Giovedì, 18 Aprile 2013 00:00

Venezuela: le ragioni della vittoria risicata

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La vittoria di Maduro nelle elezioni presidenziali venezuelane del 17 aprile è avvenuta d'un soffio e pone perciò una serie di questioni sulla prospettiva della rivoluzione socialista bolivariana. Non si tratta tanto della mobilitazione di piazza promossa dall'opposizione e della sua contestazione del risultato: non è il primo tentativo, né forse l'ultimo, di rovesciare il governo socialista da parte di una coalizione tanto eterogenea quanto nelle mani di una delle più fetenti oligarchie latino-americane, e non le sarà dato, ritengo, alcuna possibilità di farcela.

Né si tratta della pressione di Stati Uniti (figurarsi), Spagna (idem), ecc. affinché i voti vengano riconteggiati, altrimenti non riconosceranno il risultato: due pulpiti della correttezza istituzionale e nei rapporti con l'America latina che non è il caso di commentare. Tra l'altro, tutte le elezioni venezuelane, da quella che vide la prima vittoria di Chávez a quella adesso di Maduro, sono state accompagnate da una pletora di osservatori anche ufficiali, molti dei quali ostili, e sono sempre risultate non truccate. Si tratta invece di ciò che una vittoria tanto striminzita segnala.

A detta generale, sia da parte di osservatori che da parte bolivariana, le questioni obiettive che hanno indebolito la candidatura di Maduro sono soprattutto tre. Trascuro una di esse, ovvia e ineliminabile: Maduro non era (né sarà) in grado di realizzare il rapporto che Chávez aveva con la maggioranza del popolo del Venezuela. Chávez veniva votato da essa perché essa si fidava di lui e lo appoggiava anche a prescindere dai risultati concreti del processo socialista bolivariano. La prima questione che tratto, allora, è data dal fatto che il governo socialista non è riuscito a porre termine all'altissimo livello di criminalità urbana, in particolare nella capitale Caracas (oltre sei milioni di abitanti, un quinto del totale del paese). Il Venezuela spartisce su questo terreno una situazione che copre l'intera area centrale americana, dal Messico a Panama: dove a causa delle attività del narcotraffico e di quelle della criminalità diffusa i morti ammazzati si contano ogni anno, paese per paese, a decine di migliaia. Ascoltai tempo fa la leggendaria Alba Estela Maldonado, già comandante Lola del movimento guerrigliero UNRG, poi segretaria del partito legale sorto da questo movimento, dire agli europei invitati a una riunione del Forum di San Paolo (l'organismo che unisce la totalità delle sinistra latino-americane) come nella sua parte del mondo la vita delle persone non valesse niente. Non credo (potrei sbagliare) che la criminalità nelle città venezuelane sia aumentata in questi anni, anzi credo che sia un po' diminuita: tuttavia (a parte il fatto che il tema è tra quelli fondamentali dell'agitazione controrivoluzionaria) è il fatto stesso del miglioramento delle condizioni di vita e dell'uscita da una precarietà assoluta di cui ha beneficiato la larga maggioranza della popolazione venezuelana ad aver fatto crescere richieste aggiuntive, per così dire, rispetto a quelle precedenti, tra le quali, appunto, la fine delle bande e degli spacciatori nei barrios, non solo nei quartieri borghesi, la fine del pericolo di essere ammazzati nel corso di una rapina, ecc.

