Prevale una freddezza e un’impostazione rigida in contrasto con una regia efficace, ma nervosa. Manca la fluidità, nonostante si riesca a seguire ogni puntata senza noia. Tra i meriti c’è aver preferito non insistere sulla violenza, mentre l’idea che l’uomo contemporaneo viva in uno stato di orgia permanente ha attraversato l’atlantico.
Un controverso prodotto di consumo, immerso in un contesto improprio. L’universalità del linguaggio è probabilmente un’illusione. Riteniamo valido per ogni contesto quello che ci propongono gli statunitensi, anche perché gli stessi, quando trovano un film da apprezzare, lo rifanno, senza perdere troppo tempo nei doppiaggi. Il risultato è una visione edulcorata del potere, dove tutto è nella bocca di pochi protagonisti impegnati a tradirsi a vicenda, con una città succube dell’oscura magia “del palazzo”.
Quello che funziona in Marseille riguarda il merito degli attori e l’immagine della città, oltre ai meccanismi elettorali locali, che permettono un po’ di movimento a un telefilm troppo ingessato.
Ogni approfondimento dei personaggi salta, è come se stessimo assistendo ad una sorta di documentario, con una sceneggiatura impegnata ad aggiungere didascalie ed inventarsi collegamenti tra i diversi filoni.
Alla fine dell’ultima puntata rimane la voglia di pensare alla prossima stagione, se ci sarà, senza sperarci più di tanto.
Agli italiani confidare che l’italiana Suburra (2017), tra i prossimi titoli Netflix, segua le orme di Romanzo Criminale (visto che dietro ad entrambi i titoli ci sarà la Cattleya).
Non un disastro, ci sarà sicuramente modo di rifarsi e correggere il tiro.