Sabato, 29 Marzo 2014 00:00

Metti un giorno la Nato del commercio (TTIP)

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Vai a Bruxelles alla fine della settimana durante la quale la Commissione Europea ha discusso l'accordo del TTIP e resti amareggiata constatando che il disinteresse nei confronti dell'argomento che regna in Italia non è così estraneo oltre le Alpi.

Eppure, il fatto che le discussioni portate avanti dalla Commissione Europea siano segretate e che nella gestione dello scandalo sullo spionaggio da parte dell'NSA sia avvenuta trattenendo al massimo i nervi onde evitare decisioni affrettate e rotture tra le due sponde dell'Atlantico dovrebbero essere dei segnali. E invece no, in Italia quasi nessuno parla del Transatlantic Trade and Investment Partnership, l'accordo che permetterà di creare un'unione doganale tra Europa, Stati Uniti e Canada dando così realizzazione al recondito sogno della “NATO del commercio”.

Siamo stati deliziati in questi giorni dai racconti, dettagliatissimi, della visita del Presidente statunitense Barack Obama ma nessuno dei media nazionali si occupato di informare sulla più grande riforma di questi anni, che comporterà cambiamenti enormi anche nella vita quotidiana.
Il TTIP consiste in un articolato piano di deregolamentazioni che, oltre ad abbassare le barriere doganali, che oramai il libero mercato a ridotto moltissimo, le nuove regole interverranno soprattutto su standard di sicurezza, istruzione, servizi sanitari, cultura. In poche parole, tutto quello che storicamente ha contrassegnato l'Europa. L'abbassamento di questi standard e la completa liberalizzazione comporteranno l'obbligo di adeguarsi al sistema privatistico che possiamo dire, a grandi linee, caratterizzano l'economia statunitense e che dalla fine degli anni Ottanta hanno cominciato ad affermarsi anche in Europa (nota a tutti è l'affinità che si era formata tra Reagan e la Lady di Ferro Thatcher). In particolare, paesi come il nostro che puntano, nelle loro esportazioni, molto sulla qualità dei prodotti subirebbero pesantemente le conseguenze dell'accordo: proviamo a pensare cosa ne sarebbe di tutto l'export della moda nel caso in cui sarebbe possibile produrre senza rispettare gli standard di qualità che ne hanno fatto un settore riconosciuto a livello mondiale.

Ed è proprio al fine di fare una valutazione del genere che, come riporta Monica Di Sisto su Sbilanciamoci!, il Ministero dello Sviluppo Economico ha commissionato a Promotea S.p.A. uno studio di previsione dell'impatto del TTIP sull'economia italiana. Intanto è bene precisare che, se di benefici possiamo parlare, questi non arriverebbero prima del 2018. E, per tornare a parlare di moda, l'Italia subirebbe proprio su questi prodotti un innalzamento delle tariffe sulle esportazioni negli Usa del 9% (in confronto al 2,7% della media di tutti i prodotti). Inoltre, per quanto riguarda gli standard di qualità si verificheranno penalizzazioni quantificabili in un 25%. Ed è così che alcune aziende italiane cominciano già a prendere provvedimenti, formando società statunitensi che permettano loro di usufruire di un trattamento più favorevole (due nomi su tutti, Barilla e Rana).

Mettiamo che, facendo una previsione ottimistica, ci siano, nel lungo termine, delle crescite nell'ambito dell'export. Queste di certo non produrranno un aumento dell'occupazione e del Pil italiano: tra tutti i servizi forniti, in Italia il divieto di liberalizzazione totale copre solo gli audiovisivi. Questo significa che tutto il resto potrà essere venduto ad acquirenti appartenenti alla Nato del commercio. Ed è quindi evidente che, se tra USA e UE, almeno così pare, non si è ancora parlato di sanità, è questione di tempo: questa potrebbe essere privatizzata esattamente come altri settori strategici, come quello dei trasporti, dell'energia e dell'istruzione. E potrebbe darsi che chi compra aziende italiane, nel caso scelga di non delocalizzare, possa avere bisogno di mano d'opera a basso prezzo: ecco che il progressivo processo di smantellamento dei diritti dei lavoratori avviato in Italia potrebbe arrivare al suo apice. Il caso più ottimistico ipotizzato da Prometeia soccomberebbero, in ogni caso, il settore del legname, della carta della chimica farmaceutica. 10 milioni di euro andrebbero persi tra produzioni intermedie chimiche ed agricole.

Oltre alle motivazioni, quindi economiche, che porterebbero alla realizzazione di un incubo, il TTIP avrebbe disastrose conseguenze ambientali e culturali. Ovviamente, l'abbassamento degli standard sull'inquinamento imposti dall'Unione Europea avrebbe conseguenze nefaste sull'ambiente, aggiungendo così altri problemi a quelli che già soffocano il nostro Paese. Per quanto riguarda le conseguenze culturali, come già abbiamo avuto modo di dire, l'accordo comporterebbe la fine definitiva di quello che è stato individuato, storicamente, come il modello di welfare europeo e che negli ultimi trent'anni ha subito attacchi che hanno mietuto migliaia di vittime. Anche da noi passerebbe definitivamente l'idea che tutto può essere sottoposto ad una valutazione monetaria e quindi venduto. Non ci sarebbero remore nello svendere la sanità che, nonostante tutti i problemi che stiamo vivendo, è ancora pubblica. La scuola e l'università potrebbero diventare un campo di investimento economico come un altro, senza preservare l'attenzione e l'investimento che la formazione merita. La tutela dell'investitore e della proprietà privata diventerebbero così gli interessi primari: con la costituzione di un organismo di risoluzione delle controversie a cui le aziende potranno rivolgersi per citare in giudizio gli stati che cercano di difendere i propri interessi (come è successo quando l'azienda Vattenfall ha citato il governo tedesco che si era espresso in favore della chiusura delle centrali nucleari).

La morale della favola è che, nel caso la Commissione Europea e il governo statunitense riuscissero a realizzare il sogno di unione dogale già ipotizzato da Kennedy negli anni '60, la vita degli europei, e degli italiani in particolare, potrebbe diventare un incubo. Forse è meglio svegliarsi e provare a mobilitarsi.

Immagine tratta da: www.epthinktank.com

Ultima modifica il Venerdì, 28 Marzo 2014 23:15
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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