Associazioni che si occupano di difesa e solidarietà nei confronti del popolo palestinese quest'anno hanno lanciato, in occasione della Festa della Liberazione, una campagna che richiedeva che oltre alla bandiera dello stato israeliano, nei vari cortei e celebrazioni fosse presente anche quella palestinese, che rappresenta la causa nella sua complessità. Molte sono state le adesioni e le città nelle quali i quattro colori palestinesi hanno caratterizzato le celebrazioni ufficiali. Anche a Roma l'importante corteo si è popolato di bandiere palestinesi ma allo stesso tempo sono scoppiati i problemi. Gli esponenti delle associazioni che difendono i diritti dei palestinesi sono stati protagonisti, assieme ai componenti della comunità ebraica romana che li hanno aggrediti, di tafferugli che di certo non hanno reso onore a quella che è una delle celebrazioni più importati di tutto l'anno.
La polemica che è seguita è stata incentrata tutta su chi avesse più diritto di partecipare al corteo con le proprie bandiere. Da una parte chi sosteneva che, dato che la brigata ebraica ha avuto un ruolo importante nella liberazione di questo Paese, la presenza di bandiere palestinesi fosse solo un pretesto per attaccare briga. Dall'altra chi, nel tentativo di attualizzare questa giornata che, soprattutto in luoghi istituzionali, rischia sempre più di trasformarsi da festa a ricorrenza, è sceso in piazza ricordando tutti i popoli che oggi ancora non posso dirsi liberi.
Ecco, credo che questa polemica sia quanto di più nocivo ci possa essere per la causa palestinese. La prima critica la faccio analizzando il lessico utilizzato: se parliamo del più importante conflitto del Medio Oriente, parlare di “ebrei” e di “palestinesi” è sbagliato. Lo scambio di termini porta automaticamente alla fusione tra ebrei ed israeliani e, quindi, facilita la confusione tra antisionismo ed antisemitismo. Ogni persona ed ogni collettivo deve prendersi la responsabilità per le posizioni che assume e per le azioni che compie: fare di tutta l'erba un fascio porta solo ad errori. Soprattutto in un momento come questo, nel quale ogni pretesto sarà buono per rincarare la dose di ingiustizie sul popolo palestinese. Come dicevamo all'inizio, nonostante lo scetticismo di alcuni, il nuovo accordo tra le due fazioni palestinesi sarà strumentalizzato da più lati. E in prima fila abbiamo visto sin dall'inizio il governo israeliano: il Primo Ministro Netanyahu, consapevole di costituire, con le proprie posizioni su insediamenti coloniali e prigionieri politici, il vero ostacolo al negoziato di pace intermediato dal Segretario di Stato USA John Kerry, ha colto la palla al balzo affermando che la riunificazione dei due partiti costituisce una minaccia concreta ed imminente alla sopravvivenza di Israele. Che poi le dichiarazioni israeliani siano strumentali lo sappiamo; ma d'altra parte sappiamo anche come Israele risponde alle minacce, presunte o reali che siano.
E dato che il germoglio che potrebbe portare alla pace ha bisogno della protezione e dell'attenzione di tutta la comunità internazionale (proprio perché Israele, nonostante le sue politiche di costante violazione dei diritti umani, gode di appoggio trasversale a livello globale), gli errori di chi, in buona o cattiva fede che siano, fa coincidere le opinioni di un filo israeliano con quelle di un appartenente alla comunità ebraica qualsiasi sono doppiamente nocivi. In primo luogo perché per chiunque si definisca di sinistra e a favore della causa palestinese, qualunque affermazione che puzzi anche lontanamente di antisemitismo è inaccettabile. In secondo luogo, perché qualunque pretesto per fare di tutti i filo palestinesi degli antisionisti sarà colto da Israele per rincarare la dose in termini di durezza dell'occupazione e chiusura nei negoziati.
Ritengo quindi sia giusto difendere il diritto delle bandiere palestinesi a stare in qualsiasi corteo che ricordi la lotta di chi ha preso il fucile per scacciare un oppressore straniero, di chi è riuscito, grazie a quella lotta, a costruire un Paese che può chiamare Patria. Facciamolo per tutti coloro che ancora non si sono riusciti a liberare. Ma facciamolo usando le parole giuste.