La scorsa settimana si è svolto (sotto l’assordante ed imbarazzante silenzio dei media italiani, ma questo è un’altra storia) a Parigi il congresso della CES. La Confederazione Europea dei Sindacati riunisce oltre ottanta sindacati provenienti da 36 paesi diversi. Certo, un’istituzione praticamente inutile allo stato attuale, che da quarant’anni a questa parte non è riuscita, come dire, a sviluppare quel lato conflittuale che tanto bene le si addirebbe. Ma che addirittura il congresso che, sulla carta, dovrebbe segnare un cambiamento di rotta, indicando un atteggiamento più risoluto nei confronti dell’Europa dell’austerity, veda come uno dei primi interventi quello di Jean Claude Junker proprio non ce lo saremmo aspettati.
Il presidente della Commissione Europea ha tenuto un tanto brillante quanto simpatico intervento affermando che al giorno d’oggi la mancanza di una dimensione sociale a livello europeo si sente quanto mai, che il dialogo sociale è la chiave per costruire istituzioni più eque e, ciliegina sulla torta, che il contratto di lavoro deve essere a tempo indeterminato dal momento che i lavoratori hanno bisogno di sicurezza. L’intervento di Junker è stato seguito da quello di Matin Schulz, acclamato a gran voce, che ha fatto un ragionamento sulla stessa scia, e dal Presidente della Repubblica francese che ha parlato della necessità di accogliere migranti in Europa.
Il punto non è (solo) disquisire su quanto queste affermazioni siano condivisibili ma piuttosto su come sia possibile che, in un momento come questo, in cui sulla scia del semestre europeo assistiamo alla privatizzazione di tutti i sistemi educativi in giro per l'Europa, in cui in nome dei conti che devono tornare vediamo paesi in ginocchio e governanti della grande famiglia della sinistra umiliati, coloro che sono i fautori della distruzione della dimensione sociale europea possano permettersi di fare certe affermazioni.
Sì, dico “possano permettersi”. Perché Junker è stato applaudito, così come Hollande che ha parlato di solidarietà mentre la polizia francese era schierata al confini con Ventimiglia per impedire che passasse anche solo una mosca. Tanto è stato scritto sulla razzia dell'immaginario collettivo della sinistra e di certo io non sono tra quelli che possono dare un contributo aggiuntivo. Ci terrei però a porre il problema, dal momento che la situazione riesce a superare ogni giorno un nuovo livello di inaccettabilità.
Forse è davvero l'ora di porsi il problema, come prioritario, del linguaggio a sinistra. Forse è riduttivo parlare solo di linguaggio: è ovvio che per Junker e per Napolitano (così come lo è per Renzi si colloca nella storia della sinistra) si tratta solo di apparenza, è un artificio per rendersi presentabili, per introdursi con l'inganno in territori politici che notmalmente gli sarebbero ostili. Parole e idee sono legate, proprio perché le parole sono il mezzo attraverso il quale diffondi le tue idee: ad idee chiare deve corrispondere chiarezza di esposizione e di spiegazione.
Ma l'appropriazione dei nostri temi, l'occupazione dei nostri spazi ideologici, dovrebbe suscitare tutta la nostra preoccupazione, dovremmo comprenderne la pericolosità..
Nel momento in cui critichiamo questo stato di cose lo facciamo avendo in mente delle categorie che ci sono state consegnate dalla storia. Categorie che certo vanno attualizzate ma che ancora sono (più o meno, dipende dai casi) chiare ad almeno una parte di opinione pubblica. Ma le nostre debolezze nascono nel momento in cui il linguaggio, le parole, che venivano usate per discutere, per applicare queste categorie, vengono rubate da altri che ne ribaltano il significato, ne sovvertono il senso.
E, considerati i rapporti di forza, considerata la debolezza culturale e l'impreparazione ideologica della società (almeno quella italiana), la capacità di convincimento di chi usa quelle parole indebitamente è più efficace. Lo è per capacità tecniche effettive e lo è per il controllo dei mezzi di informazione: quindi tra Renzi e Junker che giocano a fare i rivoluzionari mandando nel limbo milioni di lavoratori e i sindacati che provano, flebilmente a ribattere, è ovvio che passi la comunicazione dei primi.
È un problema complesso, così come lo è anche la soluzione. Non ho risposte ma, così, di istinto mi verrebbe da ricordare la massima del regista che prima di darsi ai girotondi disse che le parole sono importanti. Ricominciamo a chiamare le cose con il loro nome, riducendo lo spazio che oggi la sinistra lascia progressivamente vuoto senza paura di risultare desueti: utilizzare le parole con intelligenza e con senno è il primo passo affinché non le usino gli altri.