quest’apparato sono vittime, è bene dichiararlo, i disoccupati, i precari e il lavoro dipendente o finto autonomo dell’Italia come degli altri paesi europei, ma anche la povera gente che tenta di raggiungere l’Europa fuggendo dalle guerre, dalla fame e dalla barbarie che stanno travolgendo il Medio Oriente e una quantità di stati africani. Questa gente è, in ultima analisi, vittima di due secoli di sfruttamento coloniale e post-coloniale da parte dell’Occidente sia europeo che statunitense e delle sue aggressioni militari. Dunque se, come ci insegna la Grecia, sta finalmente arrivando il tempo in Europa della riscossa popolare, occorre anche rammentare che la riscossa vince quando sa fare proprio il grande appello di Marx “proletari di tutto il mondo unitevi”. Diffidate, compagni, dei ciarlatani che vi dicono che il nemico è chi è più povero di voi. Si tratta solo del tentativo, creando paure artificiali, di catturare i vostri voti. Un tentativo molto pericoloso prima di tutto per le vostre condizioni di vita e di lavoro, in continuo peggioramento a opera della totalità dei governi di questi trent’anni: i fascisti e i mezzi fascisti, dichiarati o mascherati che siano, agendo per la divisione tra proletari agiscono ad assoluto favore degli sfruttatori e degli oppressori.
L’Unione Europea, realizzata a suo tempo a nome dell’obiettivo della fine di guerre e massacri durati secoli e secoli tra le popolazioni europee ha cominciato sin dal suo inizio, tramite i suoi Trattati fondatori di impianto liberista, a realizzare misura dopo misura l’obiettivo della riduzione delle conquiste di oltre un secolo del mondo del lavoro. Sono stati per oltre vent’anni colpiti sia i diritti contrattualmente, giuridicamente e anche costituzionalmente sanciti riguardanti retribuzioni, diritti sui luoghi di lavoro, pensioni decenti, sia le prestazioni gratuite o semigratuite dello “stato sociale”. La crisi esplosa nel 2007, indebolendo le capacità di lotta sindacale dei lavoratori è stata utilizzata dai poteri europei e dai governi nazionali nel senso di una distruzione accelerata e radicale di tali conquiste. Come si può constatare giorno dopo giorno, i “sacrifici” chiesti al mondo del lavoro a nome della ripresa dell’occupazione e di quella economica non sono altro che panzane a giustificazione di tale distruzione.
Non tutti i paesi europei sono nelle medesime condizioni di sviluppo economico, e le loro popolazioni sono state danneggiate dalla crisi e dalle politiche antisociali dei poteri europei e dei governi nazionali a seconda del livello della forza economica di tali paesi. E la Grecia, il paese dell’Unione Europea e della zona euro più povero e più penalizzato dalla corruzione politica e dall’evasione fiscale dei ricchi è stato il paese che più ha sofferto dei “sacrifici” imposti dai poteri europei, sino a trovarsi nella trappola di un debito immenso che ne divora ogni risorsa; in breve, sino a trovarsi in una situazione simile a quella del fallimento di un’impresa. Viene detto alle popolazioni europee dai nostri mass-media e dai nostri politicanti asserviti che da parte europea sono stati regalati alla sprecona popolazione greca immensi fondi, quindi che è giusto che essa ripaghi questo sforzo con “sacrifici”, “riforme”, ecc. La realtà è ben diversa: i prestiti europei sono stati ripagati da parte greca con fior di interessi. Anzi è diffusa convinzione nella popolazione tedesca e in molte popolazioni nordiche, manipolate dal loro politicantume, che miliardi e miliardi di euro siano stati regalati non solo alla popolazione greca ma alle popolazioni, altrettanto sprecone, dell’Europa meridionale, tra le quali quella italiana: l’Italia (noi tutti) abbiamo in realtà restituito ai prestatori i loro prestiti, via via che venivano a scadenza, perciò abbiamo versato loro cospicui interessi. La Germania solo acquistando titoli di stato italiani ha guadagnato alcune centinaia di milioni di euro. Il “salvataggio” della Grecia in crisi finanziaria cominciò tra il 2009 e il 2011; sarebbero bastati allora a sostegno della sua economia circa 50 miliardi di euro, ma la Germania volle prendere tempo, ostile a ogni deroga ai “sacrifici” con i quali gli spreconi dovevano riscattarsi: ed è stato proprio questo a portare la Grecia a un debito che è oggi tra i 350 e i 400 miliardi di euro. A portare cioè la Grecia a una situazione finanziaria insostenibile è stata proprio una rapidissima crescita del suo debito pubblico determinata fondamentalmente dagli interessi versati ai prestatori, grandi banche, stati europei, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale. Le grandi banche tedesche e francesi e i bilanci degli stati europei non solo non hanno regalato niente alla Grecia ma si sono ingrassati assai a spese della popolazione greca.
