Martedì, 24 Giugno 2014 00:00

Palestina: la tragedia continua

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“Questa è una generazione che è cresciuta dopo gli accordi di Oslo ed era abbastanza giovane durante la Seconda Intifada. Questa generazione ha acclamato Abu Mazen (Abbas) quando ha parlato dal podio delle Nazioni Unite chiedendo il riconoscimento del mondo e della comunità internazionale – una generazione che innocentemente ha pensato che uno stato palestinese fosse a portata e ora sente che tutto è saltato in area.”

Queste sono le parole di un militante di Al Fatah che ha commentato la situazione che la Palestina sta vivendo in questi giorni. E come non comprendere la sensazione di spaesamento di chi, rifiutando il fondamentalismo di Hamas, ha provato a dare fiducia, magari sempre con una vena di scetticismo, a chi diceva che la comunità internazionale non sarebbe potuta restare a guardare a lungo. L'ONU, gli stati che tanto amano distinguersi dagli altri chiamandosi democrazie occidentali non avrebbero potuto permettere che la situazione precipitasse ulteriormente, dopo anni di guerre e segregazioni, di strumentalizzazioni di quel conflitto che è tra le cause dell'instabilità in Medio Oriente.

E invece pare non esserci fine al disastro. Con l'accordo tra Hamas e Al Fatah di sfondo, il governo israeliano ha preso a pretesto la scomparsa dall'insediamento illegale di coloni di Gush Etzion di tre ragazzi israeliani per scatenare una serie di azioni di ritorsione nei confronti della popolazione palestinese. Dopo giorni e giorni di arresti indiscriminati, ieri la mattina di domenica l'ennesima tragedia: a Nablus e a Ramallah due ragazzi, uno dei due con disagi psichici, sono stati uccisi dalle forze israeliane.

Se la situazione dei prigionieri politici palestinesi era già al limite della gravità (ne abbiamo parlato anche a proposito della compagna per la liberazione di Marwan Barghouti), le rappresaglie di questi giorni si presentano come l'ennesima conferma della natura imperialista di potenza occupante dello stato israeliano. Centinaia di persone, tra cui anche moltissimi ragazzi ed adolescenti, arrestati senza motivo e sbattuti in carcere senza vedersi riconoscere alcun diritto. Quando soprusi, violenze e torture sono all'ordine del giorno, una protesta forte e radicale come uno sciopero della fame organizzato da decine di prigionieri diventa un grido di aiuto che il mondo non può continuare ad ignorare. Ed è proprio per questo motivo che la Knesset ha avviato la scorsa settimana le procedure per l'approvazione di un disegno di legge che consenta l'alimentazione forzata dei prigionieri in sciopero della fame, per provare a silenziare quell'urlo.

Adesso le domande da porre sarebbero molto, molte davvero. Ma una viene spontanea. Dal momento che è evidente che la situazione stia degenerando a vista d'occhio e che anche un quotidiano non certo filo palestinese come Haaretz ha espresso preoccupazione per lo scoppio di una guerra che pare non essere poi così improbabile, quanto dobbiamo aspettare perché la comunità internazionale prenda posizione condannando la condotta israeliana? Perché se il sindaco di Roma Ignazio Marino, per esprimere la propria vicinanza alla Comunità Ebraica, colpita nei giorni scorsi dal tragico rapimento di tre studenti israeliani ha deciso di affiggere nei prossimi giorni le foto dei tre rapiti in Campidoglio, per quelli che stanno dall'altra parte della barricata non c'è, per adesso, nemmeno una parola.

Immagine tratta da: www.dirittiglobali.it

Ultima modifica il Lunedì, 23 Giugno 2014 20:01
Beccai

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