Sabato, 03 Novembre 2018 00:00

Claire Foy raddoppia la sfida

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È meglio come novella Lisbeth Salander o come consorte del "First Man" (on the moon) Neil Armstrong?

Attrice emergente di nazionalità inglese classe 1984, Claire Foy è diventata famosa per l'interpretazione della regina Elisabetta II nella serie Netflix "The Crown". Recentemente ha lavorato per Soderbergh in "Unsane". Questa settimana esce al cinema con due film molto diversi, in cui dimostra tutta la sua bravura. Nel nuovo film di Damien Chazelle, "Il primo uomo", è la moglie di Neil Armstrong. Ovvero colui che nel 1969 mise piede per primo sulla Luna. Candidatura all'Oscar in arrivo? Vedremo. Nel secondo interpreta Lisbeth Salander, l'eroina dei romanzi di Stieg Larsson e poi di David Lagercratz, nel reboot della saga di Millennium. Dopo le versioni di Noomi Rapace e Rooney Mara, il confronto diventa inevitabile. In attesa di sapere la Vostra opinione, ecco le due recensioni. Buona lettura!


In tanti considerano Damien Chazelle uno dei migliori registi contemporanei. Sono d'accordo solo a metà. Se consideriamo il folgorante esordio di "Whiplash" lo sono, ma se consideriamo invece "La la land" assolutamente no (infatti all'ultimo momento perfino gli americani si sono vergognati e l'Oscar per il miglior film non gliel'hanno dato). Buona parte della critica è caduta in un sonno ipnotico giudicando "La la land" un capolavoro, ma sicuramente è un'opera assolutamente sopravvalutata. Questa volta, bisogna dirlo, Chazelle si è preso più rischi. La prima sfida è stata quella di girare in pellicola 35 mm (grazie alla meravigliosa fotografia di Linus Sandgren). Ma involontariamente se fai un film sull'uomo e lo spazio, devi confrontarti con Kubrick (2001 Odissea nello spazio), Nolan (Interstellar), Howard (Apollo 13), Cuaron (Gravity), Ridley Scott (The Martian). E c'è il rischio di rimanere ustionati.

Se poi a questo ci aggiungi elementi di cinema umanistico alla Malick (The tree of life) e Villeneuve (Arrival), ecco che la sfida diventa quasi impossibile. Fortunatamente Chazelle cambia schema dopo "La la land". "Il primo uomo" è un film dove al centro non c'è la spettacolarizzazione dello spazio, ma l'essere umano, i suoi dubbi, le sofferenze, i tormenti, i suoi errori. "Dobbiamo fallire quaggiù per non fallire lassù" è il motto che andrebbe bene per il film. Sembra rivelarci il pink floydiano "dark side of the moon". La struttura è quella di un film umanistico ambientato in cielo. Da una parte c'è chi come il protagonista usa la propria missione come riscatto, dall'altra ci sono gli americani che vogliono andare sulla Luna per aumentare la sfida contro i Russi per far vedere che sono la prima potenza mondiale. Infatti, fateci caso, è un film razzista e paraculo se vogliamo: esistono solo i bianchi per queste sfide. Afroamericani o altre etnie (negli Stati Uniti ne esistono tantissime) non vengono mostrati. E poi chi arriva sulla Luna oltre a essere bianco è quello che non protesta mai, quello che non crea problemi. Secondo parametro assai importante.

Eppure il film negli Stati Uniti non è andato benissimo. Pare che agli americani non sia andata giù l'omissione della celebre immagine della bandiera a stelle e strisce che colonizzava anche la Luna. Personalmente invece mi sembra una scelta molto intelligente perchè il cinema deve anche sorprendere, spiazzare lo spettatore e non dare alla gente quello che vuole. Altrimenti il pubblico si disaffeziona come con i film italiani contemporanei. Al centro della storia c'è l'Armstrong uomo, con le sue debolezze, non è un documentario della tv americana. Neil (il solito Ryan Gosling con due espressioni) è un uomo serio, di poche parole e di sostanza, ma soprattutto è solo e alienato. Come lo è l'essere umano di oggi. Il duro lavoro, l'abnegazione, la serietà secondo lui, alla lunga, pagano. L'hanno demolito in tanti l'american dream, ma ogni tanto a Hollywood ce lo propinano. Trump è l'emblema della fine di questo sogno che, al risveglio, è diventato incubo. La sceneggiatura classica da scuola liberal americana di Josh Singer (The post, Il caso Spotlight) è costruita come un'escalation, con tutte le difficoltà del caso. Il problema è che sull'opera di Chazelle si sente il fiato sul collo della Universal per la stagione degli Oscar (produce la Dremworks di Steven Spielberg). Non a caso Alberto Barbera ha scelto la pellicola per aprire il 75° Festival di Venezia. Il film è troppo classico e non ha la follia che spingeva Melies, Kubrick o il Malick di "The tree of life" (da cui prende spunto a livello umanistico). La sceneggiatura è ben documentata, ma è convenzionale e prevedibile. Il film dura 2 ore e 18 minuti, il ritmo non è elevatissimo, poco pathos (tranne inizio e fine), figuriamoci l'humour. Qualche "sforbiciata" al montaggio era sicuramente necessaria per creare il senso dell'accelerazione.

