Parlo in questo caso specifico della nuova legge che regolamenterà l’accesso alla giustizia lavorativa per i lavoratori stranieri in Israele. Nello stato israeliano circa 170.000 stranieri lavorano in settori come quello dell’edilizia e dell’agricoltura, di cui circa 55.000 mila sono palestinesi (compresi, ovviamente, coloro che abitando in territori occupati sono considerati stranieri in casa loro). La nuova riforma promossa lo scorso agosto dal Ministro della Giustizia Ayelet Shaked prevede che gran parte dei lavoratori appena citati dovranno depositare una cauzione al momento della stipula del contratto per poi poter, eventualmente, citare in giudizio di fronte al giudice il proprio datore di lavoro.
Con questa nuova norma, lo stato di Israele viola (nuovamente) i più basilari principi di uguaglianza che prevedono la necessità di eguale trattamento per i lavoratori, a prescindere da quale che sia il loro paese di origine. E questo dovrebbe prevedere, ovviamente, anche uguali condizioni per l’accesso alla giustizia lavorativa. Nonostante la consapevolezza della violazione, il governo va avanti per questa strada nel tentativo di stroncare sul nascere una fantomatica “intifada legislativa” che vedrebbe questi lavoratori fare causa agli imprenditori israeliani per colpirne lo stato e l’economia.
La normativa, conosciuta come “regolamentazione della Valle del Giordano” pone diversi interrogativi anche da un punto di vista puramente procedurale. Non solo perché la legge è stata approvata in modo molto rapido, in assenza di qualsiasi dibattito, ma anche perché la legge israeliana prevedrebbe che la richiesta di cauzione al lavoratore può essere applicata solo in circostanze molto particolari. E dato che i molti precedenti mostrano come i tribunali del lavoro della Cisgiordania abbiano emesso sentenze spudoratamente ad esclusivo vantaggio degli imprenditori, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio mescolamento della funzione giudiziaria con quella esecutiva e quella legislativa.
Un’altra umiliazione si aggiunge quindi alla lista di quelle subite da un popolo martoriato da decenni: l’umiliazione del non vedersi riconosciuto il diritto al lavoro e quindi di non vedersi riconoscere la possibilità di sopravvivere con dignità.