Venerdì, 09 Agosto 2013 21:41

Cassa depositi e prestiti: un nodo da sciogliere per il governo

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Ogni tanto compare sui media il fantasma di Cassa Depositi e Prestiti, cioè del principale salvadanaio di proprietà pubblica operante in Italia (circa 450 miliardi di capitali, di cui per circa metà rappresentati da liquidità derivanti dalla gestione del risparmio postale). Molto più del necessario per ribaltare la situazione industriale, finanziaria, occupazionale, salariale, fiscale, debitoria del nostro paese come un calzino, riconsolidare il sistema dei servizi pubblici e di quelli sociali, sostenere il reddito di chi non arriva a fine mese, ecc. Neppure un collaudatissimo sistema mediatico e politico di manipolazione della nostra popolazione tutto a favore delle politiche di massacro antisociale svolte con il pretesto della crisi dai vari governi di centro-destra, centro-sinistra, tecnici o tricolori riesce a operare una censura totale.

Ricordo le tappe (a mia conoscenza) in cui la censura a proposito di Cassa Depositi e Prestiti ha fatto cilecca: il governo Monti commissionò a Mediobanca, all'inizio della sua vicenda, uno studio sulla possibilità di usare questa banca contro la crisi, nel timore che forti agitazioni sociali bloccassero le politiche di “rigore” ergo le varie canagliate che poi questo governo ha realizzato, con ampissimo supporto tricolore. Il suggerimento principale di Mediobanca fu la cessione da parte del Tesoro (dello stato) di una parte delle proprietà immobiliari di sua proprietà e l'emissione, garantita dagli immobili alienati, di obbligazioni per un valore moltiplicato di molte unità rispetto al valore stimato di tali immobili. Con ciò lo stato avrebbe incassato varie decine di miliardi, non avrebbe perso niente a favore dei pescicani finanziari, immobiliari o mafiosi di privatizzazioni, spacchettature, cartolarizzazioni e quant'altro, e poi avrebbe incassato il ricavato della vendita delle obbligazioni. Le agitazioni sociali non ci saranno, poiché l'appoggio tricolore al governo frantumò lo schieramento sindacale, e naturalmente il governo andò avanti per la strada che intendeva percorrere. La seconda tappa è più recente, di qualche mese fa. L'esponente del PdL Brunetta ha ritirato fuori, mettendoci la sua firma, il suggerimento di Mediobanca. Ovviamente gli esponenti PD hanno messo il freno a mano, Letta ha “preso tempo”, studierà la questione, bisogna stare attenti a non fare un'operazione che porti alla svalutazione delle proprietà immobiliari dello stato, ciò che abbatterebbe il valore delle obbligazioni (cazzate) ecc. L'ultima tappa, infine è del 7 agosto, cioè di questi giorni canicolari: un'intervista del Corriere della Sera a Roberto Poli, ex presidente dell'ENI. Probabilmente il caldo torrido o le ferie estive sono tra le ragioni per cui l'intervista non è stata adeguatamente soppesata (e quindi cestinata) dalla direzione del giornale.

“Oltre alla normale amministrazione del governo Letta”, dice Poli, “servono strumenti adeguati e innovativi” (fondamentalmente pubblici) “per rilanciare il paese”. Dalla crisi altrimenti non si esce. La proposta di Poli è questa: “un nuovo IMI per lo sviluppo” (una nuova banca pubblica orientata al finanziamento di medio-lungo termine dell'industria, fermando così “il cancro della delocalizzazione e avviando una reindustrializzazione moderna, con visione strategica, un po' come ha fatto e sta facendo la presidenza Obama negli Stati Uniti”. Come si vede niente di orrendamente bolscevico: solamente l'uso dei mezzi di cui lo stato dispone, invece di tenerli lì a fare la muffa, onde poter dire che non ci sono i soldi e che occorrono “rigore” e “sacrifici”. Le imprese italiane, prosegue Poli, non riescono a incassare tutti e in tempi non geologici i soldi loro dovuti dalla pubblica amministrazione e inoltre hanno difficoltà di accesso al credito bancario: la conseguenza è l'asfissia del nostro sistema industriale (questo da parte delle banche è sostanzialmente inevitabile, per di più: avviene sia perché esse, imprese capitalistiche, non prestano se non hanno la certezza della restituzione e del guadagno, certezza che in tempi di crisi diventa problematica, sia perché esse sono cariche di crediti inesigibili, quindi non hanno i mezzi necessari per investimenti su vsata scala, sia perché, infine, preferiscono usare i soldi messi a loro disposizione dalla Banca Centrale Europea in investimenti finanziari, tornati da tempo altamente redditizi, visto che nessuno ha pensato di impedirglielo, in Italia e in Europa).

