Il romanzo/saggio parte infatti dagli orrori e le efferatezze del narcotraffico messicano, dalla violenza più brutale (persino la sola “fantasia della violenza” diventa uno strumento), per poi accompagnarci per mano, con una sorta di anticlimax, verso l'ordinarietà, la quotidianità della cocaina, che forse è ancora più pericolosa perché invisibile, perché meno “scenografica”, meno lampante. Dall'aberrazione del lontano Messico scivoliamo pagina dopo pagina dentro le situazioni della bassa manovalanza, le vicende dei “muli” che spacciano cocaina imbottendosi di “ovuli” che ingeriscono (rischiando la vita) e che trasportano in tutto il mondo, le vicende dii broker, di spacciatori, e soprattutto dentro l'immenso traffico di cocaina che striscia, si annida dietro le banche, e che quindi inquina il nostro stesso denaro. Per questo non si può continuare a pensare che le storie di cocaina non siano anche nostre storie e che non ci riguardino da vicino.
Anche più vicino di quanto si immagini, dato che è di qualche giorno fa lo scandalo che ha travolto uno dei locali storici davanti palazzo Pitti, e altri locali di Firenze scoperti infestati dalla camorra. Senza contare che il nostro Arno pare contenta più tracce di cocaina che l'intero Tamigi.
Saviano ammette che si è trattato sia di un privilegio che di un'ossessione scrivere questo libro. Il privilegio del narratore consiste nel riuscire a raccontare cose attraverso le quali può raccontare il mondo, attraverso finestre che se vengono aperte ci spalancano uno scenario con cui diventa impossibile poi non dover fare i conti. Attraverso il traffico delle merci quel che Roberto fa è raccontarci la vita con cui ci scontriamo ogni giorno, conoscere la “merce delle merci”, avere a che fare con il “capitalismo del capitalismo”, con il guadagno per il guadagno, con la sua ferocia del profitto, la sua regola generata dall'affarismo criminale e non dalla legge ci introduce nella dimensione quotidiana delle nostre esistenze, di cui dobbiamo prendere necessariamente coscienza e consapevolezza, per cercare di non subire passivamente questo meccanismo malato, questo marcio sistema che ci contamina tacitamente e sottilmente, ma ci pervade, in tutto ciò che facciamo. E qui però nasce anche l'ossessione: perché avvicinarsi a queste storie significa guardare la realtà, la verità in faccia, guardare negli occhi questi poteri che manovrano la nostra economia, che si nascondono dietro il nostro lavoro, il nostro denaro, le nostre vite. Diventa una pericolosa feritoia da cui spiare il mondo da vicino e carpirne i segreti più subdoli e spaventosi, che forse sappiamo esser lì da sempre ma distrattamente li rimuoviamo o fingiamo che non ci tocchino, non coinvolgano il nostro piccolo esistente.
Le storie che leggiamo nel libro di Saviano potrebbero a primo acchito apparire storie da 007, storie da film, da thriller, qualcosa che ci potrebbe sconvolgere solo “esteticamente”, come spettatori, che poi dopo il “the end” finale, l'impatto fulmineo del momento, tornano a dormire sonni tranquilli, ma invece lui riesce a farcele toccare con mano e renderci chiaro come queste si intersechino nelle nostre strade, anche quando voltiamo lo sguardo per non vedere, anche quando chiudiamo gli occhi. “Srotola un filo qualsiasi e questo si snoderà e ti trascinerà fin nell'abisso del TUO quotidiano, non dentro un Padrino parte 2000”.
