Lunedì, 08 Aprile 2013 00:00

Le sorti degli Atenei Italiani: decreto AVA

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Una delle ultime mosse del Ministro Profumo è stata quella di permettere l’emanazione del decreto 47, decreto che va a legiferare su Autovalutazione, Valutazione, Accreditamento dei corsi di laurea dei diversi Atenei italiani. Se si va ad analizzare tali misure legislative, si capisce come si continuino a proseguire politiche finalizzate a destrutturare il sistema universitario pubblico: cerchiamo di capire il perché.

In primo luogo è necessario chiarire che il decreto così detto Ava, in primis, si va ad occupare degli accreditamenti iniziali dei corsi di studio, cioè va a determinare i requisiti necessari per permettere l’esistenza di corsi universitari. È ovvio che oltre a requisiti di trasparenza, assicurazione di qualità dei corsi stessi ci siano quelli relativi alla sostenibilità della didattica, per l’appunto requisiti che indicano il numero minimo di docenti che il corso stesso deve riuscire a garantire se vuole rimanere in vita.

Successivamente a questa prima parte, si passa a quello che è definito accreditamento periodico, cioè la verifica, con un cadenza temporale determinata per i corsi di studio, della persistenza dei requisiti stabiliti nell’accreditamento iniziale. Ovviamente esistono, di conseguenza, diverse gradazioni di giudizio, rispetto all’aderenza ai singoli requisiti, che il ministero potrà attribuire ai diversi corsi universitari, dunque, indirettamente a tutto il singolo Ateneo. Ma è interessante andare a dare un’occhiata a quali sono i requisiti periodici che sono stati fissati rispetto al numero richiesto di docenti per poter sostenere la didattica, i così detti requisiti di docenza: si nota subito una progressività dei numeri richiesti, partendo dall’anno accademico 2013-14: in sostanza, per l’anno 2016-17 ogni corso di studio dovrà garantire, minimo, 12 docenti di cui almeno 4 professori, almeno 9 docenti appartenenti a ssd di base o caratterizzanti, massimo 3 docenti appartenenti a settori affini. Anche il DM 17 prevedeva un numero minimo di 12 docenti, ma non specificava il numero per specifiche categorie di docenza; se precedentemente, dunque, un corso di laurea poteva quantomeno esistere con i relativi requisiti minimi generali, ora si richiedono requisiti di docenza ancora più stringenti.

Proprio così. Nessuno avrebbe mai creduto che si  potesse fare peggio. Ebbene, il governo Monti ci è riuscito. Se da un lato il decreto 47 irrigidisce i criteri di sostenibilità didattica e di possibilità di mantenimento o apertura (meravigliosa utopia) di nuovi corsi di laurea, dall’altro il blocco del turn over per nuove assunzioni, stabilito dal governo Berlusconi, stringe così il sistema della formazione pubblica in una morsa fatale. L’assurda conseguenza di questo disegno di legge, ricordiamo già emanato il 30 gennaio, pretende di restringere i criteri di docenza in tal senso, quando al tempo stesso non c’è la possibilità di assumere nuovi ricercatori, professori e tutte quelle categorie che dovrebbero essere in grado di permettere l’esistenza delle Università pubbliche, allo stato attuale delle cose, considerando anche l’aumento esponenziale dei pensionamenti del personale docente. In tale situazione, è chiaro che molti corsi di laurea dovranno chiudere oppure saranno costretti a trovare politiche di estrema razionalizzazione dell’offerta didattica, in base a quei docenti che rimarranno a disposizione dei dipartimenti.

È ovvio che privilegiati saranno quei corsi, in specifiche Università, che riusciranno a non morire: e a che cosa porterebbero tali scelte obbligate? Molto probabilmente ad una progressiva specializzazione degli Atenei stessi, i quali, per non scomparire, dovranno sempre più puntare su quei dipartimenti storicamente più “ricchi” di docenza. Ed è così che il modello dell’Università generalista, multiculturale e aperto alla formulazione di laboratori scientifici sempre più variegati e innovativi andrà letteralmente in fumo, qualora il decreto non cambierà.

