Venerdì, 15 Marzo 2013 00:00

Nel teatro della democrazia di massa

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A numeri acquisiti e – si spera – elaborati da qualche settimana, possiamo forse approntare una prima analisi dei fenomeni elettorali, nonché del loro percezione a livello sociale e del loro impatto sui corpi intermedi della nostra democrazia rappresentativa.

Non ci perderemo però nell'analisi di flussi e dati, argomento tedioso su cui già si sono spesi fiumi d'inchiostro e tema capace di far abbandonare anche a personalità incommensurabilmente più autorevoli dello scrivente le vesti dello scienziato per quelle dello stregone, capace di ricavare notevoli profezie dalle interiora di qualche sfortunato animale.

Dai dati però è possibile partire per elaborare una serie di considerazioni forse un po' meno ovvie, proseguendo a ritroso.

Le urne ci hanno consegnato diversi vincitori e vari sconfitti: ha vinto la demagogia, ha vinto la confusione, ha vinto un'idea di democrazia vecchia e nel contempo ha vinto un'azione politica ultramoderna; ha perso il politicismo, ha perso il “voto utile”, ha perso il voto di classe e le opzioni politiche hanno perso – ulteriormente – in classismo. Procediamo con ordine (per ragioni di spazio la trattazione richiederà più di un articolo).

Demagogia

Demagogia è il predominio della potenza della forma comunicativa sul comunicabile, della capacità del metodo sul merito.

Si è rivelata un'arma spaventosa, capace di dare forma ad una moltitudine massacrata dalla crisi sfruttando il diffuso precosciente malcontento fornendo al furore un rabberciato sembiante di visione del mondo oppure raccogliendo il malcontento nichilista della gran massa degli ex membri della classe media e medio-bassa socialmente declassati.

Sono queste, rispettivamente, le tattiche di Grillo e di Berlusconi.

Scendiamo più nel dettaglio.

Il Movimento Cinque Stelle è essenzialmente post e non ideologico, come per altro rivendicato dai suoi esponenti.

Grillo è riuscito a formare una comunità politica di militanti, eletti ed elettori incoerentemente coesa sulla base di un'idea di democrazia organica, schmittiana, quindi su un'idea di popolo sovrano presupposto come omogeneo ed unitario. Inevitabilmente, con un semplice gioco dialettico si separa la “casta”, depositaria di ogni sorta di male, dal popolo, che così risulta essere automaticamente purgato di ogni grettezza attuale e potenziale. È evidente la presa che questa idea – e il suo difficilmente occultabile carattere autoassolutorio – può avere su una massa rabbiosa e bramosa di rivalsa.

Ovviamente non esiste nessuno spazio per il pluralismo, per la convivenza di corpi politici di eguale legittimità e importanza. La pluralità è riassunta nel movimento, attorno alla Volontà indiscutibile; il resto non è vitale, è d'intralcio, è vecchio, è morto e va spazzato via, nell'insignificanza.

Il «vogliamo il 100% del Parlamento, poi ci scioglieremo» di Grillo non è una boutade, bensì semplicemente il naturale fine ultimo di chiunque agisca in base a una simile concezione politica.

Innovativa la demagogia “grillina”, conosciutissima e collaudata quella berlusconiana, argomento analizzato infinite volte sul quale è inutile spendere più di poche righe.

Berlusconi ha saputo resistere del fallimento del suo Governo, alla responsabilità di aver sostenuto le misure dell'esecutivo Monti e ai guai giudiziari che lo hanno colpito facendosi passare, ancora una volta, come colui che avrebbe abbassato le tasse, specie l'odiatissima IMU.

Le sue sparate hanno fatto presa sulla classe media in fase di impoverimento, ovvero su un elettorato che apprezza più gli slogan che i programmi, che si sente vessato da un fisco iniquo ed arbitrario, di opinioni larvatamente antistataliste.

Nessuno nega che il sistema fiscale italiano presenti criticità ed iniquità, ma fosse veramente diffusa una consapevole volontà di cambiamento non si spiegherebbe il successo di questo tipo di vane promesse a confronto con la pochezza dei consensi mobilitati dalla proposta di introduzione di una tassa sui grandi patrimoni e sulle rendite finanziarie.

Infine, restando concentrati sulla demagogia, ma abbandonando i nostri attori politici e salendo ad un piano più trasversale, è necessario dire che magra figura hanno fatto anche gli intellettuali nazionali: elemento evidente di questa breve campagna elettorale è stato anche il loro ruolo ancillare, meramente propagandistico; con rarissime eccezioni alla regola.

Gli intellettuali hanno sostanzialmente abbandonato ogni velleità critica a tutto vantaggio di un modello a metà tra il virtuoso buffone di corte medievale e il testimonial pubblicitario.

Si sono sprecati dubbi appelli e comparsate di personaggi di gloria recente o passata, ora per uno ora per un altro candidato, a favore di giornalisti troppo assuefatti per non fungere da megafono.

Gli intellettuali di questo paese hanno, in poche parole, anche questa volta scambiato la psicagogia con la demagogia.

L'ideale non ispira più, l'ideale nemmeno detta ed esige: l'ideale è scomparso ed al suo posto è stato messo il consenso. Lo splendore dell'opera è ormai solamente lo splendore del nome, affiancato dall'immancabile titolo; il tutto spendibile nel teatro della democrazia di massa.

Immagine tratta da razsmidnightmacabre.blogspot.it

Ultima modifica il Giovedì, 14 Marzo 2013 11:36
Niccolò Bassanello

Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all'Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all'Università degli Studi di Torino. Mi interesso di filosofia delle scienze sociali, antropologia culturale, diritti delle minoranze e studi sull'educazione. Intellettualmente sono particolarmente influenzato dai lavori di Polanyi, Geertz, Wittgenstein e Feyerabend, su cui mi sono formato, oltre che dal postoperaismo e dal radicalismo statunitense. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l'animazione, i fumetti ed il vino.

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