Domenica, 27 Ottobre 2013 00:00

Kennedy e Obama: miti infranti del riformismo italiano

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Nel 1993 uscì negli Stati Uniti “Rethinking Camelot” di Noam Chomsky, tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice Eleuthera nel 2009 con il titolo “Alla corte di Re Artù”. Nel libro il famoso linguista e filosofo americano, nonché implacabile critico della politica interna ed estera del suo paese, demolisce senza tante perifrasi uno dei miti americani che ha fatto più presa in certi ambienti politici europei, quello di John Fitzgerald Kennedy, anche in polemica con altri esponenti progressisti come ad esempio il regista Oliver Stone.

Attraverso un’acuta e ben documentata analisi Chomsky demolisce il mito. L’autore documenta come la politica contro la discriminazione razziale trovò il presidente assai titubante ed indeciso, ben più preoccupato della propria immagine che della gente di colore, mentre più decisa fu l’iniziativa in questo campo del fratello Robert e del vicepresidente (poi presidente) Johnson, una maggiore determinazione imposta dalla radicalizzazione sul terreno sociale di Martin Luther King e da quella, ancora più decisa, di altri leader afroamericani. Inoltre Chomsky descrive, in maniera chiara e difficilmente contestabile, che Kennedy fu tutt’altro che contrario all’intervento in Vietnam, anzi fu proprio lui che, superando le prudenze della precedente amministrazione Eisenhower, diede avvio al massiccio coinvolgimento americano in quella guerra (anche se successivamente i kennedyani gettarono ogni colpa su Johnson). Il maggiore coinvolgimento fu determinato soprattutto dalla volontà di proteggere la minoranza cattolica, che in quel momento deteneva tutto il potere nel Vietnam del Sud, sotto la spinta e le pressioni del famigerato cardinale Spellman, anche se poi cinicamente il cattolico Kennedy non esitò a far fuori il cattolico Diem quando quest’ultimo non serviva più agli interessi americani. In quanto poi al fallito sbarco alla Baia dei Porci, non solo Kennedy non vi oppose, ma dopo la cocente sconfitta, la vicenda fu giustificata in una maniera talmente dilettantesca e approssimativa che lasciò duraturi strascichi, ed odi profondi, per tutta la sua presidenza ed anche oltre.

Lo stesso autore ha pubblicato in Italia nel 2010 un altro suo libro, dal titolo “America, no we can't. Le speranze deluse e le prospettive della politica Usa”, nel quale bersaglio polemico di Chomsky è Barak Obama, altra icona dei democratici de noanntri. Degno di nota è il fatto che Chomsky demolisce il mito di Obama ben prima che il mito di Obama fosse demolito da … Obama stesso.

Tralasciando il libro e stando invece alla cronache ultime si vede come Obama non abbia cambiato o più semplicemente innovato la politica americana, ma che al contrario abbia agito nell’ambito dei tradizionali standard di potere, anche il recente conflitto che l’ha opposto ai repubblicani sull’innalzamento del deficit risulta più il frutto della posizione ideologica iperliberista dei falchi del Tea Party che della determinazione del presidente a combattere per un’america più giusta verso le minoranze, le donne, i poveri.

E’ però sulla politica estera che la politica di Obama non si discosta da quella di Bush. Continuano in maniera massiccia gli interventi militari in nome della “lotta al terrorismo”, quando terroristi come Posada Carriles vivono indisturbati negli Stati Uniti, sotto la vecchia e vieta parola d’ordine di stampo prettamente imperialista degli “interessi americani minacciati”. La stessa questione dell’approccio multilaterale al problema, anziché unilaterale com’era tipico di Bush, si è rivelata una barzelletta: com’è possibile richiedere il consiglio e l’apporto dei paesi alleati, quando i leader di questi paesi sono sottoposti ad un occhiuto e invasivo spionaggio da parte degli Stati Uniti?

I limiti e l’ipocrisia di questa politica si sono poi pienamente rivelati nella questione siriana, dove l’amministrazione Obama ha rimediato una figura a dir poco “cacina”, essendo stata messa in mora dalla strana e inedita alleanza fra Putin, Bergoglio, Merkel e la Cina, (quest’ultima a dir la verità più defilata e “diplomatica) e costretta a rinunciare all’uso della forza militare.

La verità è che Obama, nonostante l’evidente consenso elettorale fra le minoranze, ma nel 2012 meno che nel 2008, si è rivelato uno “Zio Tom”, definizione che nel linguaggio delle Pantere Nere indicava quei membri della borghesia afroamericana ansiosi di “piacere” ai bianchi e di essere accettati e pienamente inseriti nel sistema.

Kennedy e Obama sono ormai due miti infranti, a quali nuovi miti, a quali nuovi esempi potranno ora rifarsi i nostri democratici?

E’ proprio vero come disse il poeta:

Dietro l’avello
del Machiavello
dorme lo scheletro di Stenterello.

Immagine tratta da: www.chidi.com

Ultima modifica il Sabato, 26 Ottobre 2013 20:58
Francesco Draghi

Francesco Draghi, nel Partito Comunista Italiano prima e dalla sua fondazione nel PRC, ha ricoperto in entrambi incarichi di direzione politica, è stato amministratore pubblico.

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