Sforzandoci di andare oltre gli strepiti di Grillo che utilizza il colpo di Stato in chiave puramente retorica e reìtera l'accusa golpista a chiunque si frapponga tra sé e il potere, possiamo notare come ci sia effettivamente un indebolimento dello Stato democratico, perlomeno così come concepito fino ad oggi. È un argomento di attualità nella misura in cui le logiche che i movimenti no-global avevano individuato come allarmanti sono ancora pienamente in azione e vedono lo sgretolamento delle sovranità nazionali marciare di pari passo all'agglomerazione di istituzioni sovra-nazionali che scalzano dai propri ambiti di potere le autorità storicamente insediatisi. Il collasso degli stati-nazione che marcia parallelamente all'agglomerazione di grandi aree commerciali, che corrispondono pressapoco alle aree sovra-nazionali in campo politico ne è la plastica rappresentazione. Senza voler peccare troppo di marxismo deterministico si potrebbe quasi dire che la tendenza in atto in ambito sovrastrutturale pare assecondare la tendenza strutturale dell'economia globalizzata, che marcia inesorabilmente verso l'accumulazione capitalistica più sfrenata, facendo di conseguenza aumentare la potenza politica dei “comitati d'affari”.
Lo stesso Chomsky in Italia il 24 gennaio ha precisato, citando il Wall Street Journal: “La democrazia è collassata, destra o sinistra che siano inseguono le stesse idee politiche. È il neoliberismo ad essere distruttivo per i popoli d'Europa”. Le motivazioni del linguista americano e quelle del sociologo piemontese in sostanza sono le stesse: il welfare state in quanto costruzione pericolosa per le classi dominanti (vedi il rapporto Jp Morgan sulle Costituzioni dell'Europa meridionale), che si colloca a metà strada tra liberalismo e socialismo in ambito politico, è semplicemente da smantellare. Uno smantellamento avviato proprio dagli ultimi governi tecnici, infatti Chomsky, anticipando A. Friedman, pone il governo Monti al centro del suo duro attacco contro lo scippo democratico attuato.
Questo sarebbe dunque il Colpo di Stato, ossia una profonda alterazione della Costituzione da parte di un potere non preposto a tale compito di riforma e per nulla, o scarsamente, legittimato esso stesso. Dunque il sottotitolo del volume di Gallino “L'attacco alla democrazia europea” non pare certo un'affermazione estremistica e infondata, soprattutto quando viene dalla bocca di un professore a mio avviso moderato (ricordo a proposito l'ultima sua dichiarazione di voto) che, per giunta, si è sempre dichiarato e tuttora si dichiara “europeista convinto” e crede per l'appunto che “l'Europa, dopo gli Stati Uniti, sia il più grande progetto politico, civile, morale e culturale che il mondo abbia mai visto”. L'autorevolezza dell'autore del libro e la gravità delle affermazioni ivi riportate meriterebbero un approfondimento puntuale sui temi. L'utilizzo politico del termine colpo di Stato, oltre a esser stato fatto un anno dopo la stesura del libro, porta inevitabilmente nella bagarre un termine delicato e a mio avviso rappresenta solo l'ultima grave degenerazione di una sovrastruttura sempre più sclerotizzata.
Gallino si premura di definire accuratamente il colpo di Stato, che avviene quando “una parte che non ne avrebbe diritto si arroga poteri fondamentali attinenti alla sovranità costituzionale dello Stato” (p.188). Si è così in presenza di uno “stato di eccezione”, colui che si attribuisce questo potere, spesso ha inventato esso stesso lo stato di eccezione che richiedeva interventi e poteri straordinari”. Lo “stato d'eccezione” a cui fa riferimento l'autore riguarda i poteri eccezionali auto-attribuitisi dalla Troika (Commissione Europea, Bce, Fmi) e dal Consiglio europeo (organo non eletto). Documenti Ue alla mano avvia poi una profonda disamina di quanto avvenuto coi provvedimenti calati sui paesi del Sud Europa tra il novembre 2011 e il febbraio 2012, precisando la pesante funzione esercitata dai Trattati dell'Unione europea.
