Giovedì, 19 Dicembre 2013 00:00

USA: una nazione di folli per le armi o semplicemente di folli?

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Sabato 14 dicembre, Arapahoe High School, Centennial, Colorado, USA. È quasi l’ora di pranzo quando uno studente fa incursione nella scuola, apre il fuoco sui suoi compagni con un’arma, poi se la punta addosso e si ammazza. Le squadre speciali (le celebri SWAT) entrano in azione e perquisiscono tutti gli studenti. Oltre all’attentatore non ci sono altri morti. 

Stesse immagini, stesse scene e per di più proprio nel primo anniversario della strage dei 20 bambini e dei 6 adulti della scuola elementare di Newtown. Sono sempre gli stessi titoli quelli che rimbalzano ogni anno nelle nostre televisioni: e noi ci stupiamo, pure. Ci chiediamo magari perché possano accadere certe cose in un paese economicamente e tecnologicamente avanzato come gli Stati Uniti d’America. Un paese il cui presidente ha ricevuto addirittura il premio Nobel per la pace.

Sarà la crisi, forse. Sarà che in una popolazione di 300 milioni di abitanti qualche mela marcia deve esserci per forza. Eppure basta fare una piccola ricerca sul web per capire che le stragi non sono tanto accadute per colpa di qualche emarginato quanto (in un senso un po’ brutale) cercate e magari anche volute. Un dato su tanti: dalla strage di Newtown 10.000 sono stati gli omicidi avvenuti negli USA. E la media annua è da tempi remoti ferma su quel numero, se non più alta. Una media spaventosa, molto, anzi, enormemente più alta dei paesi “occidentali” (in Italia stiamo scendendo verso i 300). Una media anche più alta di quella di un paese come l’Iraq (nel 2013 si contano 6.350 morti per attentati). L’Iraq: proprio il paese invaso dagli USA. Questi dati hanno dell’incredibile: in Iraq, dove c’è la guerra, ci sono meno morti rispetto al paese invasore, quello che si proclama “portatore di pace” (e tra l’altre cose neppure solamente lì). Verrebbe da chiedersi dunque quale nazione sia veramente in guerra al suo interno, senza tralasciare poi che gli Stati Uniti hanno l’abitudine di lasciare una striscia di sangue al loro passaggio anche dove la giurisdizione non è la loro: è solamente di venerdì scorso la notizia dell’uccisione da parte di un drone americano di 13 yemeniti (come al solito civili innocenti). È accaduto in Yemen e naturalmente non può fare notizia e scandalo, anzi, meno si dice in giro e meglio è. 

Paese dalle mille risorse, quello nordamericano. Tanto che negli USA 90 persone su 100 possiedono un’arma da fuoco. E allora forse sarebbe anche il caso di smettere di chiederci perché succede che un bambino di 6 anni, magari cercando di imitare il videogioco che ha a casa, uccida una coetanea compagna di classe. Sarebbe meglio smettere di domandarci com’è possibile che una persona negli Stati Uniti d’America possegga un tale arsenale di armi da causare 12 morti e 70 feriti durante la proiezione dell’ultimo film di Batman. Smettiamola di guardare gli USA come il paese da imitare. Smettiamo di vedere soltanto il “bello” di un paese che probabilmente avrebbe bisogno di cure quanto (se non più) del nostro. Ovviamente senza generalizzare: ci sono tantissimi statunitensi dal cuore d’oro, che sicuramente percepiscono il problema delle armi. Però riflettiamo allora sul fatto che solo in uno dei cinquanta Stati Uniti, cioè l’Illinois, è vietato il possesso di arma da fuoco. Sembra un paese che non vuole cambiare. Un paese che, come conclude Michael Moore in Bowling a Columbine, si rinchiude nell’individualismo, nella diffidenza e nella paura. Un paese i cui cittadini, per sentirsi in pace con se stessi, scaricano le colpe sulla musica “rock-violenta” di Marylin Manson. Non che ami troppo il personaggio, ma fa sorridere sentire le sue parole, proprio in Bowling a ColumbineMi etichettano come un mostro perché dicono che la mia musica li spinge ad uccidere. Forse, ma io non ho mai venduto un fucile semiautomatico ad un ragazzo di 17 anni.”

Ultima modifica il Mercoledì, 18 Dicembre 2013 20:16
Andrea Vignali

Ho 20 anni, sono nato a Massa Marittima (GR) e attualmente vivo e studio storia moderna e contemporanea a Pisa. Suono la batteria, faccio politica e scrivo piccoli romanzi. Quella de il Becco è la mia prima esperienza giornalistica.

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