Il libro, scritto in inglese e pubblicato nel 2014 (edito in italiano da Lorusso Editore, 120 pp. 12 euro), è una raccolta di 23 racconti scritti da 15 giovani ragazze e ragazzi palestinesi di Gaza, parte di una generazione che ha sofferto enormemente la ghettizzazione, l'oppressione e le efferate operazioni militari condotte da Israele.
Il progetto è nato dall'idea di Rafaat Alareer, professore universitario all'Università di Gaza, di aprire, a seguito della devastante operazione militare israeliana Piombo Fuso, un laboratorio di scrittura creativa rivolto ai proprio studenti. L'esito di questo percorso creativo ha dato vita a una serie di racconti che parlano per lo più di quotidianità, fra paure, speranze, angosce e sogni ma in un contesto in cui l'ombra lunga della distruzione portata dall'esercito israeliano permea tutta la narrazione.
Il libro è stato presentato giovedì 5 Maggio alla biblioteca Pieraccioni di Firenze, iniziativa promossa dal COSPE e da Assopace che ha preso la forma di un dialogo aperto fra Gianni Toma, responsabile dell'area mediorientale del COSPE, e una delle autrici, la giovane palestinese Rawan, che studia lingue ad Oxford.
Rawan che è anche una delle più giovani scrittrici, ha contribuito con tre racconti al volume collettivo. In questi, emerge il tema fondamentale della ferita psicologica e del trauma dei sopravvissuti ai raid aerei israeliani, spesso pervasi da un forte senso di colpa per essere riusciti a rimanere in vita quando attorno a loro si contano cadaveri a dozzine. Sentimenti che nella narrazione sono restituiti e portati alla luce tramite gli occhi di un ragazzino che vede i suoi compagni morire a causa di una bomba sganciata da un aereo mentre inermi e ignari, giocano a calcio in strada.
La stessa forza narrativa la troviamo in un altro racconto che ha per protagonista un bambino che getta un sasso dall'altra parte del muro che cinge Gaza aspettandosi di sentire un rumore o una reazione ma che invece non riceve nessuna risposta. Qua emerge l'immagine di un nemico, l'esercito israeliano, onnipresente ma allo stesso tempo invisibile, una macchina di morte e distruzione asettica e impersonale, una forza bellica devastante che si nasconde dietro un muro senza farsi vedere, ma pronta a colpire con letale rapidità e stupefacente forza distruttiva, così forte che può permettersi la totale indifferenza nei confronti del gesto di un bambino che più che essere di sfida è di curiosità.
Sebbene i racconti siano di fantasia, le vicende si legano alle esperienze personali degli autori, che hanno tutti vissuto in prima persona l'attacco distruttivo compiuto dall'esercito israeliano fra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 facendo risultare vivido e sincero quel turbinio di ansie e spaventi che ogni nuovo raid aereo porta, alimentando la paura di poter essere i prossimi a essere colpiti. Al di là del dramma di Piombo Fuso, si restituisce l'idea di essere perennemente sotto attacco, in uno stato di perenne precarietà. Sebbene Rawan possa forse considerarsi più fortunata degli altri giovani scrittori, molti dei quali vivono ancora a Gaza, l'impossibilità di immaginare e pianificare un futuro è una sensazione amplificata dalla consapevolezza che le sue possibilità di rientrare a casa nella sua Gaza per rivedere e riabbracciare la sua famiglia sono alla totale mercé delle autorità israeliane.
La bellezza e la resilienza di un popolo oppresso passano anche attraverso queste espressioni artistiche che cementano una memoria collettiva. Gaza Writes Back è una forma di resistenza, una piccola crepa in quel muro di odio.
Immagine da gazawritesback.wordpress.com