Alla fine tuttavia il giocattolo non poteva non rompersi, avendo messo in ginocchio questa popolazione attraverso micidiali continui tagli alla spesa sociale, alle pensioni e al pubblico impiego e la chiusura di decine di migliaia di imprese piccole e medie, diventate prive sia di credito che di mercato. Documenta questo disastro la totalità dei dati economici; ci limitiamo a menzionarne due: il 50% di disoccupazione giovanile, il 40% in più di mortalità infantile, data la semidistruzione, per pagare il debito, del sistema sanitario.
La piccola popolazione di un paese piccolo e debole ha perciò deciso di ribellarsi, con gli strumenti prima di tutto della democrazia politica: ha consegnato il governo tramite voto alla sinistra di Syriza, cioè alla sinistra vera, non al canagliaio socialdemocratico (in Italia si tratta oggi del PD), passato da trent’anni al liberismo e venduto in Grecia come altrove in Europa ai grandi poteri economici capitalistici e ormai agli ordini esso pure della Germania. Questa popolazione ha poi consolidato la sua ribellione con lo straordinario risultato referendario del 5 luglio, che ha consegnato al governo di Syriza il 61,3% del consenso al rifiuto della criminale protervia europea, sostenitrice di ulteriori licenziamenti, ulteriori tagli alle pensioni, ulteriori tagli a una sanità già in ginocchio, ulteriori tasse a danno del turismo e dell’agricoltura.
Nel frattempo sono venuti generalizzandosi altri processi, tali da trasformare l’intero profilo economico e politico-istituzionale dell’Unione Europea. Si tratta della generalizzazione del controllo tedesco sulle economie di gran parte dell’Europa, trasformate estesamente (le economie tecnologicamente più avanzate) in subfornitrici dell’industria tedesca (tale è ormai la situazione prevalente dell’industria dell’Italia del nord) o in luoghi di delocalizzazione di attività produttive a tecnologia di medio livello (le economie dell’Europa orientale); e si tratta della pretesa tedesca di prendere direttamente in mano il comando politico dell’Europa, ponendo così termine alle lungaggini caratteristiche delle discussioni in seno a Commissione Europea, Eurogruppo, Consiglio Europeo, ecc. (anche per via di un certo sgretolamento della coesione tra i poteri europei, messi sotto pressione dalla crisi sociale e dal rafforzamento quasi ovunque di populismi fascisti o semifascisti ostili all’Unione Europea e all’euro). Questo tentativo tedesco è stato anche affiancato, con pari prepotenza anti-greca, dal Fondo Monetario Internazionale. Si è dunque aperto un conflitto che solo in apparenza oppone esclusivamente interessi greci a poteri europei; esso in realtà è un conflitto che sempre più impegnerà da una parte i popoli europei, soprattutto, almeno per ora, quelli dell’Europa meridionale, e dall’altra parte poteri europei asserviti agli interessi capitalistici tedeschi; inoltre è un conflitto che risulterà sempre più caratterizzato, con larga probabilità, dal tentativo di stabilizzare una sorta di potere politico assoluto tedesco, sia perché l’Unione Europea non è uno stato ma è un’unione di stati sovrani, incapace come tale di rispondere efficacemente a situazioni di crisi anche politica, sia perché cresce in molte popolazioni europee la presenza politica dei fascisti, orientati all’uscita dall’euro e a una disintegrazione anarcoide e pericolosissima dell’Unione Europea, strumenti dei quali il capitalismo tedesco ha fondamentale bisogno.
Le possibilità di soluzione del conflitto aperto tra poteri europei e Grecia sono molte. In via tanto astratta quanto approssimativa, è possibile che da parte tedesca si riesca a imporre ai suoi sodali politici europei, alcuni dei quali però appaiono riluttanti, la rottura definitiva con la Grecia, in quanto considerata prima di tutto una zavorra politicamente pericolosa: e questo anche pagando un prezzo finanziario significativo. La Grecia non restituirebbe più, infatti, i suoi debiti: e la Germania è creditrice della Grecia per quasi 100 miliardi di euro (essendo i titoli greci passati in questi due anni dalle mani delle banche a quelle degli stati). Premono sul governo tedesco perché sia durissimo nei confronti della Grecia i governi di destra liberista del nord dell’Europa ma anche quelli di Spagna e Portogallo, che temono un contagio greco delle loro popolazioni ovvero di essere sconfitti alle elezioni politiche che avverranno verso la fine di quest’anno. Ma è anche possibile un altro esito. Gli Stati Uniti stanno premendo sempre più pesantemente sui poteri europei e sulla Germania perché addivengano a un compromesso, inoltre sono intervenuti pesantemente sul Fondo Monetario Internazionale, chiedendogli di inventarsi un finanziamento alla Grecia. Gli Stati Uniti infatti temono gli effetti economici negativi per le economie occidentali di un incontrollato fallimento greco e, soprattutto, che una rottura europea con la Grecia avvicini questo paese alla Russia, alla banca internazionale che i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) stanno per varare, apertamente competitiva con le istituzioni economiche internazionali controllate dall’Occidente, come appunto il Fondo Monetario Internazionale.
