Il castello, edificato dalla Consorteria dei Da Ripafratta (una famiglia nobile locale), era frutto dell’ampliamento, risalente al 970, dell’antica torre sul colle Vergario. Con una cinta muraria a pianta poligonale irregolare, occupata al centro da una torre quadrangolare e da altre due torri addossate alle mura, la Rocca prese il nome di San Paolino, il patrono di Lucca. Tuttavia, fu sotto il dominio nemico della Repubblica Pisana che il Castello si sviluppò, arrivando ad essere oggetto di un’agguerrita contesa tra le due potenze fino al definitivo dominio fiorentino iniziato nel 1405 (anno della vendita della Rocca) e stabilizzatosi nel corso del secolo seguente. Fu proprio in quest’occasione che si rese necessario un intervento di ristrutturazione radicale (ovvia conseguenza dell’avvento della polvere da sparo), operato da Giuliano Da Sangallo, architetto prediletto di Lorenzo il Magnifico: leggenda vuole che a questo progetto abbia partecipato anche Leonardo da Vinci il quale, probabilmente, diede un suo parere personale. Malgrado ciò, con il dominio di Firenze e la “pacificazione” che ne seguì, la Rocca perse gradualmente importanza e scivolò nell’oblio diventando, già dal ‘600, un qualsiasi orto coltivato.
Soltanto negli anni ’80 partiranno una serie di scavi archeologici, proseguiti per circa dieci anni, che riporteranno alla luce l’originaria porta d’ingresso, un pozzo, una cisterna sotterranea, vari ambienti e reperti dei quali al momento nessuno conosce il luogo di conservazione. Poi, di fronte alla carenza di stabilità e sicurezza della struttura, gli scavi terminarono e la Rocca rimase nuovamente abbandonata a sé stessa.
Dovranno passare quasi 20 anni prima di vedere qualcosa muoversi a livello istituzionale: nel 2008 la Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa metterà a disposizione una cifra consona all’esproprio del terreno (in mano alla famiglia Roncioni, discendente dei da Ripafratta), alla messa in sicurezza e ai lavori di ristrutturazione. Il Comune di San Giuliano Terme, dal canto suo, avrebbe dovuto invece provvedere all’esproprio delle due proprietà circondanti la Rocca, rendere possibile l’accesso a essa (visto che al giorno d’oggi non esistono strade che da Ripafratta arrivano al Castello) per facilitare l’avvio dei lavori e provvedere a un piano di gestione una volta terminata l’opera di ristrutturazione. Il Consiglio comunale vota all’unanimità (forse una delle pochissime volte) l’accordo: ha un anno a disposizione per rendere effettivo l’esproprio, ma il tempo si esaurisce e la Fondazione ritira i soldi. Un nulla di fatto totale.
Sull’onda emotiva di questo fallimento, i cittadini di Ripafratta danno allora vita nel 2011 all’associazione “Salviamo la Rocca di Ripafratta”, cominciando nuovamente, questa volta in maniera più decisa, a tartassare l’amministrazione comunale (a maggioranza Partito Democratico) e il Sindaco Panattoni, appena eletto per la seconda volta consecutiva. Arriviamo così al dicembre 2013, quando l’assessore comunale all’urbanistica annuncia che la Fondazione sarebbe nuovamente disponibile a stanziare dei fondi. La notizia viene confermata dal segretario generale della stessa Fondazione, ma le settimane passano e di accordi firmati o di progetti in preparazione l’amministrazione comunale non fa sapere ancora nulla. E, viste le amministrative in arrivo a maggio, la paura è che quell’accordo verbale si trasformi in una vaga promessa elettorale che non abbia niente di concreto alla base.
Il rischio crollo è reale e non immaginario: il lato delle mura che guarda il fiume Serchio poggia infatti su un terreno soggetto a slittamento. Il cedimento rappresenterebbe non solo la distruzione di un grande bene storico e culturale, ma anche un pericolo per gli abitanti di Ripafratta, visto che il paese è disposto esattamente intorno alla collina sulla quale sorge la Rocca.
Le soluzioni ci sono. Non soltanto per un progetto di ristrutturazione ma anche per un piano di gestione successivo ai lavori: in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando riaprire un’attrazione quale la Rocca di Ripafratta significherebbe risollevare l’economia locale per non parlare delle possibilità che si aprirebbero all’Università di Pisa e all’occupazione giovanile (tirocini, visite guidate, studi, scavi). Non manca niente: soltanto quella volontà che sembra essere scomparsa da anni e anni nella classe politica locale e nazionale.