Lunedì, 26 Febbraio 2018 00:00

L'odio di classe nei confronti del popolo

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L'odio di classe nei confronti del popolo

In questi anni, spesso, si discute circa un probabile scontro tra civiltà. Tematica in grado di accendere gli inamidi un gran numero di persone, ridar linfa ai peggiori nazionalismi, e far credere che il sistema occidentale, nonostante tutti i problemi ed errori, sia comunque il migliore in assoluto.

I fatti internazionali, letti senza prender in considerazione i delicati equilibri imperialisti e geopolitici, hanno contribuito a creare questa idea. La quale avrà delle buone ragioni, ma non ha La Ragione.

Lo schematismo di pensiero, la realpolitik dei pavidi sono alcuni elementi su cui da decenni si basa e pone la discussione politica. D’altronde finiti i tempi delle ideologie, ci siamo convinti che la cosa pubblica e le relazioni internazionali si debbano basare su alcuni punti fissi, scevri da ogni ideologia che non sia quella del mercato libero. Trovo sempre molto divertente quando, durante una discussione, ti arriva il democratico di turno, con la “capa tanta”, l’ironia alla Burioni dei poveri, che limita l’agire politico ai voleri del mercato. Anzi, dell’economia liberista. Ogni critica è sintomo di populismo, demagogia, e l’immancabile: analfabeta funzionale. Come sempre si parte da un problema reale (notizie false, complotti ridicoli, posizioni allucinanti su vaccini) per condannare ogni tipo di protesta e rivendicazione provenienti da settori sociali delle classi meno abbienti.

Quello che manca da molto tempo, nei programmi e attenzioni dei partiti e movimenti, è proprio la presenza del popolo. Non tanto come punto di riferimento per ottenere voti facili, basti ascoltare quello che dicono i penta stellati, ma come forza attiva nella costruzione di una società ampiamente democratica e partecipativa. Un problema che investe gran parte del mondo politico. Perché a mio avviso, assolutamente opinabile, non si tengono conto di molti elementi: 1) Cosa significa Popolo? 2) Da chi è composto? 3) Quali sono le classi che lo contraddistinguono? 4) Siamo sicuri che sia votato all’ignoranza assoluta o, al contrario, possegga una natura rivoluzionaria? Io credo che oggi sia complesso dare una risposta precisa, non interna a una visione sommaria della sua composizione per luoghi comuni o di deboli ideologie, in quanto le classi sociali sono in stato di movimento e ristruttura, legate ai tempi di crisi e mutazione del capitale.

Questa incapacità di comprensione porta la classe borghese a cavalcare alcune tematiche, le quali servono a legittimare un potere totale, non solo sulle scelte politiche, ma anche culturali, morali, lasciando i proletari a far da spettatori passivi. Ad essi è richiesto di votare, non tanto un’idea di società e democrazia – per cui con speranza e fiducia nel futuro di tutti – ma per paura. Da una parte le destre  e gli allarmismi sui migranti, i poteri forti legati a massonerie, "Protocollo dei Savi di Sion" e tutte quelle scemenze capaci di far passare il Capitalismo, come una sorta di Spectre. Dall’altra i democratici, liberali, gente di una certa cultura, laureati e lavoratori autonomi, pronti a sostenere i diritti civili, ma non quelli sociali. Se le destre strumentalizzano il popolo creando nemici tra gli ultimi, a mo' di sfogo vigliacco – d’altra parte sono fascisti e sappiamo quanto siano coraggiosi costoro – dall’altra vi è una vera e propria lotta di classe al contrario.

Una lotta di classe cominciata quarant'anni fa, quando la spinta ribelle dei movimenti progressisti si bloccò distrutta dalla controffensiva dei padroni e dei loro interessi politici ed economici. Una parte di questo processo ha visto protagonista anche il nostro Paese. Lo ricordavo nello scorso articolo pubblicato sul Becco, lo riscrivo per rafforzare l’idea di definire una colpa precisa sulla sorte delle sconfitte delle sinistre, negli ultimi anni. La data è quella del 14 ottobre 1980. Ovviamente questo cambiamento è stato possibile per una variazione nei rapporti di forza, all’interno del mondo del lavoro e della società. Da allora il popolo non è stato un punto di riferimento politico come “testa d’ariete” per sfondare le porte di un potere padronale e per ricchi, ma una carta truccata, un parente che vorremmo tener lontano, un vago richiamo a confuse idee di potere dal basso.

Oggi si tende a pensare che i lavoratori siano tutti laureati, tutti bravissimi, ahimé ostacolati da governi cattivi che non permettono loro di vivere bene, “come all’estero” (idea fissa dell’italiano appartenete alla classe media è questo estero paradisiaco o figlio di una singolare esperienza personale). Non si parla più di lavoratori dipendenti, di lavori cosiddetti “umili”, migliaia e migliaia di persone scomparse dall’agenda del dibattito sul lavoro. In fin dei conti, da oltre venti anni, il mondo del lavoro è a uso e consumo degli economisti, di imprenditori spesso legati a singole idee vincenti o improvvisati, al mito tragicomico dell’autonomia lavorativa, dove tutti, ma proprio tutti, possono diventare ricchi aprendo a cazzo, attività su attività. Prego di sottolineare: a cazzo.

