alla fattoria di famiglia e alla vecchia madre, è tornato il momento di combattere per le sue idee di riscossa sociale: è così che, su esortazione della popolazione e dell’IRA, torna a lottare, propagare le idee rivoluzionarie, reinsediare con la forza i contadini sfrattati dai latifondisti, combattere clero e squadracce. Ma la lotta è impari, e gli avversari sono disposti a tutto pur di impedire che i contadini acquistino finalmente coscienza dei propri diritti e trasformino la loro rabbia in azione organizzata contro preti e padroni. È così che, con la sala da ballo, incendiata vigliaccamente nella notte, vanno in fumo le aspirazioni di Jimmy, che finirà ancora una volta espulso dall’Irlanda e morirà anni dopo a Manhattan, senza mai più rivedere la sua terra.
Un film tutto politico, come da migliore tradizione di Ken Loach. Il regista aveva annunciato che sarebbe stato il suo ultimo film (ora pare che abbia smentito) e l’attesa era grande, non solo tra gli appassionati amanti del suo decennale cinema sociale e rivoluzionario. Attesa che Loach di certo non ha deluso con questo lavoro, una degna prosecuzione di “Il vento che accarezza l’erba”, drammatico ritratto della guerra fratricida che aveva diviso il movimento repubblicano irlandese negli anni venti, capolavoro con cui Loach aveva già affrontato il problema della lotta di classe e dell’indipendentismo in Irlanda. Come “Il vento che accarezza l’erba” anche Jimmy’s Hall si distingue, oltre che per la straordinaria vivacità delle scene e la grande fotografia, per la finezza con cui, nella trama e nell’interpretazione, si intrecciano le vicende personali dei protagonisti e la loro lotta per un mondo più giusto. In Jimmy Gralton combattono l’amore per Oonagh, una donna già sposata che pure non ha mai cessato di ricambiarlo, il desiderio di vivere una vita pacifica e serena accanto alla propria madre e la necessità di osteggiare il potere tirannico dei latifondisti e del clero, di tornare a lottare per i propri diritti, per la giustizia sociale e la costruzione di una società e di un mondo diversi. Jimmy, indeciso tra i pericoli e i sacrifici di una vita consacrata alla rivoluzione e la normalità agognata di una vita tranquilla e riservata. Jimmy, che alla fine decide di tornare a rischiare, a mettersi in gioco nel totale disprezzo della propria vita e della propria serenità, convinto a riprendere l’attività politica dall’insistenza dei ragazzi della contea, per cui la sala rappresenta l’unico svago e l’unico ambiente di arricchimento culturale e politico. Conflitto interiore di cui soffre anche il suo antagonista principale, portavoce del clero reazionario e fanatico, padre Sheridan: da una parte la fedeltà alla chiesa di Roma, alle sue personali convinzioni anticomuniste e conservatrici, dall’altra una profonda ammirazione per l’abnegazione di Jimmy, per il sorriso che quel “maledetto comunista” mette nella lotta ben sapendo che battersi contro clero e fascisti gli può costare tutto, persino la vita.
Anche se, come qualcuno tra la critica ha fatto notare, la complessa profondità dei due personaggi principali si contrappone alla relativa piattezza di altri, spesso a malapena tratteggiati (come il violento squadrista O’Keefe, figura forse un po’ banalizzata nella sua rozzezza e brutalità), non sono certo queste piccole imperfezioni a rovinare Jimmy’s Hall, questo grande film che sa di torba e zolla bruciata, del sudore dei braccianti, di Irlanda, e che parla di danza, di amore, di lotta di classe.