Giovedì, 16 Maggio 2013 00:00

Contro il femminicidio, il metodo Scotland

Scritto da
Vota questo articolo
(5 Voti)

Mentre ero a Londra mi arrivavano costantemente notizie dall’Italia su casi di femminicidio; quasi trenta donne uccise o ferite a morte dal gennaio ad oggi.

Questa piaga assume ormai un carattere nazionale che non riusciamo ad arginare. Quindi mi sono chiesta cosa è stato fatto in Inghilterra per eliminare questo fenomeno, passando da 49 vittime del 2003 ad appena 5 nel 2012. Il metodo adottato è stato chiamato Scotland dalla ministra della Giustizia che l’ha proposto Patricia Scotland. Questo sistema permette di salvare vite umane, ma porta anche un risparmio economico per lo Stato, arrivando addirittura ad aumentare il Pil nazionale.

Come funziona? Si parte dall’allontanamento fisico della donna dalla sua casa, portandola in alloggi segreti pubblici, o se questi occupati, in case private. Questo avviene in maniera rapida e veloce, infatti appena un medico o un avvocato vedono una donna che ha subito violenza chiamato un “tutor” che agisce con un programma condiviso con assistenti sociali, medici e psicologici, evitando tutto il procedimento burocratico, ancora esistente in Italia, che prevede riunioni interminabili tra tutte le figure coinvolte. Dopo la visita, il tutor attribuisce un punteggio per evidenziare il tipo di gravità della violenza subita.

Ma questo programma non bastava per un reale allontanamento, infatti nel 50% dei casi la donna torna a casa propria per sudditanza psicologica, ma anche per ragioni di indipendenza economica. Allora è stato deciso di inserire dentro questo progetto anche i datori di lavoro (già 700 aziende hanno aderito) sia per sensibilizzarli al tema, sia per impedire il licenziamento della lavoratrice, costretta ad un allontanamento forzato. Tutto questo programma ha portato a un aumento delle condanne per gli aggressori, a una crescita dei rei confessi e a un abbassamento delle ritrattazioni delle vittime (uno dei dati che in Italia è in continuo aumento). Ci sono esperienze simili nel nostro territorio, ma purtroppo hanno dei costi troppo alti e i Comuni o le Asl tendono a chiuderli.

L’università Bicocca di Milano ha invitato Scotland per verificare la fattibilità di questo percorso anche in Italia, e per capire le lacune di quelli già esistenti. Purtroppo la demografia e l’economia dei due Paesi è totalmente differente, ad esempio in Inghilterra le donne occupate sono il 75% da noi neanche il 50%; questo aspetto ci evidenzia la totale sudditanza economica più che psicologica della vittima nei confronti dell’aggressore. Sarà quindi opportuno studiare insieme la soluzione che meglio si adatta alla nostra realtà, magari coinvolgendo le aziende anziché per evitare il licenziamento per favorire l’assunzione. Aspettiamo fiduciosi una proposta soprattutto per quanto riguarda una semplificazione burocratica dei passaggi da noi obbligatori.

Immagine tratta da inchiostro.unipv.it

Ultima modifica il Giovedì, 16 Maggio 2013 00:02
Erica Rampini

Sono nata ad Arezzo il 26 giugno 1987, dopo un diploma in lingue ho lasciato il mondo poliglotta per iscrivermi alla Facoltà di Scienze per i Beni Culturali, laureandomi nel lontano 2009 con una tesi su donne e Resistenza. Sono stata presidente dell'Udi aretina e attualmente sono membro nella Commissione Pari Opportunità della Provincia di Arezzo. Da qui si possono evincere le mie passioni: politica e diritti. Attualmente sono assessora nel Comune di Monte San Savino, ridente paesino in provincia di Arezzo

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.