Il tutto avviene in una situazione sociale che vede il 13,7% dei residenti in condizioni di povertà assoluta. Evidentemente l'ultima necessità per il popolo è una nuova impresa bellica, eppure quando la Nato schiocca le dita i servi accorrono. Al Sud, da dove partiranno i caccia statunitensi per i raid, le cifre raccontano una realtà socio-economica in cui quasi 4 famiglie su 10 vivono in povertà assoluta. In un Paese che fatica, a oltre 150 anni di distanza, a dimostrare la propria unità si continua a tirare il collo alla popolazione, partendo dalle fasce più deboli: grandi opere senza manutenzioni, interventi militari senza interventi sociali e via discorrendo. Ma questi numeri, che raccontano un impoverimento sempre più grave e diffuso, tolgono il velo anche alla retorica dell'integrazione. È un'integrazione evidentemente fallita quella che vede le famiglie degli stranieri sprofondare nella povertà assoluta in misura più che doppia, del 28,3% per la precisione, rispetto a quelle degli autoctoni. D'altra parte il nostro era già un modello economico che non si reggeva più sulle proprie gambe, difficilmente avrebbe potuto salvare dal proprio triste destino chi fuggiva dalla miseria. E' interessante dare uno sguardo a questi dati pure dall'angolatura delle fasce d'età, infatti i giovani (18-34 anni) sono la fascia che più è sprofondata nella povertà assoluta dal 2005: erano il 3,9% allora, oggi sono il 10%. Ma, se possibile, le fasce infantili, preadolescenziali e adolescenziali vivono una condizione davvero drammatica che non fa per nulla ben sperare nel futuro. Già perché se il futuro è loro, a queste nuove leve rischiano di mancare i mezzi più elementari per comprendere e trasformare il presente. Infatti, un quarto dei minori è a rischio povertà e 1 milione e 131 mila minori vivono in condizioni di povertà assoluta.
Dalla macelleria sociale tanto invocata negli anni scorsi come soluzione in grado di purificare le anime laide di chi aveva “vissuto al di sopra delle proprie possibilità” passiamo alle condizioni del Dio Mercato. Infatti, se le condizioni dell'uomo sono penose, il Verbo si è finalmente fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi provando, almeno per un poco (si sa che il Figlio di Dio non è certo come qualunque altra persona), la indegna condizione umana. Così la perdita media dei valori azionari di Milano da inizio anno si aggira sul 30% e quella dei bancari ha assunto cifre tali da allarmare non solo le autorità italiane (-85% Mps, - 83% Carige, - 69% Unicredit, - 62% Banca Popolare di Milano, - 47% Intesa San Paolo).
Insomma in condizioni che definire precarie è semplicemente eufemistico, ci si barcamena tra le possibili soluzioni politiche che al dunque diventano tutte, sistematicamente, ridicole. Tra un reddito d'inclusione (caricatura del reddito di cittadinanza) per incrementare la competizione in ingresso nelle fasce lavorative più basse e un Fondo Atlante fallito, si finisce per dissolvere il senso del discorso politico nella sterilità di un dibattito incentrato sullo Stato come stampella del Capitale in crisi conclamata. Le scemenze dei vari Alesina e Giavazzi non si contano nemmeno più e a loro se ne sono aggiunti altri. Nel frattempo che loro disquisiscono sui giornali e nelle Tv, la situazione sociale, inevitabilmente, peggiora: i risparmi saltano, i lavoratori si impoveriscono, muoiono sul lavoro in misura crescente, si indebitano per raggiungere la pensione, rinunciano alle cure basilari e i disoccupati aumentano, a meno di non credere a Poletti e sodali. Il mercato del lavoro infatti, finita la pacchia degli sgravi fiscali, sta espellendo direttamente i contratti e parla ormai la lingua del caporalato, con paghe in voucher e addirittura in buoni pasto! Basti ricordare che tra gennaio e maggio i contratti a tempo indeterminato sono calati di 85.315 unità, mentre i voucher venduti sono stati ben 57.701.714 con un incremento del 43%. La povertà del resto è l'arma principale del capitalismo e l'indigenza e la disoccupazione servono per disciplinare le richieste salariali, come ci ha insegnato Kalecki e prima di lui Marx.
