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Premettiamo subito una valutazione di insieme: la Toscana continua ad evitare gli scogli più rischiosi della crisi, ma è solidamente agganciata al convoglio del declino europeo, da cui, in questa fase non è possibile sganciarsi, e comunque non sarà facile farlo neanche in futuro. Infatti i dati fondamentali della crisi e del suo svolgersi sono determinati da una parte dalle politiche economiche nazionali ed europee di tipo recessivo, dall’altro dalla composizione strutturale del sistema produttivo.
Le politiche possono incidere solo con gradualità e lentezza sul secondo aspetto; sul primo aspetto è evidente come una svolta forte potrebbe essere resa possibile solo in un gruppo di paesi sufficientemente forti (e comunque è improbabile che succeda qualcosa prima delle elezioni tedesche). Tuttavia, fra i costi della crisi vanno senz’altro imputati anche quelli di un continuo degrado delle capacità produttive e delle condizioni sociali che le politiche dominanti non possono e non vogliono evitare. Ma vediamo alcuni dati fondamentali che descrivono lo stato dell’economia toscana in questi frangenti.
Migliaia di metalmeccanici della CGIL hanno attraversato ieri Firenze, da Piazza Indipendenza a Piazza Strozzi, in occasione dello sciopero generale indetto dalla FIOM. Una mobilitazione distribuita su due giorni (in contemporanea con il capoluogo toscano piazze a Milano e Ancona, oggi tutte le altre regioni) e convocata contro la decisione di Federmeccanica di siglare un accordo separato con Fim e Uilm per il rinnovo del contratto nazionale di categoria. L'intesa esclude dal tavolo l'organizzazione di Landini (senza che l'accordo – come chiede la FIOM – possa essere votato nelle fabbriche dai quasi 2 milioni di lavoratori interessati) e, di fatto, estende a tutto il settore il “modello Marchionne”.
Come ricordato nell'intervento conclusivo da Giorgio Airaudo, il combinato disposto del patto per la produttività (sottoscritto dal governo con le parti sociali senza la CGIL) e dell'accordo separato dei metalmeccanici produrrà lo svuotamento dei contratti nazionali e la possibilità di derogare su tutti i diritti fondamentali azienda per azienda.
“Un bel dì vedremo, levarsi un fil di fumo”. Le celebri parole della Madama Butterfly ben potrebbero descrivere l'ansia che da mesi gli abitanti di Castelfranco vivono sul loro territorio. Il fumo però, in questo caso, è profeta di sventura più che di speranza, almeno per buona parte dei castelfranchesi. A preoccupare è il nuovo contestatissimo inceneritore che la ditta Waste Recycling (gruppo NSE Industry) da ben due anni tenta di aprire nel comune fra mille difficoltà, non ultima la netta contrarietà di buona parte della popolazione, protagonista di clamorose manifestazioni di piazza, serrata da tempo intorno a tre ricorsi al Tar promossi rispettivamente dall'Amministrazione Comunale, dal locale Comitato Antinquinamento e da Rifondazione Comunista; vertenza giunta lo scorso 20 novembre all'ultima udienza prima della sentenza, attesa entro la metà di gennaio. Centro delle ultime preoccupazioni dei residenti, venerdì 30 novembre, è stata la mattutina comparsa di una colonna di fumo bianco levatasi dal camino dell'impianto, il quale com'è noto è attualmente bloccato dall'ultima ordinanza del Consiglio di Stato. Dopo la primissima sentenza del Tar nel febbraio 2012, in cui i giudici davano ragione ai ricorrenti che chiedevano il blocco dei lavori di costruzione in attesa della fine del processo, il cantiere è stato fatto riprendere dal Consiglio a maggio, con una conferma però della prima sentenza in merito all'attività d'incenerimento: finite pure i lavori se vi va, e a vostro rischio – hanno detto, in soldoni, i giudici ai dirigenti della NSE – ma non potrete accenderlo fino alla decisione ultima. Queste, nello specifico, furono le parole del Consiglio di Stato:
Il Consiglio di Stato […] accoglie in parte l'appello cautelare (i ricorsi, n.d.a.) […] nella sola parte relativa all'attivazione dell'impianto di cui si tratta, escludendo l'effetto inibitorio del completamento della struttura (il blocco dei lavori, n.d.a.)
wLa proprietà della storica azienda fiorentina che produce mattoni in vetro, ha richiesto, in data 20/11/2012, la cassa integrazione ordinaria della durata di 13 settimane a partire dal 10 dicembre, per 97 dei 107 lavoratori dell’impresa con l’intenzione di spegnere il forno il 10 dicembre. Il rischio è che, come teme la RSU della Seves, al termine della cassa integrazione non venga riacceso il forno e quindi non sia assicurato il reintegro dei lavoratori e la ripresa della produzione.
Già alla fine del 2010 e nel 2011 è stata combattuta dai lavoratori una dura lotta per evitare la chiusura e la delocalizzazione dello stabilimento, e sembrava che le cose stessero andando per il verso giusto e adesso sono di nuovo punto e accapo…
In seguito all’interrogazione immediata agli enti locali (comune e provincia di Firenze, regione Toscana) dei consiglieri provinciali Andrea Calò e Lorenzo Verdi (Rifondazione Comunista) di fare chiarezza su questa faccenda, Dario Nardella (il vice sindaco di Firenze ), Stefano Saccardi (assessore alle politiche del lavoro), Federico Gianasi (presidente del Quartiere 5), insieme a Mauro Fuso (segretario della Camera del Lavoro), hanno incontrato le Rsu della Seves, e sia lavoratori che istituzioni ritengono ”inaccettabile l’ipotesi dello spegnimento del forno”.
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