrambi però reagiscono con fastidio. Se finite per litigare con un intollerante al bar vi accontentereste di una conclusione così “neutrale”? È un punto di arrivo insoddisfacente.
Eppure il relativista di questa storia prova a difendersi in ogni modo.
Le battute si susseguono puntualmente, con qualche ironia e rare citazioni, fino a una sorta di confusione potenzialmente irritante, capace di smuovere l’ultima protagonista del libro (Roxana). Per quest'ultima vale la logica aristotelica, riaffermata da Alfred Tarski nel XX secolo. Si può avere un’opinione sbagliata e non conoscere una verità comunque esistente.
Zac insiste. La presunta corrispondenza tra realtà e valutazione soggettiva ha portato ai maggiori problemi dell’uomo. Eppure siamo ancora qui, risponde Sarah, la nostra specie sa come preservare la propria sopravvivenza, nonostante i molti evidenti errori. Inevitabile, per un lettore che la conosca, pensare alla barzelletta della persona precipitata dal tetto di un palazzo: a ogni piano si ripete ottimista “fino a qui tutto bene”....
L’inquinamento ambientale e la sostenibilità dello sviluppo sul nostro pianeta (anche in termini sociali) non fanno parte del confronto messo in scena.
Il limite più grande di Timothy Williamson, docente di Logica all’Università di Oxford (Io ho ragione e tu hai torto, il Mulino, 2016), è forse quello di limitarsi a un innocuo confronto sul paradosso della stregoneria.
L’esperimento può rivelarsi efficace nel ricordarci quanto siano ridicole le nostre certezze, nella più fortunata tradizione socratica del “sapere di non sapere”. Si fa però ripetitivo e poco pratico nel non svilupparsi in modo del tutto definito su come si possa uscire da un’incapacità al dialogo oggi decisamente più estrema (e diffusa) di anche solo pochi anni fa.
Accendere i riflettori sul metodo e sulla relatività delle categorie usate per maturare delle opinioni può bastare? Solo se di base c’è la volontà di mettersi in discussione, altrimenti si finisce per annaspare.
Forse chiuderete il libro con un po’ di insoddisfazione, ma, in un Paese dove troppi a sinistra sono finiti a esaltare Matteo Salvini, può far bene riscoprire un agile volume su cosa voglia dire confrontarsi, soprattutto tra “simili” (mentre il come ci si possa confrontare con chi non vuole mettersi in discussione attiene più alla politica che alla filosofia…).
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