In questo scenario interno, la ciliegina sulla torta è arrivata con l'annuncio dell'inizio di 30 giorni di bombardamenti americani sulla Libia, in soccorso del governo fantoccio di Sarraj, presunto governo di Unità nazionale. Poco importa che sia illegale l'attacco di uno Stato senza una risoluzione Onu, la prassi Nato ormai ha calpestato la norma. Così l'Onu approva ex-post l'intervento ed è di nuovo “missione umanitaria” come l'ha chiamata il nostro Ministro degli Esteri Gentiloni. Per ora sembra più una guerra a tempo determinato, a scadenza dopo i trenta giorni, giusto per fare guadagnare qualche punto nei sondaggi elettorali a Hillary Clinton, ma in questi casi non si puoi mai dire. Intanto si bombarda Sirte, mentre il disordine in Libia cresce e l'Isis attacca il governo Haftar (l'altro governo libico) che tanto per confermare l'Unità nazionale se la prende con Sarraj, facendo rilevare l'incostituzionalità della richiesta d'intervento estero. Insomma, come sempre il caos. Nel caos ovviamente non ha mancato di infilarsi l'Italia, ultima dei servi sciocchi della Nato. Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti dopo aver incontrato i rappresentanti del Congresso il 2 agosto si è limitata a dichiarare al Parlamento la aperta disponibilità delle basi italiane al governo americano, concedendo la portaerei americana Italia senza fiatare. Così l'Italia da febbraio non solo ha garantito la sua funzione servile all'interno della coalizione militare, ma ha dimostrato pure di condividere l'ideologia di fondo espressa dall'ultimo Obama (quello che prepara l'avvicendamento a Hillary Clinton, ossia il peggior Obama di sempre) con la formula dei “raid aerei per la stabilità politica”.
Un formula già fallita in Siria che viene riproposta in Libia come ultima spiaggia della strategia del “leading from behind” che mirava a porre gli Usa nella condizione di guidare la scena internazionale dalle retrovie con interventi mirati e a basso costo.
L'Italia avrebbe dovuto tenersi alla larga dal pantano libico, ultimo frutto di una strategia fallimentare. Siccome a marzo le piazze hanno saputo rispondere magistralmente con manifestazioni diffuse in tutto il territorio nazionale, stavolta il governo ha pensato bene di agire alla chetichella. In un'estate dove le armi di distrazione di massa hanno operato potentemente, prima con gli europei di calcio, poi con il lancio planetario di Pokemon Go, il Parlamento è stato convocato in fretta e furia per l'annuncio del coinvolgimento dell'Italia in questa guerra, senza neppure poter dibattere la questione. Le opposizioni invano chiedono di saltare la pausa estiva per poter discutere la questione adeguatamente. Eppure il governo tira dritto per la strada che ha indicato la Libia e la Siria come un poligono a bersagli umani. Così il dibattito politico viene sospeso, lasciando incenerire i corpi degli innocenti mentre qui si pensa a curare l'abbronzatura. Che valga da monito per questo autunno: dovremmo prendere lezioni di democrazia da un governo simile? Direi che la risposta è scontata e nel buonsenso. Infine, a proposito di buonsenso, come rilevano gli esperti del settore: la posizione defilata dell'Italia se è vero che “ha irritato più volte Washington”, “ha di certo contribuito a evitare alla Penisola rappresaglie dei terroristi islamici” siccome “tutti gli attentati effettuati recentemente hanno colpito Stati che hanno un ruolo diretto nelle operazioni in corso in Siria e Iraq”. Dunque, “ritenere che l’Italia possa evitarli in caso di impiego bellico delle nostre forze militari è una speranza che potrebbe avere basi ben poco concrete” (leggi qui). E questo impiego bellico non solo c'è da marzo, nonostante le manifestazioni della popolazione abbiano espressamente dimostrato la contrarietà della cittadinanza, ma tende ad aumentare. Direi che una democrazia compiuta dovrebbe quantomeno discuterne nelle sedi rappresentative, invece di mandare in ferie i rappresentanti pensando unicamente a come togliersi i dibattiti scomodi di mezzo.