Sabato, 27 Aprile 2013 00:00

Napolitano e il Parlamento, secondo un costituzionalista

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In questi giorni, così intensi e così delicati, si sono avute dichiarazioni roboanti sulla costituzionalità della rielezione di Napolitano. Molti soggetti hanno parlato di Golpe, altri di Golpettino, altri ancora di Golpe bianco. Ma è così o il tutto è stato deciso nel solco della Costituzione Italiana? Lo chiedo al Professore di diritto costituzionale presso l’Università di Roma Tre, Massimo Siclari, componente fino all’anno scorso del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti.

1. Partiamo dalle basi: Cosa dice la Costituzione e cosa prevede la prassi consolidata per l’elezione del Presidente della Repubblica?

Il Presidente della Repubblica italiana è eletto da uno speciale collegio, previsto dall’art. 83 Cost.: si tratta del Parlamento in seduta comune, integrato con rappresentanti delle Regioni. In particolare, ogni Regione ha il potere di designare tre delegati, ad eccezione della Valle d’Aosta che può esprimere un solo delegato.

2. L’elezione del Presidente della Repubblica spetta al Parlamento in seduta comune. Perché i costituenti hanno scelto questa formula? E ancora: è condivisibile l’opinione che vuole legare la più alta carica dello Stato con una elezione diretta?

La formula è stata scelta dai costituenti in ragione della rappresentanza dell’unità nazionale spettante al Presidente della Repubblica. Dunque un’assemblea ove, come si è detto, siedono tutti i parlamentari nazionali ed i rappresentanti degli organi legislativi regionali. Personalmente, non condivido per niente l’idea dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica. Ritengo che sarebbe una scelta semplificatoria e che permangano intatte le ragioni che indussero i costituenti a rifiutarla in quanto inadatta alla realtà italiana. Aggiungo che nel 2006, con referendum, l’elettorato ha rigettato anche l’idea di un elezione diretta del premier, implicitamente confermando la decisione del 1947 in favore di un sistema parlamentare.

3. Napolitano, scavalcando prima l’ordine tra formazione del governo ed elezione del Presidente della Repubblica e poi accettando la sua rielezione, ha innovato o è andato oltre la Costituzione? E chi parla di golpe ha ragione o torto?

Il Presidente ha compiuto una scelta costituzionalmente corretta ed entro i limiti dei poteri che la Costituzione gli garantisce. Mi sembra del tutto fuori luogo parlare di golpe (del resto chi l’ha fatto se lo è rapidamente “rimangiato”). C’è stato un libero voto parlamentare e la disponibilità di Giorgio Napolitano è stata sollecitata da diversi leader politici e presidenti regionali, in rappresentanza di quella che col voto di sabato si è rivelata essere un’ampia maggioranza.

4. Lei condivide la scelte, prese in questo periodo istituzionale molto fragile, del Presidente della Repubblica? Che consigli avrebbe dato al Presidente rieletto?

Lo ripeto, il Presidente ha assunto le sue scelte discrezionalmente, nell’ambito dei poteri che la Costituzione gli conferisce. Difficile consigliargli qualcosa di diverso, in presenza di forze politiche rissose, che non sono state in grado di superare la crisi di governo apertasi a dicembre. Dopo il voto di febbraio, peraltro, il Presidente non poteva agitare lo spauracchio di un nuovo scioglimento, essendo a fine mandato.

5. Anche a Ciampi fu proposto nel 2006 la rielezione. Il presidente rispose dichiarando: "Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. È bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, qual è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato». È vera anche questa affermazione, nonostante la regolarità costituzionale?

È vera, ma sono diverse le condizioni attuali, se all’epoca si fosse verificata una situazione di stallo analoga a quella attuale e gli fosse stato chiesto con insistenza, probabilmente anche Ciampi avrebbe accettato. Nel 2006, al Senato c’era una maggioranza, pur risicatissima, ma, come dimostra la prima elezione di Napolitano, molto coesa. Niente di tutto questo è emerso nelle passate settimane.

Il nome di Napolitano è stato l’unico sul quale si è manifestato un consenso molto ampio, che, tuttavia, implica ora un impegno a formare rapidamente il governo ed a risolvere alcune questioni cruciali, pena lo scioglimento delle camere o persino le dimissioni del Presidente, come adombrato, a mio giudizio, dal discorso d’insediamento.

6. Di fatto, la rielezione di Napolitano è dovuta ad una forte divisione non solo fra vari partiti, ma addirittura all’interno degli stessi. Sembra esserci un declino della forma partito così come è conosciuta. Come riformare la vita di questi soggetti costituzionalmente tutelati?

Direi che la forma partito è in crisi da diverso tempo. Solo i partiti “personali” hanno dato verso l’esterno un’immagine di unità; nei partiti veri, le diversità di posizione sono il sale del processo decisionale democratico, ma non può mancare una sintesi, senza la quale, finisce per essere inevitabile l’erodersi dell’unità necessaria in momenti cruciali, anche per essere credibili verso l’esterno. Sotto un profilo culturale, si avvertono i danni prodotti dal bipolarismo coatto, frutto dell’ideologia del maggioritario, che si è insinuata anche all’interno dei partiti: del muro contro muro, cui più volte abbiamo assistito. D’altro canto, occorre che i partiti facciano i conti sia con la funzione affidatagli dalla Costituzione, che è quella di essere lo strumento di codeterminazione democratica della politica nazionale da parte dei cittadini, sia con le esigenze di democrazia partecipativa che emergono con forza dalla società civile.

7. Le sarebbe piaciuto Rodotà presidente?

Si, era il mio professore di diritto civile, e già nel 1978/79, ci metteva in guardia dalle insidie delle raccolte dati in formato elettronico. Nonostante gli ottant'anni è di una lucidità e di una vigoria invidiabili, ma non era una soluzione praticabile con questo Parlamento, o meglio, forse sarebbe stato anche possibile ma era una candidatura che avrebbe dovuto maturare, come quella di Prodi.

Immagine liberamente tratta da qn.quotidiano.net

Giuliano Sdanghi

Nato a Roma, ma vivo a Bracciano dall'infanzia. Diplomato ragioniere, sono responsabile di varie realtà associative. Grazie allo studio del francese, i miei interessi si sono ampliati alla Francia, in ogni suo aspetto.

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