Dalla prima lettera di Olli Rehn al ministro Tremonti del 4 novembre 2011; ai piani di riduzione del debito nel Patto di Stabilità (approvati in data 13 dicembre 2011 al Parlamento europeo); alla creazione ad opera del Consiglio europeo del Mes “un'istituzione comunitaria affine a una banca, atta a fornire – ponendo a ciò condizioni durissime – assistenza finanziaria agli Stati membri che presentino difficoltà di bilancio” (p.193) (ovviamente come si potrà ben capire da un'attenta lettura del libro il prezzo è il cappio al collo dei bilanci statali). Gallino non manca neppure di spulciare attentamente il Memorandum del 9 febbraio 2012 alla Grecia, il cui “tono” viene elegantemente definito “quello di un manifesto affisso in una città occupata dal comando dell'esercito vincitore” (p.194) e in cui viene stabilito praticamente tutto: condizioni di lavoro (peggiorate in barba alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che, seppur poco, qualcosa dice in merito alla difesa dei diritti materiali; come mai sia stata totalmente ignorata non è dato saperlo), salario minimo (ridotto del 22%, del 32% ai giovani sotto i 25 anni), contratti collettivi (che non potranno avere durata massima superiore ai tre anni), l'obbligo di stilare un inventario comprensivo degli attivi di proprietà dello Stato al fine di avviare la dismissione del patrimonio pubblico. Le 51 pagine del documento si addentrano poi in particolari morbosi tipici di chi ha intenzione di esautorare un'autorità in carica: “ridurre la distanza minima stabilita fra una stazione di carburante e un luogo nel quale si possano radunare più di 50 persone” al fine di “migliorare l'ambiente del business” (p.195), ma pure l'inquietante rimozione delle regole di sicurezza relative a prodotti per bambini, compresi quelli alimentari. L'autore, suffragato dall'affermazione del presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker che ricordava proprio nel 2011 come sarebbe stata necessaria una massiccia limitazione della sovranità nazionale greca al fine di ottenere l'adempimento dei doveri, giunge a elencare quali sono gli elementi che lo portano a sostenere la tesi del colpo di Stato: I) le suddette operazioni non sono state affatto compiute da soggetti esterni agli Stati membri della Ue; II) i popoli europei sono stati ingannati dai loro governi circa le origini della crisi finanziaria; III) le banche Ue hanno accumulato debiti gravosi prima e durante la crisi, a tal punto che il totale di codesti debiti privati è pari o addirittura grandemente superiore al rispettivo debito pubblico; IV) le organizzazioni internazionali che di fatto controllano la Ue, e che in accordo con il Consiglio europeo hanno dettato alla lettera i rimedi per uscire dalla crisi, non godono di alcuna legittimazione democratica; V) anche se il Patto politico-fiscale è stato in effetti firmato da capi di Stato e di governo democraticamente eletti, le conseguenze dei suoi dispositivi sulla Costituzione e sul processo democratico dei Paesi interessati sono di tale straordinaria portata che tali dispositivi avrebbero dovuto essere sottoposti a un'ampia consultazione popolare. Per contro la discussione pubblica è stata accantonata, e i Parlamenti hanno approvato il trattato in poche ore. Laddove c'è stato il tentativo di sottoporre a referendum un documento della Troika, in Grecia, è stato seccamente respinto da Bruxelles con la minaccia di non versare gli aiuti previsti; VI) il Trattato sulla stabilità (comprendente Patto fiscale, Six Pack ecc.) sopprime di fatto una delle funzioni primarie di un Parlamento democratico, ossia il potere di decidere sulle entrate e sulle spese dello Stato, oltre ad accrescere i poteri della Commissione, a paragone dei poteri sia del Parlamento europeo sia dei Parlamenti nazionali; VII) il sistema lobbystico europeo sarebbe poi evoluto al punto da non limitarsi più ad esercitare una pressione esterna al sistema istituzionale, bensì sarebbe divenuto parte integrante di questo (pp.197-201).
L'obiettivo perseguito dai poteri economici finanziarizzati è quello di cannibalizzare l'Eurozona che resta “l'unico grande agglomerato di Paesi al mondo che disponga di sistemi pubblici di protezione sociale”, per un “bilancio complessivo di essi che si aggira sui 3800 miliardi di euro l'anno, pari al 25% del Pil Ue”(p.204).
