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Venerdì, 08 Gennaio 2016 00:00

La solitudine dell'ascoltatore globale

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La solitudine dell'ascoltatore globale

Le persone leggono meno libri, vanno meno ai musei, ma sicuramente continuano ad ascoltare tantissima musica. La loro vita è circondata dalla musica. La musica si trova nei negozi, nei supermercati, nelle piazze. Nelle nostre abitazioni, poi, abbiamo sempre più dispositivi tecnologici che ci consentono l'accesso alla musica e la riproduzione di brani musicali.  Il numero di persone che si accosta a uno strumento musicale è in continua espansione. Inoltre, nonostante la crisi del mercato discografico, la musica è ancora il settore dell'industria culturale, insieme al cinema, con maggiori potenzialità di business.

Lunedì, 28 Dicembre 2015 00:00

I migliori venti album del 2015

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I migliori venti album del 2015

Si chiude il 2015, un anno musicalmente valido che ha visto l'uscita di un serie di ottime prove, in ambiti e generi molto diversi fra loro. Sugli scudi il cantautorato al femminile, nelle sue numerose sfaccettature. Fra i lavori più convincenti non possiamo non menzionare il meraviglioso pop avanguardistico di Julia Holter, la gothic rock opera di Chelsea Wolfe, il pop rarefatto e narcotico di Lana del Rey, l'indie rock psichedelico di Courtney Barnett, l'elettronica pop camaleontica di Grimes e quella più folk di Susanne Sundfor, senza dimenticare l'atteso ritorno di Joanna Newsom.

Nel segno di Joy Division e New Order: Peter Hook in concerto
live report del concerto di Poter Hook & The Lights al Viper di Firenze del 10 Dicembre

A ricreare l'atmosfera della Manchester che fu, ci pensa la proiezione dell'eccentrico film semi-documentaristico "24 Hour Party People", proiettato prima del concerto su una parete del Viper. Ma, in una sala gremita e molto eterogenea anagraficamente, tutti aspettano lui, Peter Hook, lo storico bassista dei Joy Division e new Order che con il supporto dei The Lights è venuto per suonare i pezzi storici dei due gruppi simbolo della scena new wave, ancora oggi fra i più influenti nell'ambito della musica rock alternativa.

Tutti si aspettavano qualcosa di più di una semplice serata tributo e per fortuna così è stato. I molto bravi Lights accompagnano magistralmente un Peter Hook che ha il grande pregio di rileggere i brani dei due gruppi e offrirne una versione personale. In diversi frangenti, Hooky si permette il lusso di fare ciò che non è mai stato, ovvero la rockstar, mettendosi sul bordo del parco in pose plastiche a eseguire dei riff di basso di buon impatto, lui che ha influenzato intere generazioni di musicisti col suo basso pulsante e ossessivo. Anche i pezzi, sono generalmente interpretati con una maggiore predisposizione rockettara, oltre che con un più moderno piglio elettronico per quanto riguarda i pezzi dei Joy Division, pur senza snaturarli.

Hook e i Lights iniziano la loro lunga maratona musicale (complessivamente, il concerto è durato circa due ore e mezzo) proponendo prima alcuni brani dei New Order. Già in questa prima fase emerge la nota stonata della serata, ovvero la voce di Hooky, poco brillante, e che sembra non riuscire a raggiungere certe tonalità. Rispetto a Bernard Sumner, cantante dei New Order (che hanno di recente prodotto un nuovo album ma senza Peter), Hook appare un dilettante, ma il trasporto di gioielli come "Dreams Never End" e "Ceremony", copre gli scarabocchi vocali di altri pezzi in cui non riesce a essere altrettanto incisivo ("Temptation", "Age of Consent"). Peccato per la mancanza nella scaletta di un classico come "Blue Monday" che i nostri avevano già portato su altri palchi.

Meglio il lungo set, a sua volta diviso in tre parti, in cui vengono proposti in maniera sistematica e quasi filologica tutti i pezzi dei Joy Division presenti nel loro due album ufficiali, i seminali Unknown Pleasures (1979) e Closer (1980), più alcuni dei loro fulminanti singoli. Anche qui, però, con le dovute differenze. Su Closer, che Peter Hook & The Lights hanno cominciato a portare in tour solo da pochi mesi, si percepiscono ancora piuttosto nettamente le indecisioni vocali di Hook alle prese con del materiale poco rodato dalla band, la quale comunque restituisce in maniera più che discreta la disperata grandezza monumentale e decadente del disco, con lo stesso Hooky che dà il meglio di sé quando si tratta di fornire una interpretazione personale nelle rarefatte ed atmosferiche gemme conclusive di "The Eternal" e "Decades".

Il meglio del concerto si ha però nel finale, quando Hook e i Lights si scatenano sulle note dell'inossidabile capolavoro Unknown Pleasures. Qua, la voce baritonale di Peter riesce a non far rimpiangere (troppo) Ian Curtis, mostrando una maggiore scioltezza e disinvoltura, mentre dietro i Light sono bravissimi a ricostruire le impalcature oscure, nervose, ansiogene delle varie "Shadowplay", "She's Lost Control" o "Disorder". Il pubblico, risponde con grande trasporto emotivo, e si scatena negli atti conclusivi dove, nel tripudio generale, vengono proposte in sequenza "Digital", "Transmission" e l'immancabile "Love Will Tear Us Apart".

Nonostante il prezzo più che abbordabile, Peter Hook & The Lights non si risparmiano. Benissimo la parte strumentale, con il basso di Hook in grande evidenza e i Lights in forma strepitosa. Così e così invece la voce di Hooky che però a modo suo e con mestiere si difende, lui che comincia ad avere una certa età e un cantante professionista non è mai stato. Viene così rafforzata la legittimità di questa ibrida operazione a metà fra il revival e il tributo che intrattiene senza troppe presunzioni e senza far torti a nessuno. Difficile aspettarsi di più.

Inaugurata nel 1845 e ripresa fino al 1865 la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi mancava al Teatro alla Scala da ben 150 anni. Ci se n’era dimenticati senza troppo sforzo, giudicandola senza entusiasmo e con molte critiche, ed ora torna alla ribalta con un allestimento eccezionale: sul podio il maestro Riccardo Chailly e sul palco niente meno che Anna Netrebko, Francesco Meli e Carlos Alvarez.

A volere una ripresa tanto coraggiosa è stato proprio Chailly, che inaugura ufficialmente la sua prima stagione da Direttore principale del Teatro. Il maestro milanese aveva già diretto Giovanna d’Arco al Comunale di Bologna, nel 1989, nella storica produzione di Werner Herzog, e oggi vi ritorna con l’ausilio dei registi Moshe Leiser e Patrice Caurier, in debutto alla Scala.

Dopo l’esibizione sorprendentemente riuscita all’Aeroporto di Malpensa, allestita in forma di performance all’aperto per celebrare l’Expo di Milano, L’elisir d’amore torna sul palco del Piermarini in una versione che ha girato i maggiori teatri d’Europa già dal 1998.

È a partire dalle bozze del costumista Tullio Pericoli, che aveva collaborato con la regia di Ugo Chiti nel 1998 e nel 2001 e di Laurent Pelly nel 2010, che Grischa Asagaroff ha voluto produrre questa nuova messinscena.

Una versione che fa il verso ad un ottocento fiabesco, da illustrazione per bambini, in cui colori sgargianti e tinte pastello, abiti dalle forme voluminose e accentuate ed oggetti di scena puliti e semplici, si uniscono alla recitazione da commedia dell’arte dei personaggi.

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