Decisamente confuso e con un caffè ormai andato di traverso, sono andato a documentarmi venendo a conoscenza delle Universiadi, splendida manifestazione sportiva che coinvolge gli universitari di tutto il mondo in diverse discipline. Ma andiamo con ordine.
Alle tre di pomeriggio di lunedì 18 la Teda - termine greco che definisce la torcia cerimoniale usata per portare il fuoco olimpico - arriva a Pisa, portata da tedofori d'eccezione come Soriano Ceccanti, Daniele Meucci, Anna Bongiorni: la destinazione è il Trentino, dove si svolgerà la ventiseiesima edizione dei giochi olimpici universitari invernali, dall'11 al 21 dicembre.
La fiamma, accesa da papa Francesco in persona, ha attraversato Pisa passando per luoghi di spicco come il Rettorato o piazza Cavalieri, per poi essere accolta sotto la torre, simbolo della città. Pisa ha avuto il privilegio di essere l'unica tappa toscana del Fuoco Olimpico, e di questo dovremmo esserne orgogliosi... malgrado pensi, ahimè, che la cosa sia stata sponsorizzata con poca energia a livello locale.
Nonostante la prestanza fisica di una tartaruga in sedie a rotelle, sono un appassionato di sport: chiedere pieno di entusiasmo ai miei amici studenti cosa ne pensano delle Universiadi mi è sembrato un interessante spunto di riflessione o, con meno pretese, di chiacchiere durante le pause.
Le reazioni sono state molteplici, dall'indifferenza alla sorpresa. Nessuno sapeva delle universiadi. Il che è un po' triste, se consideriamo come siano nate proprio dalla mente di un italiano, Primo Nebiolo, nel 1957: una persona che credeva fermamente nello sport e nella sua funzione d'aggregazione, di sfogo di pulsioni aggressive - trasformate in agonismo - e di realizzazione di sé.
Perché "fare sport " significa tutto questo e altro; oltre ad essere, per citare le parole del dottor Carlo Grolli di Como, "un fattore di protezione della salute" non indifferente, praticare sport aiuta a formare l'identità dell'individuo tanto in età adulta che scolare: pedagoghi e studiosi come Emanuele Isidori (che dirige il laboratorio di pedagogia generale dell'università di Roma "Foro Italico") si sono recentemente rituffati nell'analisi dell'attività sportiva, che è foriera di modelli etici e sociali.
Tralasciando le considerazioni filosofiche e infilando più concretamente le mani nella marmellata, bisogna ammettere che le sue funzioni sono molteplici; ad esempio i giochi di squadra insegnano come far funzionare un gruppo in maniera sinergica, quelli singoli a combattere duramente contro sé stessi per vincere: si impara cosa si può fare e cosa no per poter raggiungere il proprio obbiettivo, avendo delle regole da seguire.
Non dico di fare come i russi, per carità, che per incentivare la partecipazione alle olimpiadi invernali del 2014 hanno dato l'opportunità ai cittadini di pagare il biglietto della metro di Mosca facendo flessioni o squat: eppure, se perdonate il gioco di parole, "cogliere la palla al balzo" ed approfittare delle universiadi per promuovere le attività sportive sarebbe stato a mio avviso apprezzabile.
Dopotutto, come sostenne a suo tempo De Coubert, rinnovatore dei giochi olimpici in età moderna, "lo Sport deve essere patrimonio di tutti gli uomini e di tutte le classi sociali". Speriamo sia effettivamente così.