La seconda questione è data, a sua volta, dal fatto che all'inflazione si sono recentemente aggiunte ricorrenti svalutazioni della moneta venezuelana, il bolivar, che ne hanno dimezzato il valore in relazione al dollaro. Ciò ha non solo incentivato l'inflazione, ha anche dimezzato il il valore di risparmi, pensioni, salari. È vero che pensioni e salari tendono a essere più o meno rivalutati e che una parte consistente della popolazione (quella povera) beneficia della possibilità di acquistare generi di prima necessità, alimentari e d'altro tipo, a prezzi politici stracciati. Tuttavia è anche vero che una parte della popolazione povera di un tempo è meno povera, percepisce salari o stipendi decenti, fa qualche risparmio, sicché per essa l'inflazione fa in ogni caso problema, incide sulla possibilità di accesso a beni durevoli, sulla pianificazione familiare a lungo termine, ecc. Neanche qui è questione di ciò di cui parlano la controrivoluzione interna e i loro sodali all'estero, che il potere bolivariano avrebbe portato il Venezuela sull'orlo del collasso economico. L'inflazione è l'effetto di misure sociali avanzate e di un avvio di infrastrutturazione e di industrializzazione del paese, che data la sua estrema arretratezza economica non può che spendere di più di quel che entra nelle sue casse come rendita petrolifera e come tasse: ma al tempo stesso ciò incrementa la produzione di ricchezza, quindi porterà via via a maggiori entrate pubbliche, quindi a un riequilibrio dei conti dello stato. Tra l'altro nelle condizioni di bilancio del Venezuela è la gran parte del pianeta, e il crollo delle economie l'esperienza ci dice da tempo che ha cause che sono di tutt'altro tipo. Una parte delle classi medie venezuelane ha appoggiato in passato il socialismo bolivariano: oggi esso appare invece in deficit di egemonia soprattutto su questo versante. Le entrate di commercianti, professionisti, piccoli imprenditori dell'industria e dell'agricoltura non dispongono di alcuna scala mobile. Non è cosa da poco: di questa parte della società venezuelana il socialismo ha gran bisogno, prima di tutto sul piano dello sviluppo economico.

Emergono al tempo stesso anche problemi più di prospettiva. Se, paradossalmente, tra i risultati delle politiche socialmente benefiche, non solo di limiti, sottovalutazioni o errori, del governo socialista c'è un calo del consenso sociale, il percorso socialista stesso non può non risentirne. Se tra i risultati della crescita di intelligenza politica nella popolazione e della sua partecipazione democratica c'è una critica più accentuata al governo socialista, il percorso socialista non può non risentire anche di questo. Storicamente in tali situazioni le strade sono state due, nelle altre esperienze socialiste: una superiore verticalizzazione del potere, una riduzione della partecipazione politica alla parte sociale che appoggia il potere, limitazioni all'agibilità dell'altra parte e delle sue formazioni politiche di riferimento. Alcune di esse in Venezuela lo meriterebbero: ma è questa, lo si è visto storicamente, una strada senza sbocchi. Questa strada, inoltre, è stata argomentata da obiettivi di generalizzazione radicale del socialismo, o da obiettivi di più rapida industrializzazione, o da tutt'e due le cose. Tuttavia ciò che concretamente lungo il suo percorso accade è la graduale passivizzazione della parte di popolazione che appoggia il socialismo e la burocratizzazione sempre più autoritaria e inefficiente del potere. Il risultato elettorale non va quindi elaborato, io credo, come indicazione di fatto ad accelerare, anche qualora l'opposizione controrivoluzionaria tenti il rovesciamento violento del potere socialista: bensì a ragionare assieme al popolo su obiettivi e loro ritmi, aprendo completamente le orecchie. Il risultato elettorale va preso, io credo, come un insegnamento prezioso non solo circa la realtà del Venezuela in questo momento ma anche riguardo al percorso che la rivoluzione socialista è bene che segua, se vuole rimanere vicina al popolo, se vuole rimanere effettivamente democratica, se vuole continuare effettivamente a svilupparsi senza altri rischi che quelli determinati da nemici esterni. Da questo punto di vista il fatto che in Venezuela il sistema istituzionale si basi su una forma molto articolata e sviluppata di democrazia partecipata di popolo, non solo sulla democrazia politica, rappresenta una grande risorsa: solo attraverso un rapporto ancora più intenso del potere socialista con le classi popolari può essere trovata, infatti, la strada giusta, possono essere superati problemi ed errori.

Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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