Erano gli anni in cui nei processi per stupro gli aggressori venivano imputati reati “contro la moralità pubblica e il buon costume” con la possibilità di optare per “matrimoni riparatori”. Furono gli anni delle lotte per il referendum sul divorzio, la legalizzazione dell’aborto, la contraccezione, la libertà di decidere sul proprio corpo, erano gli anni della scoperta e della rivendicazione del piacere femminile.
Un’impresa corale e collettiva fatta da migliaia di donne, componenti del caleidoscopico universo femminile che con orgoglio tentarono di riappropriandosi di un’identità per secoli schiacciata ed emarginata.
Erano tante, erano donne ed erano stanche le ruolo sociale a loro attribuito e si trasfigurarono tutte insieme in streghe che evocavano l’organo genitale femminile come atto rivendicativo di tutto ciò che non era mai stato detto e che era arrivato il momento di affermare con forza, gioia, rabbia, orgoglio e dignità.
Donne che diventarono una forza politica trasversale che ispirava timore e che, attraverso quel gesto, svelavano, come mai prima di allora, idee e sogni. “Un gesto che,- come scrivono le stesse autrici - così come compare, in una genealogia incerta, poi scompare (…) Spunta insieme ai movimenti delle donne, al femminismo. Insieme alla pillola anticoncezionale, ai consultori, allo speculum, al divorzio, all’aborto, ai processi per stupro, dopo le minigonne forse insieme agli zoccoli. Va a mettersi tra uomini e donne, tra marito e moglie, tra compagno e compagna, anche tra donna e donna. All’incrocio di relazioni amorose, affettive, familiari. Di rapporti di potere, di gerarchie, di forme di subordinazione. Di rapporti di produzione e di riproduzione”.
“Il gesto femminista” è un libro che prova a riflettere su di un atto che fa parte di una storia sovversiva e eccezionale come quella del movimento femminista capace di schierarsi apertamente contro la cultura patriarcale delle società capitaliste e cambiare l’immaginario dominante.
Un gesto di rivolta, considerato scabroso, rivoluzionario, potente e irriverente che significava al tempo stesso autenticità, affermazione e auto-determinazione, che ha attraversato la storia del movimento femminista e che diviene il filo rosso che attraversa tutto volume.
Il libro è composto da sedici saggi piuttosto eterogenei, scritti da militanti femministe, antropologhe, filosofe, registe, storiche, artiste che ripercorrono e narrano, in modo trasversale, il passato ed il presente, accompagnati da molte fotografie in bianco e nero: istantanee di donne, giovani e meno giovani, che quel gesto lo hanno fatto durante i cortei, foto di artiste che nelle loro opere lo hanno riprodotto e analizzato.
Un libro che, grazie al contributo di donne di generazioni differenti, ma anche grazie alla diversità degli approcci e alle conclusioni che le autrici giungono, mette in luce la diversità e varietà degli approcci femministi ai temi del lavoro, corpo, identità di genere, percezione di sé. Un testo scritto da donne differenti per storia e formazione ma che individuano in quel gesto la capacità di far breccia.
Capire l’origine di quel gesto che sconvolse il nostro Paese è tutt’altro che facile; spulciando fra le memorie femministe, Laura Corradi, nel saggio che apre la raccolta, ne rintraccia un’origine europea; la mossa simbolica appare per la prima volta ne “Le Torchon Brulè”, rivista femminista militante francese.
“Il gesto femminista” è senza ombra di dubbio una riflessione imprescindibile sul senso della libertà delle donne e sulla collocazione materiale e simbolica di un gesto che è divenuto un’icona. Un’icona la cui storia va ricostruita, non solo per salvaguardarne memoria, ma per rielaborarne le fasi e lo sviluppo come punto di partenza, da cui non si può prescindere, se si vuole raccogliere l’eredità del movimento femminista italiano.
Cosa resta oggi del significato politico del gesto femminista? Quel gesto è dunque finito o altre pratiche e discorsi ne hanno raccolto l’eredita? Si interrogano le autrici e ci interroghiamo spesso anche noi.
In questa fase in cui il neroliberismo sembra avere una vittoria schiacciante, oggi che la sessualità è diventa una delle componenti predominanti dell'identità femminile, ignorando le trasformazioni economiche e sociali che erano parte fondamentale delle proteste degli anni ‘70, nel momento degli show, ad uso e consumo dei riflettori, dei topless delle Femen e delle performance delle Pussy Riot, che senso ha parlare di un gesto fatto per strada che parlava di condivisione di lotte e non della spettacolarizzazione di queste?
Ricompare oggi il segno della vagina, testardo e audace, nei cortei contro la riforma spagnola sull'aborto proposta dal governo di Mariano Rajoy o nei V-days contro la violenza sulle donne promossi da Eva Ensler. Torna e pretende, oggi come ieri, il nostro distacco dai facili moralismi, si arroga il diritto di imporci di non arretrare sulle conquiste faticosamente ottenute, esige contrastare i rapporti di dominazione imposti dell’attuale capitalismo patriarcale.
Torna oggi e in quel triangolo narra, ancora una volta, temi controversi legati a razza - genere - classe, ai diritti riproduttivi, rapporto tra sessualità, potere e godimento, modificazioni genitali e autodeterminazione dei corpi.
Attualmente non esiste nessuna parola d’ordine e/o azione che sembra rievocare l’autorevolezza di quel gesto. Siamo in grado oggi di ricreare segni e/o pratiche politiche in grado di irridere e attaccare capitalismo e patriarcato? Che fare?
Unire i pollici e gli indici per formare un triangolo come simbolo di lotta è anacronistico?
Sull’attualità o meno del gesto ognuna di noi trarrà le proprie conclusioni ma, ad essere attuale ancora oggi dovrebbe essere l’irriverenza e la potenza di quel gesto che oggi più che mai sembrano essere state inghiottite. I rapporti tra i sessi appaiono ancora oggi imperfetti e ingiusti. Unirsi tutte per difenderci dagli attacchi di un patriarcato che oggi ha cambiato volto ma che ha lo stesso stantio odore, che accresce il proprio profitto a spese della nostra libertà e del nostro piacere.