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La nuova regina dell'avanguardia pop: Julia Holter e il suo ultimo capolavoro
Che fossimo in presenza di una artista di grande spessore, lo si era capito fin dai lavori precedenti della losangelina Julia Holter. Dischi come Ekstasis (2012) e Loud City Song (2013), mostravano già la sbalorditiva abilità compositiva di una delle più grandi personalità del pop avanguardistico degli ultimi anni.
L'ennesima conferma arriva con Have You in My Wilderness (2015), l'album della definitiva consacrazione artistica e fondamentale punto di svolta nella sua produzione musicale. Si tratta infatti di un disco, che senza rinunciare a costruire impalcature strumentali complesse e avanguardistiche, prova a diradare le impenetrabili nubi esoteriche e le pesanti e labirintiche formule musicali degli esordi, per giungere a un cantautorato più dinamico ed accessibile.
Narcotiche istantanee noir: il nuovo volto di Lana del Rey
Nemmeno il tempo di riprendersi dallo shock di Ultraviolence (2014), l'album che l'anno scorso aveva sancito una netta rottura rispetto a quella devastante macchina da hit radiofoniche che è stato il - pur a suo modo interessante - celeberrimo Born to Die (2012), che Lana del Rey è di nuovo in pista. Affievolita la luce dei riflettori sulla sua persona, la diva antidiva per eccellenza, si spinge ancora di più su terreni dilatati e narcotici di un dream pop sofisticato ed estetizzante. Su Honeymoon (2015) c'è la definitiva presa di distanze dal suo recente passato di pop star, confermando l'intenzione della Del Rey di proseguire un percorso verso territori, sempre affini al pop, ma molto più impervi e complessi di quelli degli esordi.
Un abisso è riaperto: il ritorno della dark lady Chelsea Wolfe
L'abisso di Chelsea Wolfe è quello dei suoi disturbi del sonno, che la affliggono sin da bambina e che riaffiorano, nonostante i tentativi di esorcizzarli, nel crescendo di inquietudine e tensione emotiva del suo ultimo album, il più oscuro e spigoloso della sua carriera. La trentunenne cantautrice californiana Chelsea Joy Wolfe raggiunge con questo Abyss (2015) l'apice estetizzante del suo neo-folk apocalittico: mai la sua proposta musicale è stata tanto elaborata e ricca delle più variegate suggestioni. I battiti dispari, le chitarre metalliche, le cacofonie industriali, i droni funerei, concorrono a creare un ibrido musicale avvolgente e inquietante, un costrutto melodico pieno di sfumature e sovrapposizioni.
Molto più dark e rumoristico, quest'ultimo lavoro, conferma la Wolfe come regina del gotico underground contemporaneo. Rispetto all'altra lady oscura Zola Jesus, che ha recentemente fatto virare la sua interessantissima proposta musicale verso terreni più pop e commerciali, la Wolfe cambia senza snaturarsi, anzi facendo del decadente e dell'occulto uno stile personale al confine fra più generi. Se il doom folk è ancora elemento strutturale delle sue sempre più articolate composizioni, regnando sovrano nelle desolanti ballate di "Crazy Love" (che si colloca sui terreni nervosi e scarni di Lisa Germano ma con quel pathos sognante e impenetrabile di Marissa Nadler) o di "Simple Death" (elegantissima, nebbiosa ninnananna per sampling minimalista), il resto si immerge in una soffocante marcia verso il cuore di tenebra.
L'incanto dell'astrazione pura: il ritorno dei Beach House
"Come un quadro espressionista astratto di un sole sbiadito" è la felice definizione che il Guardian ha dato riferendosi all'ultimo lavoro del duo composto da Victoria Legrand e Alex Scally, in arte Beach House. Disponibile già in ascolto streaming in rete, ma in uscita il 28 agosto, Depression Cherry è una delle novità discografiche più attese in ambito indie di tutto il 2015. Del resto il gruppo di Baltimora non ha mai sbagliato un colpo, scolpendo con dovizia di particolari un proprio solido approccio indie pop per poi proseguire per piccoli aggiustamenti successivi volti a levigare le leggere imperfezioni che hanno ben presto portato alla maturità compositiva ed espressiva di gioiellini come Teen Dream (2010) e Bloom (2012). Ma è su questo Depression Cherry che si vogliono tirare le somme di un certosino lavoro di perfezionamento: l'album non è probabilmente il capolavoro della loro discografia, ma è sicuramente il momento dialettico della loro sintesi artistica, in cui tutti gli elementi del passato, trovano in queste 9 tracce il loro posto ordinato.
Born to run compie 40 anni
Il 25 Agosto 1975 è il 40° anniversario dell'uscita di Born to run, un disco che ha profondamente segnato milioni di persone in tutto il mondo. E che continua a "mietere vittime". Da qui è iniziato tutta la leggendaria carriera di uno dei più prolifici cantautori-rocker del mondo. Merce rara oggi.
La pubblicazione fu preceduta da un'imponente campagna promozionale, basata sullo slogan «il futuro del rock and roll». Risultato? "Born to Run", ancor prima della sua uscita, divenne uno degli album più attesi dell'anno e la canzone omonima fu una delle più trasmesse dalle radio.
Inoltre nel 2003 l'album si aggiudicò la posizione numero 18 nella Lista dei 500 migliori album secondo la rivista "Rolling Stone".
Elliott Smith e l’eleganza del malessere
Il documentario Heaven Adores You ricostruisce la vita del più grande cantautore degli anni novanta
Forse per capire il senso profondo delle poetica di Elliott Smith si può far riferimento alla scena finale del documentario di Nickolas Rossi, Heaven Adores you (2014) che si chiude sulle note strazianti di Happiness (…”that al I want now is happiness for you and me”) introdotta da un conduttore radiofonico che chiede al musicista americano perché avesse scelto di mettere proprio quella canzone in fondo al suo ultimo album. La risposta di Smith è di una semplicità disarmante: “perché è una canzone felice”.
Il lungo periodo di depressione che ha caratterizzato i suoi ultimi anni di vita, e poi le tragiche circostanze della sua morte (avvenuta nel 2003 e causata da diverse pugnalate al petto, probabilmente auto- inflitte), non possono non rendere ancora più amara una risposta così positiva, apparentemente del tutto in antitesi con le vicende personali della sua travagliata vita. In realtà però l’appello alla felicità di Elliott Smith, anche in uno dei periodi più neri della sua esistenza, risulta perfettamente coerente coi suoi desideri e con le sue esigenze comunicative: il cantautore originario del Nebraska ha infatti sempre fatto della ricerca della felicità e della serenità d’animo la meta ultima della sua vita e della sua musica.
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