Ma andiamo avanti nella lettura di questo ben congeniato provvedimento. Per prima cosa si raggruppano in delle aree, più o meno vaste, tutti i vari corsi di laurea, con le relative classi di appartenenza e le relative denominazioni. Per ogni gruppo, dunque, si prevede una numerosità massima di immatricolazioni rispetto alla capacità di sostenibilità didattica di ogni area. Anche il DM 17 prevedeva una tale impostazione, e di fatti, sanciva che qualora il numero di immatricolati fosse raddoppiato rispetto al numero massimo stabilito sarebbe stato necessario un incremento del 75 per cento di docenti disponibili, percentuale che viene fuori dal rapporto immatricolati e numerosità massima. E anche qui Profumo è riuscito a dare il meglio di sé. Infatti, il DM 47 prevede che, con un raddoppio delle immatricolazioni rispetto ai parametri stabiliti, la docenza dovrà aumentare del 100 per cento. Motivo ulteriore per sbizzarrirsi, purtroppo, con numeri chiusi o numeri programmati per limitare le iscrizioni; sarebbe interessante rivedere, giusto così, per un attimo, cosa intendevano i nostri tecnici per merito e studenti meritevoli.  Ed ancora, il settore scientifico disciplinare di afferenza di ogni docente dovrà essere lo stesso dell’attività didattica di cui il docente stesso è responsabile; è chiaro che questo comporterà non pochi problemi nella gestione della didattica in un quadro del genere, poiché precedentemente un docente poteva coprire anche corsi che afferivano a settori scientifico disciplinari simili fra loro.

Arriviamo così ad un’altra voce, quella che fissa i requisiti per poter attivare nuovi corsi di studio, in base alle spese del personale. Un provvedimento che suona come una grande presa in giro. Il decreto prevede, rispetto a ciò, che se le spese di personale superassero l’82 per cento delle entrate (compresa la contribuzione studentesca) non si potrebbero attivare nuovi corsi di studio. In caso contrario, si dovrà dimostrare la sostenibilità della didattica in base ai docenti a regime che si avrebbero a disposizione oppure non aumentando il numero complessivo di corsi attivati. È ovvio che la possibilità di erogare didattica si lega alla contribuzione studentesca: aumentare le entrare attraverso la contribuzione diventa l’unico modo per non sforare con le spese di personale. Ma a questo ci aveva già pensato un altro decreto, sempre ideato dal Ministro Profumo, il DM 49. 

È necessario svolgere un’ultima considerazione sulla valutazione periodica, che si va ad occupare della valutazione in termini di qualità, sostenibilità economica e di risultati conseguiti del singolo Ateneo nel suo complesso. Un parametro salta all’occhio e cioè quello che valuta in base al rapporto fatturato conto terzi e progetti di ricerca vinti in bandi competitivi negli ultimi 10 anni. È palese come tale parametro, qualora dovrà costituire un criterio premiale, vada in pieno soccorso dei Politecnici e delle Università specializzate in determinati singoli settori

Questo è quello che ci consegna il Ministro Profumo a fine legislatura. Un massacro del sistema universitario, rispetto ai criteri per determinare l’erogazione e lo sviluppo della didattica che si produce in questo paese, rispetto alle condizioni di lavoro e alle possibilità di ricerca dei docenti universitari, rispetto al modello multiculturale e generalista dell’ università italiana; ma soprattutto riguardo alla possibilità di esistenza stessa delle università pubbliche. Urge un cambiamento, come richiesto a gran voce da molte organizzazioni universitarie in questi mesi, anche in merito a quest’ultimo decreto. Tuttavia, il silenzio mediatico e politico, rispetto a queste vicende, continua a essere sempre più inquietante.

Immagine tratta da www.careernews.it

Ultima modifica il Sabato, 08 Agosto 2015 12:55
Edoardo Raimondi

Nato a Chieti il 26 maggio del 1990, ho studiato presso l’Università di Pisa conseguendo la laurea magistrale in Filosofia e forme del Sapere, con una tesi in ermeneutica, filosofia morale e politica (problematizzando il pensiero di Eric Weil). Da sempre impegnato nell’associazionismo, ho fatto parte, nel corso degli anni, di movimenti e sindacati studenteschi, come di gruppi di ricerca dell’università pisana. Mi occupo principalmente di politica nazionale ed internazionale, cultura, scuola e università. 

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