Questo poteri europei e FMI davvero non l’avevano messo in conto, abituati come sono a governare l’Europa manipolandone le popolazioni e avendo ridotto a pura parvenza i suoi assetti democratici. A tal punto i poteri europei si sono discostati dalla possibilità soggettiva di un loro pensiero minimamente democratico, dall’aver consegnato a un certo momento il potere della decisione conclusiva all’FMI, un’entità composta da funzionari decisi in solido da Stati Uniti e principali paesi dell’Europa occidentale, ovvero non eletta direttamente o indirettamente con procedura democratica. Le opinioni dentro ai poteri europei si erano in parte scomposte, tra chi era disposto a una transazione accettabile da parte greca e chi voleva buttare la Grecia a calci fuori dall’euro. L’FMI ha buttato via la proposta greca e, decidendo per conto di tutto il canagliaio, l’ha sostituita con una propria che inferociva ulteriormente l’“austerità” e che avrebbe insensatamente portato al collasso definitivo dell’economia greca. Si badi: questo passaggio da un comando europeo a quello dell’FMI non è una piccolezza. Esso sancisce anche istituzionalmente una nuova struttura dei poteri europei: al vertice non ci stanno più le istituzioni di governo europee e i governi nazionali (ridotti in realtà al solo governo tedesco), ma l’FMI (e con esso, anche se in questa sede di ragionamento non c’entra, altre istituzioni come, prima di tutto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio). “Dietro” a loro, a determinare il quadro socio-economico di riferimento, gli interessi delle grandi multinazionali e della grande finanza.
Gazzettieri e policantume nostrani si stanno affannando a dimostrare l’irresponsabilità del governo greco. La sua decisione sarebbe stata la peggiore possibile, dal punto di vista prima di tutto del suo popolo. In realtà quest’ultimo ha espresso sin dall’inizio della partita, cioè dal momento della consegna a Syriza del potere di governo, due obiettivi molto precisi: la fine dell’“austerità”, cioè del massacro sia del popolo greco che dell’economia greca, e la permanenza della Grecia nell’euro. I due obiettivi erano reciprocamente compatibili, ma solo alla condizione di un compromesso decente; e un compromesso decente è stato rifiutato da parte dei poteri europei e dell’FMI. Rimane la possibilità di rimetterli assieme? Se il referendum greco dirà “sì” alla posizione di questi poteri sarà recuperata la permanenza della Grecia nell’euro, ma al prezzo di una nuova distruttiva dose da cavallo di “austerità”. Se il popolo greco dirà invece “sì” alla posizione del governo di Syriza, c’è una residua possibilità di rimettere assieme i due obiettivi. La ragione è questa: il cerino acceso passerebbe dalle mani del governo greco a quelle dei poteri europei e dell’FMI; anzi, concretamente, a quelle solo dei poteri europei. Questi poteri (tenendo da parte l’FMI) dovrebbero decidere la realizzazione di misure (probabilmente già in testa alla Banca Centrale Europea) di finanziamento, comunque argomentate, delle banche greche o dello stesso debito greco, e, assieme a queste misure, l’avvio, concordato con il governo greco, della “ristrutturazione” del debito greco, cioè, in sostanza, l’avvio del suo abbattimento e al tempo stesso della diluizione nel tempo degli impegni residui con i creditori. Oppure i poteri europei (continuando a obbedire all’FMI) potrebbero decidere, magari con qualche contorsione, di abbandonare la Grecia al suo destino. Nel primo caso (quello dell’adozione di alcune misure di finanziamento della Grecia da parte della BCE e di un default greco regolato) l’effetto finanziario e più in generale economico della rottura delle trattative potrebbe essere relativamente ridotto: anche in quanto il debito greco è all’80% circa di fatto nelle mani dei paesi dell’eurozona (è il cosiddetto Fondo Salvastati), per un altro 15% circa dell’FMI, e solo per meno del 5% in quelle delle banche (tedesche e francesi), alle quali provvederebbe, anzi sta di fatto provvedendo da tempo, la BCE. Un rimbalzo negativo ci sarebbe rispetto alla modestissima ripresa europea in corso e, per quanto riguarda una serie di paesi, tra cui l’Italia, rispetto al rendimento, che si alzerebbe, anzi questo sta già avvenendo, dei loro titoli di stato: ma queste cose potrebbero essere controllate e metabolizzate in un tempo non lungo. Il primo caso dunque converrebbe alle economie e alle popolazioni europee. Nel secondo caso (abbandonare la Grecia al suo destino) è più che probabile, invece, una situazione finanziaria dell’Europa fuori controllo, e quindi un ritorno alla recessione. Non solo. Nel secondo caso la Grecia non potrebbe che legarsi solidamente alla Russia (e alla Cina) e diluire al massimo i rapporti con l’Europa e la NATO, ciò che nessun governo occidentale gradirebbe (in ogni caso ritengo che Russia e Cina qualcosa di utile alla Grecia realizzeranno: il varco che si è aperto a loro favore in Europa è convenienza palese loro che sia tenuto aperto).