Armstrong conduce una vita ritirata con la famiglia e la morte della figlia gli ha fatto cercare il riscatto nella missione spaziale. Raggiungere l'obbiettivo però non sarà semplice. Incidenti tecnici, lutti vari tra atterraggi di emergenza e decollo, la guerra in Vietnam, le lotte sessantottine, contrasti familiari, i figli che crescono, la vita del povero Neil diventa un piccolo inferno. Sotto sotto il film narra le difficoltà di diventare adulti, di vincere la sfida della vita. Tanto che Ryan Gosling si perde e rimane quasi anonimo (oltre che scarsamente somigliante al vero Armstrong), a dispetto invece di una Claire Foy molto brava, con tanto di mascella in tirare e occhi da pazza. Senza dimenticare l'uso della voce e la postura del corpo. Ci fa respirare il rischio che Neil possa non ritornare a casa vivo. Azzardo una candidatura all'Oscar per miglior attrice non protagonista. Sì perché il film affonda le sue radici in un'America dell'epoca molto maschilista, dove la donna sta in secondo piano ad aspettare che il marito torni da lavoro.

Sono la moglie e la figlia morta di Armstrong i veri motori del film. Il personaggio della Foy cambia le sensazioni a seconda dell'evoluzione degli eventi, ragiona di testa, di pancia a tratti, non maschera l'ansia. Cosa che invece non fa assolutamente il First Man di Ryan Gosling che è (quasi) sempre uguale. Il resto dei personaggi di contorno sono mal caratterizzati, come in un qualsiasi biopic medio del cinema americano. Lo sbarco sulla Luna avviene solo alla fine, come è intuibile. L'evento del 20 luglio 1969 è stato un evento planetario e, se vogliamo, cinematografico. Tutto è come sembra e come deve essere, manca la sorpresa, la miccia pronta ad esplodere che poi è quella che ti fa amare il cinema fin da bambino. Gravity e Interstellar sono diversi, ma sono arrivati prima e questo film tende a ripetere nozioni già viste che richiamano soprattutto ai retorici "Uomini Veri" o "Apollo 13".

Anche se Chazelle fa una cosa interessante: fa vedere che non tutti gli uomini realizzano i loro sogni. Questa cosa non è molto americana. L'ingegnere e aviatore Neil Armstrong invece è uno di quelli che silenziosamente ce l'ha fatta, sacrificando tutto in nome di quel viaggio nello spazio. Tuttavia a 50 anni dall'evento (li compirà il prossimo 21 luglio), quest'impresa ha ancora risvolti misteriosi. Non c'è ancora una risposta chiara sui fatti. Infatti una delle versioni più note al mondo è la "Moon Hoax" (la teoria del complotto lunare) che sosterebbe che le prove dell'allunaggio siano state falsificate dalla NASA e dal Governo Americano ai tempi della Guerra Fredda per dare "fumo negli occhi" agli ignari cittadini americani e soprattutto ai rivali sovietici. Come cantavano i R.E.M. in Man on the moon, "stiamo perdendo colpi, se hai creduto che hanno portato un uomo sulla Luna".

Regia *** Fotografia **** Interpretazioni *** Sceneggiatura ***
Montaggio ***
Fonti principali: Cinematografo.it, Comingsoon.it, Cinematographe.it, Repubblica.it , Ciak, FilmTv


2005. Usciva in tutto il mondo il primo libro della serie "Millennium". Si chiamava Uomini che odiano le donne. Lo scrittore era il giornalista svedese Stieg Larsson. Uno dei miei thriller nordici preferiti in assoluto (insieme a "L'uomo di neve" di Jo Nesbo) perché trattava temi importanti senza dare tregua al lettore. L'opera era una ricercata documentazione del neo-nazismo e della misoginia. Perché i due temi vanno piuttosto a braccetto. Oltre al protagonista Mikael Blomkvist e ai temi etici, l'attrazione principale era sicuramente l'eroina hacker Lisbeth Salander.

