Domenica, 10 Febbraio 2013 00:00

Precari a scuola. Il futuro senza futuro

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Ogni settore del mondo del lavoro è ammorbato dal precariato. Gli argomenti che tentano di spiegarne l'esigenza chiamano in causa l'inevitabilità del capitalismo e il primato del profitto. Superati per il settore dell'economia privata, essi appaiono del tutto inconsistenti quando si parla di servizi pubblici. E se si parla di scuola, essi riassumono errori politici e sintesi antistoriche che, soprattutto negli ultimi venti anni – quelli del rampantismo neoliberista – hanno ridicolizzato la vita, lo studio, la socializzazione di migliaia di persone.

Un'istantanea dei numeri ci fa capire che il problema è serio: il lavoro precario a scuola tocca 300.000 iscritti a vario titolo nelle graduatorie docenti e un numero ancor più grande nelle graduatorie degli ATA in cui, giova ricordarlo, sono inseriti i collaboratori scolastici e su cui si è abbattuta pesantemente la mannaia di tutti i governi, cosa non estranea alle infime condizioni di sicurezza e manutenzione in cui si trovano le nostre istituzioni scolastiche. L'assenza di una politica partecipata e lungimirante di investimenti strategici sull'istruzione è stata coperta, nella passata legislatura, da una serie di iniziative demagogiche, spesso caldeggiate da sindacati gialli o fiancheggiatori, che hanno solo prodotto u

na spaccatura orizzontale del fronte sindacale fra questi ultimi e la CGIL, episodicamente affiancata dalla critica (spesso necessaria) dell'universo di base. Eppure la gestione dei contratti a tempo deteminato nella scuola è da sempre demenziale. Le norme che la sostengono si inseguono, si intrecciano, si contraddicono in gerarchia e in metodo.

Il sistema delle graduatorie, disegnato per i docenti dalla legge 124/99, operante con un sistema di punteggi e fasce, non ha retto alle crisi dovute alla questione mai risolta del reclutamento e alla politica di tagli lineari e spinte centrifughe territoriali talvolta provocate da forze politiche governative.

Nel 2006 la trasformazione delle graduatorie permanenti, veri e propri concorsi per soli titoli, in graduatorie ad esaurimento, ha segnato l'inizio di una massa di contenzioso giudiziario senza eguali: uffici provinciali commissariati; sentenze disattese; gruppi di avvocati occasionalmente trasformatisi in sindacati professionali. Questo perchè quella riforma avrebbe dovuto essere coordinata ad una massiccia immissione in ruolo di 150.000 docenti. I buoni propositi incontrano spesso delle difficoltà, ma in questo caso si scatenò l'Olimpo: il governo Prodi II cadde e l'esecutivo seguente, nel nuovo asse Tremonti- Gelmini preferì tagliare 87.000 cattedre con cosiddetti risparmi di otto miliardi di euro e drastica riduzione di organici, plessi e servizi, celati malamente dalla scusa dell'armonizzazione europea dei conti.

Forse il lato più allarmante, dietro queste raccapriccianti politiche, è la scomparsa di taluni servizi scolastici, ancora una volta a scapito delle fasce più deboli della popolazione.

Sulla polverizzazione dell'istruzione professionale non basterebbero parole descrivere la fine del dialogo integrativo scuola-lavoro -strumento di interfaccia interculturale anche per intere generazioni di migranti-, sostituito dal concetto neoconservatore di alternanza fra le due agenzie sociali replicante, in forma moderna, lo schema divisionale della riforma Gentile.

Per non parlare della mortificazione sofferta dall'occupazione femminile, colpita due volte da queste sciagure: la prima perchè una larga maggioranza del numero dei precari espulsi sono donne, con alta professionalità e scolarizzazione; la seconda perchè il taglio di personale ha colpito in maniera mortale il tempo pieno nella scuola primaria, un sistema che per anni ha garantito alla scuola pubblica italiana l'avanguardia nelle teorie pedagogiche oltre che, in un paese dal welfare latitante, un supporto all'occupazione femminile, spesso stretta fra scelte affettive e professionali quasi mai appaganti di lunghi periodi di studio e sottoccupazione.

Forse qualcuno ha dimenticato che, se la rimozione delle cause di diseguaglianza sociale è compito dello Stato, i servizi pubblici – scuola in primis – sono strumenti di questa funzione. Essi non possono essere gestiti in maniera ragionieristica, con organici e divisioni del lavoro millimetriche. Essi devono necessariamente sfuggire alle logiche di mercato, perchè la sicurezza e il progresso sociale non si possono mercificare. Nella scuola della Costituzione, non c'è spazio per i tagli o per il soprannumero.

Immagine liberamente tratta da flickriver.com

Ultima modifica il Venerdì, 08 Febbraio 2013 18:11
Antonio D'Auria

Sono nato a Castellammare di Stabia, cuore operaio nel Golfo di Napoli, nel 1979. Sono educatore al Convitto Nazionale di Prato e militante in Rifondazione Comunista. Di formazione sociologica, il mio interesse è per il mondo della scuola, con particolare riguardo alle politiche culturali e alle implicazioni sociali.

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