Seppur sia un paradosso non da poco, nel mondo dell'opulenza e del consumismo la morte per inedia continua a sussistere e ad essere una minaccia pressante per milioni di persone. Pochi giorni fa l'Onu ha lanciato l'allerta carestia in Yemen per 7,6 milioni di persone ormai ridotte in condizioni al di sotto dei livelli minimi di sussistenza (vedi ricostruzione qui). L'Unicef aveva già riportato cifre secondo le quali i bambini denutriti ammonterebbero ormai a 1,3 milioni. Le cause ovviamente non sono affatto casuali, ma dettate da politiche ben precise. Il blocco dei porti imposto dall'Arabia Saudita ha aggravato notevolmente una situazione economica già critica in cui si importavano più del 90% dei generi di prima necessità. La guerra resta una delle cause principali e la spinta propulsiva dettata dalle commesse militari e dagli interessi in gioco spesso cancella ogni capacità critica. Le responsabilità politiche sono estese pure per l'Italia eppure la notizia è passata totalmente in secondo piano, come se l'aver venduto armi a chi ha massacrato un popolo riducendolo ora pure alla fame sia un fatto assolutamente non rilevante.
Ma le responsabilità politiche ricadono in primo luogo proprio sull'Onu il quale ha premiato i sauditi in tutte le sedi possibili, nonostante la stessa Arabia Saudita stia continuando a massacrare il popolo yemenita e attualmente sia il principale responsabile della carestia avendo distrutto le strutture portanti di un paese già fragile. Il finto stupore del rapporto sul rischio di una carestia spaventosa in Yemen lascia aperto il problema delle tragiche conseguenze dell'ennesima guerra in una zona già poverissima del mondo, ma non rileva assolutamente responsabilità e ancor meno autocritiche necessarie per chi si autoproclama giudice supremo dell'ordine mondiale.
Volendo poi ricorrere all'imparzialità aperta di Smith per scardinare gli assiomi dogmatici su cui è basato quest'ordine potremmo provare a chiedere a un iracheno cosa ne pensa della nostra democrazia esportata da quelle parti. Difficilmente sarà un parere entusiasmante. Eppure abbiamo un tale Verdini che in Tv sostiene di essere un vero liberale che non può esimersi dal votare Sì al referendum costituzionale! Invece a dar retta ai veri liberali, come Smith e Sen, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli per varie questioni, ma per fortuna abbiamo questi liberali che non si pongono minimamente alcun problema che non sia dettato dalle contingenze politiche.
Così, il mercato continua a produrre morti d'inedia e non è una responsabilità dell'autoritarismo o dell'inefficienza allocativa della supposta mano invisibile, ma una caratteristica intrinseca al funzionamento di un'economia di mercato che prevede accumulazione crescente di ricchezza che scarica sulle zone già povere conseguenze sempre più devastanti. Le guerre e il loro strascico di sofferenza, morte lenta di fame e consunzione non sono che l'altra faccia dei palazzi di Abu Dhabi costruiti coi petrodollari. Volendo ancora ricorrere a Sen potremmo rilevare come il nyaya (vedi Il Becco n. 9) non sia ormai altro che un matsyanyaya in cui il pesce grande divora il pesce piccolo, ossia una giustizia in cui l'Arabia Saudita può aggredire brutalmente un paese già povero riducendo sette milioni e mezzo di persone alla fame nella totale impunità. La principale causa resta la voracità di un capitale che non smetterà mai di spingere e fagocitare uno sviluppo sempre più distruttivo per chi come nello Yemen o in Afghanistan si trovava già in condizioni di estrema povertà e ora rischia seriamente la fame dopo guerre sempre più distruttive. Chissà se il cittadino iracheno citato poco sopra potrà sentirsi finalmente libero in condizioni simili, tra attentati giornalieri, terrorismo endemico e carestie?