Per cui l’operaio, il manovale, l’uomo delle pulizie, una larga fetta di lavoratori vengono considerati – dai democratici, ben inteso – come degli imbecilli che non stanno al passo coi tempi, gente pleonastica alla quale andrebbe tolto il diritto di voto. Perché all’operaio che non avendo avuto la possibilità economica di studiare, deve esser tolto il voto – e non al giovane e rampante imprenditore che apre agenzie legate al lavoro su provvigione o fabbriche in cui non esiste la minima sicurezza? Non sono anche quelli danni forti alla società? Da una parte, il lavoro di utili idioti che con le loro stupidaggini complottiste hanno deviato la lotta popolare su terreni scivolosi, ha creato l’idea comune che sia sbagliato dar il diritto di voto a tutti. Da un’altra la palla è stata raccolta al balzo da quel ceto medio semi improduttivo, al quale non par vero far pesare una sua posizione sociale in qualche settore di lavoro legato all’economia e un foglio di carta, che ora si son ricordati di possedere.

Lo scontro tra civiltà lo viviamo da anni noi. Uno scontro classista, che vede le borghesie – visto che una Borghesia italiana vera e propria è da molti considerata inesistente – prendere il controllo su tutti settori della società, analizzando e cercando soluzioni legate al benessere dei loro pari. Questo è il pensiero del padroncino che pretende il posto al sole nel magico mondo del Mercato Libero, del capitan d’industria o del medico, uomo di cultura varia ed eventuale. Il popolo di fatto scompare come agente attivo, con tanto di reale voce in capitolo; per lui parlano studenti universitari a volte sostenitori di idee romantiche e borghesi, i democratici alternando sprezzo di classe e paternalismo moralista, lasciandolo in balìa delle destre. Chiaramente i liberal-capitalisti faranno poi leva sul voto utile per combattere contro il popolo fascista che sostiene le peggiori destre europee, senza rendersi conto che le loro politiche aggressive sul welfare, sul lavoro, l’istruzione, hanno portato le classi popolari a sfogare la loro rabbia, non contro ai professori, politici, esponenti delle classi abbienti, ma contro gli ultimi.

Oggi, quando si parla di lavoro, mi par di assistere di nuovo agli scontri tra lavoratori precari e tempo indeterminato, come spesso succedeva negli anni tra il vecchio e nuovo millennio. Una guerra assurda e tra poveri, che di questi tempi è diventata lo scontro tra lavoratori laureati, che hanno studiato e faticato per ottenere un posto nella loro perfetta società del merito e del capitale, scoprendosi traditi da essa ma incapaci di cercare una risposta che non sia il diritto a vivere una vita programmata con tutti i suoi agi e riconoscenze – meritate assolutamente visto che il lavoro intellettuale, scientifico, creativo, si basa su anni di sacrifici e fatiche – e la classe popolare, italiana e no, costretta da ambienti sociali, situazioni economiche, scarsa attitudine allo studio a ricoprire un ruolo considerato da molti marginale. Come se i nostri oggetti, le nostre case, non fossero costruiti da lavoratori proletari.

Il massimo della contraddizione di certi democratici poco liberali è quella legata alle decisioni politiche. Queste persone sono sempre in prima fila a chiedere verità su fatti internazionali che colpiscono paesi a noi nemici, sono sempre pronti a una parola su un qualche diritto civile – senza collegarlo a quelli sociali – sempre in cattedra a insegnare la democrazia al mondo, ma guarda caso le libertà di parola, pensiero, espressione e di scelta politica, non devono esser usate anche dal popolo. Confondendo una naturale ignoranza, dovuta a motivi politici ben precisi, con il fatto che esso non capisca nulla. Lo abbiamo visto con la storia del Brexit, o il voto a Trump, fino alla manipolazione delle notizie false, al fine di non permettere nessuna protesta dalle fasce che stanno in basso nella gerarchia sociale.

Credo che questo punto dovrebbe esser usato con forza dai compagni. Togliere la maschera ai sedicenti democratici, in realtà ascari del capitale o agenti della classe imprenditoriale immobilista ed egoista nel suo voler essere l’unica a godere dei benefici del mercato, e metter in chiaro che noi siamo i veri democratici. Quelli che reputano importante anche l’opinione del giovane venditore che lavora a provvigione, dell’operaio italiano o straniero, del manovale che lavora senza sicurezza, dell’uomo delle pulizie e dei contratti osceni delle varie cooperativeLa democrazia è di tutti e ritenere che non sia valida per alcuni gruppi sociali è un discorso classista e dei peggiori. Fa specie che persone tanto ben informate e di buon gusto dimostrino tutta la loro brutalità, ipocrisia, bassezza umana, quando parlano di loro concittadini e connazionali. Il problema di una certa ignoranza esiste e non si elimina chiudendosi nel nostro mondo dorato, ripetendo ogni volta che si è laureati o si fa un certo lavoro, il discorso di chiusura – da una parte gli istruiti e dall’altra il popolo – è tanto odioso quanto il peggior comizio fascista.

Le classi meno abbienti vivono sulla loro pelle le politiche delle democrazie liberal-capitaliste, comprendono cosa significhino nella realtà le belle parole e intenzioni delle classi dominanti. L’odio di classe che la borghesia da anni esercita sul popolo è un problema reale a vantaggio delle peggiori destre. L’unica cosa da fare è tornare a sporcarsi le mani, investire nell’unione tra lavoratori e sottrarli al vittimismo di categoria. Dar al popolo gli strumenti per decidere senza lasciarsi travolgere dalle cretinerie dei vari Salvini e dei complottisti. Certo, evitando romanticismi inutili, o il sostegno alle peggiori idee reazionarie come i simpatici rossobruni, ma con una collaborazione forte e continua tra la classe intellettuale e quella proletaria.

 

Immagine ripresa liberamente da u-magazine.it

Ultima modifica il Domenica, 25 Febbraio 2018 12:10
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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