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National e Beirut animano il bizzarro progetto LNZNDRF
Recensione dell'omonimo album d'esordio dei LNZNDRF

L'impronunciabile appellativo LNZNDRF è il moniker dietro il quale si nascondono tre artisti navigati delle scena alternativa statunitense. Due di questi sono Bryan e Scott Devendorf, la coppia di fratelli meno famosa ma non meno importante nelle alchimie sonore dei National, una delle band più emblematiche e celebrate dell'indie rock degli ultimi quindici anni (non perdeteveli il 12 Luglio al Pistoia Blues Festival, nella loro unica data italiana). Il terzo, è Benjamin Lanz il polistrumentista dei non meno noti Beirut, che si sono costruiti un solido seguito di sostenitori grazie a deliziosi album di folk e world music come Gulag Orkestar o The Flying Club Cup.
Il risultato della collaborazione fra questi tre artisti è l'omonimo LNZNDRF, una raccolta di otto composizioni che ha il coraggio di allontanarsi sia dai territori cari a National che da quelli affini ai Beirut. Si tratta infatti di un album d'esordio dai contorni psichedelici e caratterizzati dal prevalere di lunghi pezzi segnati da una strumentazione aperta ed atmosferica. Si riducono allora al minimo le nervose e oscure tribolazioni post-punk care ai National, così come le tentazioni world music e balcaniche dei Beirut sono pressoché assenti.

Il suono acido dei LNZNDRF flirta piuttosto con post-rock e shoegaze, nelle lunghe digressioni solenni e atemporali che caratterizzano il cuore pulsante della loro cifra stilistica (il crescendo di "Future You" coi suoi loop chitarristici e linee pulsanti di basso, o la sognante "Hypno-Skate", un trip allucinato per tastiere sinuose e chitarre vorticanti). L'apice di questa esigenza comunicativa è raggiunto con la conclusiva e spettrale "Samarra", coi suoi synth martellanti e ossessivi che si sviluppano in un coacervo di flussi rumoristici, in un progressivo prevalere entropico di una elettronica malata e occulta, vicina al Kraut Rock.

Molto riuscita anche "Beneath The Black Sea", forse il momento più alto del disco, dove l'impostazione ritmica alla National non nasconde l'ambizione del trio di dilatare il suono a dismisura: ne esce un bizzarro e riuscitissimo connubio di neo-psichedelia, synth pop oscuro e malinconico anni ottanta alla New Order con un indie rock introverso dalle velleità cantautorali.

Non tutto è oro quel che luccica però, e nella estrema varietà di stili e influenze, che rende il progetto piuttosto eterogeneo, emergono anche esperimenti non del tutto riusciti, come l'indie- pop al silicio di "monument", una versione più post-prodotta è innaturale di qualche classico electro pop, o il baraccone anni ottanta di Kind Things, un calderone di appiccicose sonorità funky piuttosto sconclusionate e decisamente fuori luogo.

Nonostante qualche riempitivo, il progetto funziona: se l'auspicio è che questo album non resti un caso isolato ma possa essere solo il primo passo di una collaborazione più longeva, la speranza vera e propria è che questo "LNZNDRF" possa aiutare National e Beirut a ritrovare quella creatività che si è fatto fatica a intravedere nelle loro ultime prove.

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