Lunedì, 01 Gennaio 2018 00:00

Il perché del no alla beneficenza

Scritto da
Vota questo articolo
(2 Voti)

Il perché del no alla beneficenza

A Natale siamo tutti più buoni, ma il mondo che ci circonda è cattivo come al solito. Anzi, in questo periodo le situazioni tragiche sembrano ancora più tragiche. Forse sarà a causa del freddo che ci attanaglia e si fa sentire particolarmente mentre siamo a caccia di regali. O magari le luci del Natale mostrano ancora più chiaramente la miseria di coloro che vivono in strada e non hanno proprio nulla da festeggiare. Oppure semplicemente è una mania dei giornalisti andare a caccia, in questo periodo, di storie da "Libro Cuore" in cui il Buono, rappresentato dall'uomo qualunque, riesce a portare a un povero essere sfortunato un po' della magia del Natale, sotto forma di cibo, o un qualsiasi oggetto che riscaldi un po' la sua fredda esistenza.

Se da un lato questa situazione non può che renderci felici, sia per la sorte dello sfortunato di turno sia per la presenza nel mondo di qualche anima gentile, se ci soffermiamo a pensare a "cosa sarebbe successo se..." siamo costretti a riconoscere che certe situazioni non dovrebbero essere risolte da una qualsiasi anima pia. Ci dovrebbe infatti essere una rete di protezione che garantisca a tutti di poter avere il necessario per garantirsi un'esistenza dignitosa. E non soltanto a Natale.

Soffermiamoci un attimo a pensare: cosa sarebbe successo se quel giorno la Persona Buona avesse deciso di non acquistare un libro per suo figlio e quindi non fosse passata davanti al negozio dove il mendicante trascinava la sua triste esistenza chiedendo qualche spicciolo? E comunque, a meno di casi davvero particolari non si può pensare che una semplice elemosina possa cambiare la vita di qualcuno. Finiti gli spiccioli, tutto torna alla normalità: ovviamente se la somma donata non viene, come troppo spesso accade, requisita dai gestori del racket che controlla i mendicanti. Certo, l'episodio resterà negli annali delle buone azioni natalizie. Ma a chi vive in una situazione di povertà e sofferenza non interessa la gloria, preferirebbe cambiare la propria vita in incognito. Ed è qua che nasce il problema di base: è inconcepibile che determinate situazioni debbano essere gestite dalla beneficenza privata. Lo Stato non può pretendere che un qualsiasi cittadino si faccia carico non soltanto della propria sussistenza, ma debba contribuire a quella del proprio prossimo.

"E quando mai lo Stato lo pretende?" potrebbe essere la risposta di un qualsiasi amministratore, a tutti i livelli. Certo, nessun sindaco punta la pistola alla tempia di nessuno per far sì che venga fatta la carità ai poveri. Ma d'altronde non si mettono neanche in atto, o comunque non abbastanza efficacemente, politiche di contrasto alla povertà. Certo, sicuramente non è facile risolvere il problema della fame, non soltanto nel mondo, ma neppure in una singola città. Non è questo il posto per suggerire rimedi magici, ammesso che esistano. Ma è opportuno cambiare atteggiamento riguardo al modo di considerare, e soprattutto raccontare, appunto la beneficenza. C'è poco da gioire se un povero riceve l'elemosina. Quello stesso povero dovrebbe essere messo in condizione di non aver bisogno di carità. Oltre al motivo cui si accennava prima è innegabile che dipendere dalla bontà di un'altra persona, addirittura estranea, ponga il ricevente in una posizione di inferiorità rispetto al datore di elemosina.

È inutile gioire per la bontà umana: intanto chiediamoci se di vera bontà si tratti, o piuttosto del desiderio di lavarsi la coscienza. Ma poi, davvero siamo convinti che sia risolutivo dare qualche monetina a chi tende la mano? Se davvero volessimo fare la differenza per queste persone dovremmo chiedere a gran voce politiche sociali più giuste, a tutti i livelli: dalla garanzia di cibo per tutti, di un tetto sopra la testa fino ad arrivare alla possibilità per tutti di garantirsi un'istruzione, non solo di base (e già sarebbe qualcosa), ma anche specialistica, per coloro che vogliono e se lo meritano. Magari ci consoliamo dicendo che comunque le monetine che diamo in un freddo pomeriggio di Dicembre possono servire a garantire un panino, o comunque qualcosa che tamponi momentaneamente la sofferenza fisica. Ma... una volta digerito il panino? Il clochard di turno è condannato a tornare sullo stesso marciapiede a tendere la stessa mano sperando di raggranellare qualche altro spicciolo per un altro panino. Tutto questo in una deprimente eternità, indegna da sopportare soprattutto nel periodo delle feste di Natale, spesso votate alla corsa ai regali.

È logico, garantire l'istruzione potrebbe sembrare sulle prime addirittura un ostacolo al sostentamento; infatti un bambino se è impegnato a seguire le lezioni non può stare in strada a mendicare: e si sa, la gente è bravissima a farsi commuovere da bambini, anziani e disabili. Ma se ragioniamo sul lungo periodo ci rendiamo conto che quell'istruzione ottenuta 'rubando' tempo alla mendicità, potrà offrire alla persona un'esistenza più agiata, soprattutto lontana dalla necessità di dipendere dal buon cuore di qualcuno. Ed è questa la sfida: far rendere conto chi è parte in causa della bontà di questo salto in avanti, in una realtà per certi versi sconosciuta e quindi un po' paurosa. Tutti hanno in mente, almeno a grandi linee, cosa significa avere una vita agiata, ma magari non riescono a visualizzare in mente, o ancor meno a mettere in pratica gli step che conducono a tale condizione.

Perciò, a Natale siamo tutti più buoni? Dimostriamolo offrendo i nostri soldi per sostenere progetti strutturati gestiti da chi "sa quello che fa" e che soprattutto abbiano come fine l'autodeterminazione delle persone. Quando vogliamo far del bene a qualcuno dobbiamo tenere in mente la frase di Confucio: "Se una persona ha fame non regalargli un pesce ma insegnagli a pescare". Ma poi, ci rendiamo conto che a qualcuno potrebbe preferire la carne o il formaggio? Dobbiamo far sì che tutti abbiano possibilità di scegliere come imbandire il proprio cenone della vigilia. Perciò c'è poco da commuoversi all'ennesima storia sulla gentile signora che regala la coperta al poverello. Quel poverello non avrebbe dovuto aver bisogno della gentile signora! E dobbiamo sperare che in futuro ognuno possa comprarsi tutte le coperte che vuole, se le vuole, quando le vuole e come le vuole!

Immagine tratta liberamente da fineartamerica.com

Ultima modifica il Domenica, 31 Dicembre 2017 18:14
Elena Papucci

Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell'Arci.

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.