La cosa che più si fa apprezzare di questo libro di Gallino è però l'attenta contestualizzazione della crisi esplosa nel 2007-08, infatti precisa fin dall'introduzione “non ha niente di naturale occidentale. È stata il risultato di una risposta sbagliata, in sé di ordine finanziario ma fondata su una larga piattaforma legislativa, che la politica ha dato al rallentamento dell'economia reale che era in corso per ragioni strutturali da un lungo periodo” (p.3). Il fallimento del regime di “accumulazione produttivista”, palesatosi con la stagnazione del dell'accumulazione del capitale in America e in Europa negli anni Settanta del secolo scorso, ha spinto le forze capitalistiche verso uno “sviluppo senza limite delle attività finanziarie, compendiatesi nella produzione di denaro fittizio”(p.3). Quello che Gallino pone in evidenza è come “il regime di accumulazione del capitale dominato dalla finanza” sia stato “in gran parte una creatura della politica” (p.73), proprio in risposta a questo rallentamento dell'economia reale cominciato molto tempo addietro con il calo della domanda e dei consumi, ribassi salariali, eccesso di capacità produttiva e caduta del tasso di profitto netto (passato negli dal 16% nel '66 al 10% nel '75). Sarebbe dunque stata la politica ad aver consegnato il potere alla finanza, non questa a prevaricare sulla prima grazie alla sua debolezza; di conseguenza se ne potrebbe uscire solamente per via politica e Gallino se pur con scetticismo tenterà di indicare una via percorribile nel campo delle riforme ad un sistema complesso come quello della finanza nel mondo capitalistico avanzato. Su quali processi politici abbiano spianato la strada alla finanziarizzazione dell'economia il sociologo piemontese ha pochi dubbi: la deregulation come enorme processo di liberalizzazione finanziaria che ha eliminato ogni vincolo ai movimenti di capitale e alle attività delle banche, compresa l'eliminazione spregiudicata dei controlli sulle operazioni bancarie che hanno progressivamente portato, dagli anni '80 a oggi, allo sviluppo di un vero e proprio “ambiente criminogeno” (p.124) è la principale indiziata. Un potere che costituitosi in forme politiche – farà esplicito riferimento al “partito di Davos” teorizzato da Jeff Faux - e armatosi delle teorie neoliberiste, ha insidiato e conquistato varie casematte centrali per il governo europeo e per la diffusione dell'ideologia: dal Forum economico mondiale all'Ocse, passando per ambigui organismi come il Cmit (Comitato sui movimenti di capitale e le transazioni invisibili), si è così riusciti a esercitare pressioni dirette sui governi affinché accelerassero ed espandessero le liberalizzazioni e a imprimere modifiche ai Trattati dell'Ue. Valga come riferimento una dichiarazione di Renato Ruggiero (ex direttore generale del WTO) uscito dall'ultimo Forum di Davos: “Noi non stiamo più scrivendo le regole dell'interazione tra economie nazionali separate. Noi stiamo scrivendo la costituzione di una singola economia globale”. Quale categoria di cittadini possa mai essere tutelata da una simile costituzione è facilmente intuibile, ma lo ricorda Faux :“quella dell'investitore societario globale” (p.77). La pericolosa curvatura presa dalla democrazia minata all'interno dal “totalitarismo neoliberale”(p.251) risulta evidente anche quando si passano in rassegna le varie vicende politiche di Paesi europei come la Francia (che con l'arrivo al governo dei socialisti nel 1981 con Mitterand avvia il cortocircuito politico divenendo non solo una tra le prime nazioni europee a liberalizzare i movimenti di capitale, ma la prima di centro-sinistra a farlo), la Germania e il Regno Unito di Maggie Thatcher vera artefice di qualcosa che superò la deregolamentazione per spingersi verso una vera “ri-regolamentazione” in favore del Capitale dell'economia europea, creando così un modello di larga diffusione nel continente.
In tutto il volume troviamo molto di Marx, dipanato in un'analisi economica che ripercorre i rivoli delle formulazioni economiche più accurate del Novecento da Baran e Sweezy, a Keynes e Minsky, fino a Galbraith e Schumpeter. Il professore, studioso e traduttore dei francofortesi, non mancherà poi di dedicare un capitolo all'attenta disamina della “crisi come modalità di governo delle persone” (cap. 9).
Troviamo però una costante che attraversa carsicamente il volume, infatti vediamo emergere in più punti il riferimento alla distorsione del sistema informativo e conoscitivo quale perno su cui si incentra il dominio di classe che impedisce il passaggio dalla “classe in sé” alla “classe per sé”. Di più, per questa strada si giunge perfino ad annientare qualsiasi ipotesi di “pensiero critico”, e questo è il lato drammatico, impedendo l'emendabilità del sistema capitalista ormai palesemente avvitato su se stesso. “Allo sguardo del pensiero critico, il neoliberalismo è nudo” (p.268), proprio per questo il neoliberalismo continua a generare omologazione culturale. Il “tradimento dei chierici” è quasi scontato.