Va infine osservato, a ulteriore complicazione del quadro generale, come Angela Merkel si trovi in una situazione di marcata debolezza in questo momento nell’establishment che fa opinione del grande capitale tedesco. Per esempio il quotidiano Spiegel ne sottolinea duramente la debolezza intellettuale e argomentativa, le incertezze nei momenti cruciali, le oscillazioni umorali. La destra politica ultraliberista vede Merkel forse più come un impaccio rispetto alla scalata tedesca al potere in Europa che come un valido strumento. Più che da parte democristiana oggi Merkel appare appoggiata in Germania dalla socialdemocrazia, indubbiamente la più squallida d’Europa. Questa realtà potrebbe portare Merkel al ribadimento di posizioni durissime a danno greco, per riqualificarsi presso il suo capitalismo. Vedremo.
La Grecia di sinistra deve essere incondizionatamente appoggiata dalle classi popolari e dalle organizzazioni dei lavoratori. Ne andrà anche difeso ogni patteggiamento con i poteri europei; se esso ci sarà conterrà non poche concessioni alle loro pretese. Primum vivere, dicevano gli antichi, deinde philosophari. La popolazione greca deve prima di tutto sopravvivere, e l’indipendenza politica riacquistata dalla Grecia deve sopravvivere essa pure, in quanto unica garanzia di un superamento effettivo, per quanto lento e faticoso, di una terribile crisi sociale.
Parimenti della Grecia di sinistra hanno bisogno le sinistre europee. Verso la fine di quest’anno, come accennato, ci saranno le elezioni in Spagna e in Portogallo. In Italia inoltre sta partendo la riaggregazione delle componenti serie della sinistra, quelle legate al mondo del lavoro, non settarie, non avventuriste, non fantasiose, non in mano a megalomani fuori di testa, orientate non alla distruzione dell’Unione Europea e al ritorno dell’Europa a nazionalismi aggressivi ma a una costruzione europea su basi democratiche e capace di risposte positive alle richieste popolari di lavoro e di benessere: e niente meglio dell’esistenza in Europa di un governo di sinistra capace di tenere testa a immensi poteri economici e politici può esserci di aiuto politico, e anche morale.
Nota sull’infame KKE
Una straordinaria manifestazione di orgoglio di popolo quella greca, eccezionale in un contesto europeo i cui popoli appaiono a maggioranza più o meno larga disorientati, tuttavia non sorprendente. Le forze armate greche dall’ottobre del 1940 all’aprile del 1941 si opposero validamente all’aggressione dell’Italia fascista; dal 1941 al settembre del 1943 la Resistenza greca, guidata da una delle due correnti in cui erano divisi i comunisti, combatté gli occupanti italiani, bulgari, tedeschi; nel periodo successivo fronteggiò i soli occupanti tedeschi, riuscendo a liberare pressoché tutta la Grecia. Aggredita dalle truppe britanniche, che avevano occupato il Pireo, la Resistenza greca combatté fino alle soglie del 1949 a nome dell’indipendenza del paese e della democrazia. Migliaia di partigiani furono incarcerati, internati nei campi di concentramento delle isole o fucilati dalla truppaglia monarchica messa su dai britannici. Seguirono anni di repressione e, nel 1967, un colpo di stato militare di estrema destra, fino, nel 1974, alla riscossa popolare, alla repubblica e alla democrazia parlamentare.
Quei comunisti, detti “dell’interno”, che combatterono anziché rifugiarsi in Unione Sovietica, come fecero i capi di quelli detti “dell’esterno”, sono tra i genitori o i nonni di molti tra gli esponenti di Syriza. Perseguitati dalla repressione, non riuscirono a prevalere politicamente su quelli, ultrastalinisti, “dell’esterno”, abbondantemente provvisti di denaro dall’Unione Sovietica, i cui discendenti sono oggi a capo del KKE, il Partito Comunista Greco: un partito che vede in Syriza il proprio nemico fondamentale e che ha invitato l’elettorato al referendum del 5 luglio di mettere due “ochi” sulla scheda, uno contro le imposizioni barbariche europee e l’altro contro il governo, in modo che una certa quantità di schede fosse annullata, quindi il “sì”, il “nai”, riuscisse a prevalere e il governo di Syriza andasse in crisi. Non solo la reazione liberista europea ormai apertamente autoritaria si è opposta dunque al popolo greco e al suo governo di sinistra ma anche i soliti imbecilli settari e talora delinquenziali.