Non si creda che praticare da parte europea il primo caso sia facile. Intanto perché siamo gestiti in Europa, palesemente, da supponenti imbecilli, poi perché tra i loro problemi è come continuare a occupare posizioni di comando di grande prestigio, di grande (e multiforme) reddito e, per molti, suscettibili di consentire loro, finiti i ruoli politici, di accomodarsi nei consigli di amministrazioni di multinazionali o finanziarie. Ma soprattutto perché tutta la faccenda è stata giocata da ambedue i lati del tavolo, né poteva essere altrimenti, come faccenda prima di tutto politica e interamente di classe: politica e di classe dal lato popolare da parte del governo greco, politica e di classe dal lato del grande capitale e più in generale delle classi ricche da parte europea e dell’FMI. È questo dato di fatto ciò che spiega la sottovalutazione da parte dei poteri europei del rischio del danno grave che verrà alle finanze dei paesi dell’eurozona per il fatto del fallimento delle trattative con la Grecia.
L’obiettivo sostanziale e fondamentalmente unico di questi poteri è stato, né poteva essere altrimenti, la mortificazione della sinistra greca, la sua crisi, il ribadimento ideologico delle politiche di “austerità” come le uniche necessarie e possibili nella crisi e guardando alla ripresa economica, in realtà, dietro a questa cortina fumogena, il ribadimento di politiche di bilancio utili solo a spostare reddito, crisi o non crisi, dalle tasche popolari a quelle dei ricchi, per mille vie, quelle della speculazione finanziaria e di una fiscalità antiprogressiva prima di tutto. Addirittura nel documento del colpo di mano conclusivo affidato all’FMI leggiamo misure risibili dal punto di vista di qualsiasi ragionamento economico, quello liberista compreso. Questo documento rifiuta che l’IVA, com’è nelle intenzioni del governo greco, rimanga al 13% sugli alimenti essenziali e al 6% per medicine e apparecchiature mediche: deve invece aumentare, in sintonia con l’IVA su tutto il resto. L’FMI ha cancellato l’intenzione del governo greco di tasse più elevate per i profitti superiori ai 500 mila euro annui, inoltre ha preteso un ulteriore taglio (già ne erano stati effettuati due dai governi greci precedenti) della totalità delle pensioni, contro l’intenzione del governo greco di tagli solamente a quelle più elevate. Gazzettieri e politicantume europeo (e italiano in primissima fila) si sono affannati a dichiarare che il regime pensionistico greco è anti-economico, perché in Grecia si potrebbe andare in pensione attorno ai 55 anni e perché a livelli lussuosi, ecc.: tutte balle (niente di strano), l’età pensionabile media è in Grecia superiore a quella di Italia e Germania, la spesa pensionistica greca è inferiore di molto a quella media dei paesi dell’Europa occidentale. Aggiungo che con le pensioni del nonno càmpano ormai centinaia di migliaia di famiglie greche, essendone le persone in età lavorativa disoccupate. L’unico effetto economico delle pretese dell’FMI (e, in coda, dei poteri europei) sarebbe in tutta evidenza un ulteriore crollo della domanda interna della Grecia: l’esatto contrario di ciò che servirebbe alla ripresa della sua economia. La tenuta dei redditi popolari significa la tenuta della domanda interna, il loro aumento l’aumento della domanda interna; l’aumento del reddito delle classi ricche significa invece l’aumento dei loro investimenti speculativi. Data l’evasione fiscale in Grecia larghissima delle classi ricche, deprimere ulteriormente le pensioni, che sono tassate alla fonte, significherebbe solo, accanto a un’ulteriore caduta depressiva della sua economia, ulteriori rapidi incrementi del debito pubblico greco, già al 190% del PIL: dunque ulteriori danni da default per i possessori dei titoli del debito greco. Potrei continuare a lungo, ma valga per tutto quanto il seguente dato: la previsione cinque anni fa dell’FMI circa gli effetti recessivi in Grecia delle misure di “austerità” era il 5% del PIL, efficacemente contrastabili quindi dai paralleli effetti di crescita: l’economia greca ha avuto invece in questi cinque anni un crollo pari al 25% del PIL. Un tale livello di insensatezza delle pretese dell’FMI, e, in coda all’FMI, dei poteri europei, è spiegabile dunque solo con il fatto che l’obiettivo fondamentale loro è difendere politicamente con le unghie e con i denti e costi quel che costi alle popolazioni e alle stesse economie interessi di classe. Nel caso dell’FMI, gli interessi prima di tutto della grande finanza speculativa: che com’è noto ingrassa nelle crisi tanto quanto nei momenti di crescita economica.
Ce la faranno a reggere la situazione i nostri compagni di Syriza, ce la farà il suo governo, ce la farà, prima di tutto, il popolo greco? Non è certo. Essi abbisognano più che mai di sostegni in tutta Europa. Al tempo stesso le sinistre europee è bene che ragionino, e alla svelta, su cosa è ormai diventata l’Unione Europea. La vicenda greca, e, in solido a essa, in modo con il quale viene affrontata la tragedia dei migranti, rendono obbligatorio questo ragionamento.