Una relazione interessante sulle distorsioni mediatiche nella rappresentazione del pensiero economico fatte dai mainstream è stata proposta da Francesco Sylos Labini durante la presentazione del libro di Gallino al Centro studi Piero Gobetti a Torino, per chi fosse interessato le slide dell'intervento sono disponibili qui. Dunque, vediamo emergere il filo gramsciano del discorso di Gallino che non scade mai in volgarizzazioni e generalizzazioni semplificatrici, ma che mira a destrutturare puntualmente le menzogne della classe dominante (quell'1% cui non manca di riferirsi) rivolte ai subalterni, ossia quel 99% della popolazione mondiale schiacciato dagli interessi di una ristretta élite intenta a estorcere il consenso con attenzione, senza ricadere nei colpi di mano dei putsch militareschi. Così la disamina di Gallino, se prende decisamente le distanze dall'ipotesi di qualsiasi forma rozza di colpo di Stato, non pare escludere del tutto la possibilità che effettivamente si sia entrati in una sorta di “stato d'eccezione”, e anzi lo conferma nelle ragioni riportate sopra, ma vuole spingersi oltre ed è questo il merito principale di questo libro che raccoglie il miglior pensiero economico e filosofico della seconda metà del secolo scorso. Vuole cioè capire la formazione del consenso verso l'ideologia neoliberale creata ad arte dalla “fabbrica dell'egemonia”, per cui “senza di essa il colpo effettuato da banche e Stati europei contro lo stato sociale e il lavoro non sarebbe stato possibile”(p.19). Come è dunque potuto accadere che tra l'estate 2007 e la fine del 2009 la crisi fosse esplicitamente riferita ai dissesti finanziari delle banche, mentre dai primi mesi del 2010 i bilanci pubblici di punto in bianco presero ad essere i principali indiziati? Come non rendersi conto che la stessa dottrina che ha causato la crisi, non spiegandola e tanto meno prevedendola, continua a essere la medesima che ci sta guidando ancora oggi? L'esempio fatto sui conti pubblici irlandesi riassume bene l'operazione di “esproprio” e di “riscrittura mediatica” dell'accaduto: “a fine 2007 il debito pubblico irlandese toccava appena il 25% del Pil – un primato mondiale di virtuosità finanziaria. Invece a fine 2011 risultava salito al 108%, per cui l'Irlanda veniva iscritta d'ufficio, dai vertici Ue, fra i Paesi spreconi.” (p.172). Per il momento mancano intellettuali col coraggio di spiegare questi dati e mancano giornali e giornalisti in grado di snocciolare i particolari. Come ha fatto Chomsky, bisogna affidarsi agli organi stampa del potere borghese, carpendo dai dispacci d'agenzia che cosa accade e quali sono gli intenti. E' una guerriglia culturale continua, tenace, ma tanto più necessaria quanto più avanza l'omologazione culturale e l'annichilimento del pensiero critico.
Nella complicata analisi economica delle riforme indispensabili e radicali si intuisce in Gallino un senso di scoramento profondo, tipico di chi sa benissimo che per evitare una prossima crisi ancor più distruttiva non basterà “insegnare a Terminator III le buone maniere per stare a tavola”, bensì occorrerà portarlo in officina e “smontarlo pezzo per pezzo” (p.143). Per fare questo però serve una volontà politica inflessibile e determinata che, come ha fatto capire con la sua teorizzazione del colpo di Stato, semplicemente non esiste, anzi mira in modo lapalissiano ad accontentare le banche ormai finanziarizzate al midollo, inventandosi persino il “keynesismo bancario”. Lo spettro che aleggia sul libro, infatti, è ciò che non avremmo mai voluto leggere, ma che allo stesso tempo rappresenta un segreto di pulcinella tra gli addetti ai lavori, ovvero la certezza che nel prossimo futuro – sempre che la politica non cambi - le banche salteranno per aria per l'ennesima volta, senza più margini di tamponamento visto il prosciugamento dei bilanci pubblici. Come dire: il colpo di Stato c'è stato, ma difficilmente potrà ripetersi, eppure allo stesso tempo visto che questa classe dirigente difficilmente pare volersi redimere, sembra esserci un solo passaggio obbligato per riattivare l'occupazione (nell'annichilimento totale del pensiero critico Gallino deve pure ricordare che prima viene questa, solo poi, di conseguenza, la crescita, e che la crescita senza un incremento di occupazione vuol solo dire nuove crisi ancor più gravi) e riportare la finanza al servizio dell'economia reale. Tutto dipenderà da chi avrà la forza e il coraggio per portare Terminator III in officina per fare quello che va fatto: disattivare “l'arma di distruzione di massa” (Gallino che corregge Warren Buffet a p.128) per fermare il “crimine economico contro l'umanità”(Shoshana Zuboff, docente della Scuola di amministrazione aziendale di Harvard a p.125).