Martedì, 29 Marzo 2016 00:00

ISIS: con chi siamo in guerra?

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L’ombra nera del Califfato arriva in Europa e scuote nuovamente un continente provato dalla crisi economica. La percezione è quella di un nemico oscuro e irrazionale, quasi apocalittico nello scontro di civiltà che porta avanti. Causa di questa percezione del presente sono sia il sistema di informazione, che, principalmente, la classe politica:  risultano imbarazzanti rispetto all’effettiva realtà con cui abbiamo a che fare.

La traduzione della complessità, di cui abbiamo scritto anche recentemente su queste pagine (Un atlante per provare a capire il mediterraneo) è operazione delicata, a cui andrebbe dedicata la necessaria attenzione.

Lo stesso uso delle parole, almeno da parte delle persone che aspirano a governarci, dovrebbe indicare una consapevolezza dei temi di cui si parla. A partire del lemma terrorismo. Nel maggio del 1901 Lenin scriveva un articolo dal titolo “Da che cosa cominciare?.

Il problema del terrorismo non è affatto nuovo [...]. In linea di principio, noi non abbiamo mai rinunciato e non possiamo rinunciare al terrorismo. È un’operazione militare che può perfettamente servire, ed essere perfino necessaria, in un determinato momento della battaglia, quando le truppe si trovano in una determinata situazione ed esistono determinate condizioni.

Tralasciando ogni considerazione di carattere morale, dovremmo riconoscere l’esistenza di una guerra asimmetrica in cui non c’è spazio per l’irrazionalità. Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) rientra nella lista delle organizzazioni terroristiche secondo l’Unione Europea. La non convenzionalità delle forme di violenza utilizzate ha caratterizzato la nascita della Repubblica di Irlanda e sarebbe interessante approfondire la pratica dei droni, con cui gli eserciti occidentali praticano discutibili omicidi “mirati” (qualche anno fa andava invece di moda l’espressione “bombe intelligenti”).

Spesso chi prova a problematizzare il tema del terrorismo, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, viene accusato di convivenza con “il nemico”. Le manifestazioni della pace che si opponevano a Bush jr. venivano additate come agglomerati di vigliacchi, nemici interni, illusi e opportunisti politici. Oggi poco importa delle armi di distruzione di massa inesistenti ed attribuite a Saddam.

Morto Bin Laden, ridimensionata Al Qaeda, invasi numerosi paesi, tocca al sedicente Stato Islamico aiutarci a definire l’identità di noi occidentali. Aldo Giannuli, nel suo Guerra all’ISIS, ha il merito di ammettere come nel conflitto con “il Califfato” esista un noi in cui è possibile riconoscersi anche per chi ha avversato le guerre degli ultimi decenni. Laico, libertario, marxista, internazionalista, europeo, uomo civile: così si definisce l’autore. Porre le giuste domande è l’unico modo per vincere una guerra sempre più asimmetrica, a partire dall’identificazione degli scopi e degli obiettivi reali del “nemico”, la cui stessa identificazione fatica ad affermarsi nell’opinione pubblica. Alcuni politici europei utilizzano il termine "Islam", ignorando come i musulmani siano le principali vittime di un conflitto in cui svolge un ruolo fondamentale la divisione fra sunniti e sciiti. Come se nel corso della storia del cristianesimo non si fossero verificate cesure interne, massacri tra “ortodossi” ed “eretici”.

Ciò che deve essere avversato è la nascita di uno stato teocratico e arretrato sotto ogni punto di vista, legato alla cultura dei sauditi, in grado di dare una presunta patria ai sunniti. In Medio Oriente e Nord Africa i paesi europei hanno prodotto danni di cui paghiamo tutti le conseguenze, con una comunità internazionale incapace di agire coordinandosi politicamente (la globalizzazione è un fenomeno da indagare nuovamente, per comprendere come si siano dislocati i processi decisionali). Molte nazioni (come l’Iraq o la Libia) sono state definite con il “righello” nel corso del XIX e del XX secolo, prescindendo dalle culture e tradizioni locali. Nel corso della Guerra Fredda ogni tentativo laico e socialista è stato contrastato dal blocco della NATO, mentre negli ultimi anni i disastri di Bush jr. si sono alimentati della discutibile (ma storica) alleanza con le monarchie del golfo.

Il merito del libro di Giannuli è di evitare ogni teoria del complotto non dimostrabile. Talvolta è possibile limitarsi a riconoscere che ci sono stati gravi errori: politicamente occorrerebbe individuarne i responsabili ed agire di conseguenza, per rimediare nei limiti del possibile.

L’estrema abilità di al-Zarqawi sta nella elasticità con cui ha saputo agire, talvolta avvicinata alla visione “leninista” dell’organizzazione. L'attuale "Califfo" al-Baghdadi ha ereditato metodo e pratiche. Coreografia, propaganda, organizzazione della guerriglia urbana a livello difensivo, confusione del nemico, azione all’interno delle contraddizioni reali (come gli attentati ai danni degli sciiti in Iraq): contrariamente all’immagine di un califfato oscuro e pesante, il nostro nemico è un abile sistema politico. Dalla nostra parte invece abbiamo un premio nobel della Pace che non è neanche riuscito a mantenere la promessa rispetto alla chiusura di Guantanamo (non è un caso che le tute arancioni facciano parte di questa guerra che è anche comunicativa).

I politici come Meloni e Salvini sono il migliore alleato, nei fatti, di chi ha solo da guadagnare da un’Europa debole e sull’orlo di una guerra civile. L’ulteriore emarginazione dei migranti, la coltivazione di uno stato perenne di tensione, la contrapposizione viscerale tra posizioni irrazionali ed elementi alla base di ogni civiltà: tutto questo potrebbe tranquillamente assecondare la nascita di uno stato sunnita teocratico, probabilmente auspicato dai sauditi, nemici storici dell’Iran e quindi della Siria.

Giannuli ci ricorda come il problema principale non sia di natura militare: le guerre asimmetriche non si vincono con maggiori mezzi, la nostra superiorità è anzi considerata un elemento su cui giocare il vero conflitto (la cui natura è, ripetiamo, psicologica e politica).

“Capire non significa condividere”, ma è l’unico modo per poter vincere, accettando tra il “noi” anche culture diverse e tentando di accettare al tavolo dei “grandi” i paesi del Medio Oriente, anche riconoscendo l’esistenza di altri continenti, oltre a quello europeo e nord americano. Se i confini disegnati dall'occidente si stanno sgretolando, il modo migliore per fermare l'ISIS e trovare delle soluzioni che coinvolgano tutti gli interessati, isolando la barbarie. 

Ultima modifica il Martedì, 29 Marzo 2016 22:21
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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