Parlare di carcere non è facile, non solo per il giustizialismo retorico che sembra egemone nel senso comune dell’elettorato: chi si occupa di problemi gravi con continuità rischia infatti l’assuefazione. Non si pensa quasi mai alle istituzioni penitenziarie come istituzioni totali, luoghi di potere e (troppo spesso) di violenza, sui detenuti, tra i detenuti e dei detenuti su se stessi. I casi di suicidio faticosamente fanno notizia, le lesioni sul proprio corpo no, come gli scioperi della fame.
Non si tratta di problemi umanitari, se mai questi fossero un’esclusiva del volontariato estranei alla politica. In uno stato di diritto non può essere tollerato che il rispetto della dignità umana diventi un privilegio. Come non si può accettare che i principi della carta costituzionale siano completamente traditi. Corleone cita il presidente Napolitano. Cosa deve pensare un detenuto se la massima autorità dello Stato afferma che la Repubblica non rispetta la Costituzione? “La situazione delle carceri italiane non consente lo spazio vitale garantito” (dall’articolo 27), ha affermato nel febbraio del 2013.
Con la condanna di Strasburgo (gennaio 2013) chi è detenuto in carcere si è visto confermato il ruolo di vittima di un sistema ai limiti dell’illegalità: chi subisce un torto è difficile che riconosca i proprio errori e le proprie responsabilità. Eppure il carattere prevalente della pena dovrebbe essere quello del reinserimento sociale, non un surrogato del welfare assente. Il carcere non può imitare il ruolo che era dei manicomi prima di Basaglia, dove mandare chi disturba il decoro della città o chi pesa sulla società per la propria debolezza.
In Italia diminuiscono i reati ed aumentano i detenuti: una diretta conseguenza di leggi speciali, di emergenza, che prevedono nuovi tipi di infrazione, per i quali sono previste pene altissime.
Chi viene colto in flagranza di reato finisce in carcere anche in attesa di processo, mentre condannati per associazione mafiosa attendono l’esito definitivo di diversi gradi di giudizio per anni: in conseguenza a questo meccanismo la Fini-Giovanardi funziona come una sorta di legge “riempi-carcere”, con la detenzione di sostanze stupefacenti (tutte equiparate, dallo spinello all’eroina) che porta in spazi sovraffollati soggetti deboli, spesso principali vittime di violenze, come sempre capita ai più deboli. Finisce così che le associazioni sono costrette ad occuparsi quasi esclusivamente delle emergenze di chi in carcere non dovrebbe esserci.
Un sistema che passa di emergenza in emergenza, che tratta i detenuti come l’Unione Europea non permetterebbe di fare neanche con gli animali..
La questione riguarda la politica, riguarda chi ha permesso che gli incensurati godessero di particolari privilegi, con una legge sconfessata dallo stesso firmatario (viene infatti chiamata legge “ex-Cirielli”) che ha permesso a Previti di non scontare la condanna per corruzione, rimanendo deputato della Repubblica.
All’ipocrisia di chi davanti ai telegiornali “tifa repressione e punizione”, ci sarebbe da chiedere se non ha mai sbagliato in vita sua, se ritiene davvero che gli errori dei deboli debbano essere puniti da un sistema che da troppi anni è segnato da continui casi di corruzione e associazione mafiosa tra i gruppi dirigenti (politici ed economici).
Qualcosa di immediato c’è già da fare, basta andare sul sito www.3leggi.it o comunque sostenere la campagna “3 leggi per la Giustizia e i Diritti” (sostenuta da un vasto cartello di realtà sociali, comprese Arci e Cgil) che chiede:
- l’introduzione del reato di tortura nel codice penale
- la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri
- modifiche alle legge sulle droghe.
Immagine tratta da associazionearteco.wordpress.com