Ad esempio, a leggere il seguente paragrafo ci può venire in mente qualcosa di molto familiare:
Quindi il governo deve formalizzare la richiesta di avallo dell’operazione finanziaria presso la Società delle Nazioni. Ma la condizione imposta come garanzia è che la Società passi a controllare l’azione finanziaria dello Stato attraverso una commissione nominata ad hoc. C’è di mezzo la perdita di una grossa fetta di autonomia monetaria e, conseguentemente, politica; e in Portogallo una cosa del genere, malgrado le non poche turbolenze degli ultimi decenni, non era mai successa. Era avvenuta in Grecia, che nel ’24 e poi ancora nel ’27 aveva contratto un prestito presso la Società delle Nazioni. Ma il Portogallo l’esempio greco non ha mai voluto seguirlo.
Se non badiamo alle date sembra quasi che si stia parlando di attualità. Il Portogallo novant’anni fa aveva sempre la Grecia come compagna di sventure, ed era però già allora più diligente di quel paese mediterraneo così simile a sé per latitudine! In realtà, se il Portogallo di oggi ha accettato un prestito di 78 miliardi di euro, allora non lo accettò, quindi se di parallelismo con l’oggi si vuol parlare, bisogna anche notare come gli elementi siano gli stessi ma le parti siano invertite e scombinate. Fatto sta che allora come ora, a tirare fuori il paese dalle difficoltà economiche di indebitamento ci voleva un intervento di tipo “tecnico”, ed ecco entrare in scena un grigio professore di economia dell’Università di Coimbra, cattolico e single, che usa un linguaggio molto diverso dalla coeva retorica mussoliniana, anche se anch’egli, più che come cattedratico, si era fatto notare come polemista sulla carta stampata, scrivendo sul giornale dei vescovi Novidades, «inaugurando – fa notare l’autore – una tradizione, non solo lusitana, di opinionisti di lotta e di governo».
Il libro ripercorre tutta la storia del salazarismo, sin dalle sue premesse, nell’agitato periodo che dalla rivoluzione repubblicana del 1910 porta al golpe militare del 1926 – Salazar si presenta come il civile che pone fine alla parentesi golpista e riporta il paese alla normalità istituzionale – fino alla guerra coloniale e alla Rivoluzione dei garofani del 1974, che segnerà la fine di un lunghissimo periodo, 48 anni, che invece è stato una dittatura a tutti gli effetti.
I riferimenti alla letteratura portoghese che ci sono nel libro sono davvero gustosi per chi è appassionato di Fernando Pessoa, degli autori portoghesi degli anni delle avanguardie storiche, ma non solo. La caduta di Salazar ad esempio è introdotta attraverso un racconto di José Saramago, pubblicato nella raccolta Oggetto quasi, intitolato Cadeira, che è la descrizione di una caduta al ralenti. “Cadeira” in portoghese richiama il verbo “cadere” ma significa anche “sedia”. Salazar nel 1968 infatti cadde da una sedia e le conseguenze della caduta lo porteranno prima all’esonero dalla vita pubblica e poi alla morte.
Salazar ha saputo declinare il fascismo novecentesco giocando abilmente sullo scacchiere geopolitico, evitando di coinvolgere il paese nella Seconda guerra mondiale ma vendendo wolframio (particolarmente richiesto dalle industrie belliche) sia agli alleati che ai tedeschi, e facendo entrare successivamente il Portogallo nel novero dei paesi fondatori della NATO. Sul versante interno Salazar è stato un dittatore “semidemocratico”, abile ad istaurare un regime presentandosi come qualcuno che viene a liberare il paese da un regime e ad alternare effimere concessioni all’opposizione con la repressione della sua efficientissima polizia politica.
Un recente murales della street art di Lisbona ritrae Salazar affiancato dalla scritta: «Con questa democrazia persino io sono democratico». In un paese che oggi è di fatto a sovranità limitata, e che sta conoscendo una forte crisi di fiducia nella democrazia rappresentativa (alle ultime europee l’astensione è stata del 65%, superiore alla media europea), soffermarsi sulla parabola politica di un dittatore “tecnico”, secondo le parole dell’autore, può aiutarci a « riflettere sulla variabilità della percezione democratica che i popoli hanno di se stessi e degli altri; nonché invitare a considerare l’ipotesi che, fra tutti i fantasmi del passato, questo professore universitario, che avrebbe dovuto fare il prete e diventò dittatore, sia forse il più (pre o post) moderno di tutti. Dunque il più insidioso».