Quale, poi, sarebbe nell'avviso di Poli l'“azionista di riferimento” della nuova IMI: Cassa Depositi e Prestiti, ovviamente, in quanto banca di cui il Tesoro detiene il 70% della proprietà e che è piena di soldi. Essa, inoltre, controllando sia Simest e Sace, imprese che operano a supporto dell'internalizzazione delle imprese italiane, che (da un anno) ENI dispone del know-how necessario a gestire la nuova IMI con cognizione di causa.

Poli infine fa anche due conti. Con il conferimento di un capitale iniziale di 3 miliardi (circa lo 0,7% del capitale di Cassa Depositi e Prestiti, cioè usandone gli spiccioli) sarebbe possibile un'emissione obbligazionaria per 30 miliardi. Successivamente, anche avendo verificato che i guai profetati dal PD non esistono, si potrebbe passare a ulteriori conferimenti di capitale. Per esempio per 10 miliardi: che il Tesoro incasserebbe sull'unghia, in attesa dei rendimenti di 100 miliardi di obbligazioni, ecc.

Qualcosa sulla storia dell'IMI (Istituto Mobiliare Italiano) per capire meglio. Esso nasce come ente di diritto pubblico nel 1931 (quindi fu fondato dal fascismo, non da pericolosi nemici del capitalismo) come mezzo per affrontare la crisi industriale del nostro paese, avviata dal grande crack finanziario del 1929, finanziando il sistema delle imprese (le banche, in crisi, non erano in grado di fornire alle imprese i mezzi necessari a reggere la crisi e a reinvestire). IMI quindi assume assieme a IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale: fondato nel 1933), che si appropria di imprese a rischio di fallimento e ne crea di nuove, un ruolo primario nella ripresa dell'economia italiana. Si finanzia (udite, udite!) con l'emissione di obbligazioni. Nel 1947 IMI avrà un ruolo decisivo nel finanziamento della ricostruzione dell'industria del paese, distrutta dalla guerra. Nel 1969 avvia la gestione dei fondi statali a disposizione della ricerca industriale, creando un team di ingegneri e altri specialisti che costituirà un modello imitato in molti altri paesi, tra i quali la Germania. Nel 1982 (governo Spadolini, centro-sinistra) IMI partecipa alla costituzione della Nuova Banca Ambrosiana (da cui uscirà del 1985): è l'inizio, in sintonia con l'offensiva liberista scatenata nel mondo da Reagan e da Margaret Thatcher, di una svolta orientata alla cancellazione del ruolo del pubblico nella crescita industriale del nostro paese. Nel 1991 (governo Andreotti, centro-sinistra) IMI viene trasformato in società per azioni, ovvero orientato a operare con criteri privatistici e cioè guardando semplicemente alla realizzazione di profitti, in altre parole è completamente autonomizzato dalla possibilità di obbedire a richieste dello stato di significato economico strategico e di lungo periodo. Quasi contemporaneamente, cioè nel 1992, l'IRI viene messa in liquidazione (governi Amato e Ciampi, centro-sinistra). Ovviamente nel 1994 IMI si quota in borsa, ciò che ne consolida l'attitudine privatistica. Nel 1998 si fonde con la banca San Paolo ergo chiude bottega. Parlare di banche pubbliche così come di imprese pubbliche al servizio degli interessi economici e del benessere del popolo del nostro paese, quindi parlare del pubblico come strumento fondamentale delle tenuta nella crisi e della ricrescita della nostra industria è ormai da tempo un grave reato in Italia: punito infatti, sino ai giorni nostri, con la censura o lo sberleffo di media e grandi famiglie politiche.

Immagine tratta liberamente da: www.prestiti.blogsfare.it

Ultima modifica il Venerdì, 09 Agosto 2013 22:03
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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