Saviano sottolinea anche come le regole del narcotraffico siano state foggiate in Italia: “la pianta della coca ha le foglie in Sud America ma ha le radici in Italia”, dice. E queste regole sono durissime; esiste il sequestro di persona: finché non hai pagato la tua dose non ti verrà riconsegnata quella persona a te cara che ti è stata presa in ostaggio come pegno. La cocaina è ciò che immette una circolazione incredibile di denaro, continua l'autore di “zero zero zero”: se si confronta con una delle più grandi aziende internazionali come la “Apple”, vediamo che 1000 euro investiti in quest'ultima produrrebbero l'anno successivo circa 1600 euro, mentre se nello stesso anno li si investisse nella coca ne tornerebbero addirittura 182.000 dopo un solo anno.
La cocaina gira intorno a tutto, pervade e inquina tutta la nostra economia, crea una circolazione di denaro che penetra in tutto il tessuto economico, e lo trasforma: si insidia dietro la raccolta rifiuti, nelle aziende, nelle fabbriche, nella grande ristorazione, nella finanza...); se un'azienda entra in crisi ecco che subentra la cocaina a dar mano. E l'azienda ne esce più forte.
La forza della conoscenza di queste storie sta nella possibilità di non subirle, anche solo tentando di capire come questo meccanismo funziona, anche solo innescando un dubbio di fronte ad esempio ad aziende che si gonfiano fagocitando denaro da chissà dove e quindi producendo ricchezza ma non sviluppo. Si fa poi amara e un po' tinta di rabbia la voce di Saviano quando denuncia il fatto che purtroppo nel mondo politico questo tema non sia all'ordine del giorno, non sia fonte di dibattito e che non vengano spese troppe parole o proposizioni per frenare questo cancro che attanaglia il paese e lo consuma, lo uccide dall'interno, dal suo stesso intestino. Non si tratta perciò solo di indignazione morale, ma è più di questo.
La più grande economia italiana è quella criminale e a dirlo è lo Stato italiano stesso. E il narcotraffico è la più grande azienda del pianeta. È la linfa dell'economia. Due economisti dell'università di Bogotà hanno dimostrato che il 90% del narcotraffico rientra nelle più grandi banche europee (Berlino, Andorra, Roma..). Tutto questo meccanismo è visibile e invisibile al tempo stesso e per renderlo meno trasparente dobbiamo comprendere come tutto sia connesso, come esso non sia qualcosa che sta al di fuori, in una dimensione altra, che concerne individui loschi che si ammazzano tra di loro e in cui noi, brave persone che non ci “facciamo”, non abbiamo né giochiamo alcun ruolo.
In una fase in cui tutto sembra sfuggirci di mano, in cui tutto sembra rovinare, bisogna dare tempo e valore a ciò che ci accade sotto gli occhi e cominciare a re-agire, per non porsi come pedine passive e anemiche, come parte indistinta di una folla che subisce supinamente e distrattamente, serrata dentro la propria ovattata e cieca realtà. Essere parte di storie, conoscerle, comunicarle, significa esistere, capire la propria dignità di essere umani.
Il prezzo del coraggio di qualcuno lo paga spesso qualcun altro, dice amaramente Saviano. E lui lo sa bene, dato che il prezzo del suo atto di estremo coraggio lo paga anche la sua famiglia. Se le scelte, anche le più giuste, hanno sempre del sangue da versare, delle lacrime che appartengono anche a dei terzi e allora quella giustizia si annacqua un po', si oscura un po' forse? A mio parere non è così, e forse nemmeno per Saviano, che per chiudere, cita le bellissime parole di una poetessa bulgara, Blaga Dimitrova, che recitano così: (non ho) nessuna paura che mi calpestino. Calpestata, l'erba diventa un sentiero.” E noi possiamo essere fieri, che uomini che hanno avuto la forza straordinaria di fare scelte pericolose ma “buone” (nel senso in cui lo intende Grossman), anche se calpestati, anche se sradicati dalle loro vite, dai loro affetti, dalla loro serena tranquillità, dal conforto e dalla pace della loro esistenza, abbiano creato un percorso, un sentiero. Di cui tutti ormai facciamo parte, pronti, chi più e chi meno, a seguire simili orme.
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