Martedì, 25 Novembre 2014 00:00

Femminicidio, le parole sono importanti

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Secondo i dati dell’Eures il 2013 è stato "un anno nero per i femminicidi, con 179 donne uccise in pratica una vittima ogni due giorni".

Il dato, che resta chiaramente un dato gravissimo, come ci fa notare Loredana Lipperini (clicca qui) non è però quello dei femminicidi nel nostro paese, bensì il dato delle donne assassinate. Infatti all’interno in esso si trovano anche le 28 donne uccise dalla criminalità, un dato falsato che ci mostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la totale confusione in cui è avvolto questo termine.

Ma allora cos’è il femminicidio? Le parole, come ricordava giustamente Nanni Moretti, sono importanti ed allora in occasione del 25 novembre "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne" ci vediamo costrette ad evidenziare ancora una volta il significato i un neologismo usato e abusato.

 Cos’è questo termine che anche il correttore automatico del pc evidenzia in rosso?

Per il Devoto-Oli femminicidio è "qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte".

Un modo corretto per raccontare concretamente di una mattanza silenziosa che è tutt’altro che una questione nuova figlia del “dominio maschile sulle donne” quella che per Pierre Bordieu è “la più antica e persistente forma di oppressione esistente". Una violenza, quella di genere, che è presente in tutte le società, anche in quelle che si ritengono le più avanzate.

Il femmincidio ci narra di atroci escalation di violenze e/o vessazioni di carattere fisico, ci narra di mura domestiche, troppo spesso, trasformate in terribili carceri, di un sottostrato culturale che si contrappone ferocemente al processo emancipazione delle donne, ci narra di donne colpevoli di aver scelto di decidere, colpevoli di voler sfuggire a quello senso di strapotere, da quel bisogno di controllo incondizionato sproporzionato che, troppo spesso, pervade alcuni uomini, ci narra dell'inefficacia e dell’inadeguatezza della risposta istituzionale alla richiesta d'aiuto delle donne vittime di violenza.

Marcela Lagarde, antropologa e politica messicana, una delle rappresentanti di spicco del femminismo latinoamericano, tra le prime teorizzatrici del concetto di femminicidio l’ha definito come “La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale - che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”.

Femminicidio: un termine che parla di allarmanti storie realmente accadute nel nostro Paese, un termine che ci narra il destino orribile che ha legato insieme Maria, Stefania, Lucia, Alessandra, Teresa e molte troppe altre, un termine che lega insieme le loro vite spezzate, cosi come lega insieme quelle dei loro assassini, uomini giovani meno giovani: mariti, fidanzati, amici, parenti e/o conoscenti che hanno deciso i porre fine a quelle vite, di imporre con la forza il loro volere, uomini che hanno scambiato amore e possesso.

La violenza sulle donne, sia essa sfoci nel femminicidio o meno, è un fenomeno complesso che affonda le su radici nelle zone oscure della psiche umana, maschile e femminile, un fenomeno che narra delle profonde difficoltà nel modo i rapportarsi con ciò che è diverso da noi stessi.

La violenza sulle donne parla di persone, gli uomini non hanno la violenza nella loro natura cosi come le donne non hanno la gentilezza nella loro, per combattere questa piaga bisogna, appare oggi più evidente che mai, chiaramente educare: Educare alla non standirdazione delle caratteristiche umane, educare all’essere persona, educare all’amore, all’affettività, al rispetto, alla diversità fra i generi e rapporto egualitario fra di essi, dovrebbe essere uno gli scopi delle agenzie educative, per cambiare radicalmente la mentalità, fin dalla tenera età, sia degli uomini che delle donne. Educare anche all’assumersi la responsabilità di utilizzare un corretto linguaggio sia nel raccontar l’assassinio di una donna sia per mostrar che non esistono giustificazioni alla violenza prevaricatrice potrebbe essere uno i modi per fermare questa silenziosa strage.

Ultima modifica il Domenica, 23 Novembre 2014 17:42
Ketty Bertuccelli

Sono nata e vivo a Messina. Pensatrice sovversiva: antifascista, comunista, femminista, interista 

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