Il grande successo del primo libro spalancò le porte del successo a Larsson, che però morì nel 2004 prima di raggiungere il meritato riconoscimento dei suoi lavori. Chi gioiva era sicuramente la casa editrice svedese Norstedts. Nel giro di pochi anni arrivarono i sequel: La ragazza che giocava con il fuoco (2006) e La regina dei castelli di carta (2007). Risultato? Complessivamente 27 milioni di libri venduti in oltre 40 Paesi nel mondo! Poi dal 2015 lo scrittore e giornalista svedese David Lagercrantz proseguì la trilogia di Larsson e fece due libri: Quello che non uccide e, l'anno successivo, L'uomo che inseguiva la sua ombra. Il cinema non rimase fermo: la televisione svedese SVT acquistò i diritti dei libri e nacque così la trilogia di Larsson diretta dal regista Oplev. Noomi Rapace fu scelta per il difficile ruolo di Lisberh Salander. La trilogia non era male, ma non ebbe successo. Anche a Hollywood non rimasero fermi. La Sony volle fare una versione americana del primo film. A dirigere fu scelto il maestro David Fincher. Daniel "007" Craig fu scelto per il ruolo di Blomkvist e Rooney Mara per quello di Lisbeth Salander. A cavallo tra il 2011 e il 2012 uscì questa trasposizione e, nonostante fosse imperfetta rispetto al libro di partenza, attualmente è la migliore sulla piazza.

Rooney Mara diventò una star e sfiorò l'Oscar, Daniel Craig di lì a poco si consacrò con "Skyfall", David Fincher aggiunse un altro tassello nella sua filmografia di tutto rispetto. Oltre 2 ore e mezzo di grande cinema. Il film ebbe grande successo e aveva un finale straordinario che mostrava i punti di forza e le debolezze del personaggio di Lisbeth, grazie a una Rooney Mara magnetica che lentamente si trasformava in una Salander femminile, vulnerabile e desiderabile. Ho sperato a lungo che questo team artistico fosse mantenuto dalla Sony per realizzare anche i sequel. Purtroppo però i soldi vengono prima di tutto il resto.
La Sony ha raccontato diverse bugie. La qualità paga, ma non sempre fa guadagnare milioni di dollari. Sì perché pagare attori come Mara e Craig, oltre al regista Fincher, era troppo. Così hanno preso un'attrice emergente (Claire Foy), hanno reso anonimo Blomkvist e hanno affidato la regia all'emergente Fede Alvarez, reduce dal remake de "La casa" di Sam Raimi e da "Man in the dark". Tutto ciò, purtroppo, si vede.

La Sony ha voluto "brandizzare" il tutto. Il risultato non è un film d'autore elettrizzante, ma una saga d'azione stile Bourne, Mission Impossible o 007 con echi del Cavaliere Oscuro di Nolan. Infatti probabilmente ci sarà un sequel (quasi sicuramente sarà l'adattamento de "L'uomo che inseguiva la sua ombra"). La differenza tra quest'opera e le saghe sopra citate è il sesso della protagonista: qui è una donna ed è Lisbeth Salander. Una scelta contemporanea per il cinema, ma poco comprensibile visto il successo del film di David Fincher dove il collante era il rapporto tra Blomkivst e Lisbeth. Lo spirito dei libri di Larsson non è tradito, ma la scelta fatta va in un'altra direzione: trattare le opere di Lagercrantz in una maniera diversa. Fede Alvarez purtroppo è stato scelto per semplificare perché la gente non va in sala se le cose le fai un po' più complicate. Dispiace dirlo ma questo film non è sempre efficace: la sceneggiatura e la regia fanno il "compitino" e lasciano la patata bollente al carisma di Claire Foy e alla fotografia buia di Pedro Luque. Anche se tutto sa di già visto. Manca la follia, la scintilla del cinema di Fincher, scene cult come quella di sesso tra Craig e Rooney Mara (ricordatevi che Lisbeth Salander è bisessuale).

"Quello che non uccide" è tecnicamente un reboot dal budget ridimensionato, costruito come un prodotto di massa. L'ambientazione è la Svezia, che nella realtà è stata ricreata nei teatri di posa di Berlino (per il 90%), ma il prodotto è molto americano. Il film parte con un flashback fulmineo e ci spiega come mai la protagonista è la paladina delle donne odiate dagli uomini. Lisbeth Salander (Claire Foy) gioca a scacchi con la sorella. In attesa che il padre le chiami e abusi di loro. Un ragno presente sotto la pedina del re viene liberato. Scacco matto. "Quello che non uccide, non è detto che fortifichi". Il passato diventa la prigione del presente e, di conseguenza, del futuro. Questo simbolismo si ripercuoterà per tutto il film, senza grandi complimenti e veli. Un giorno però Lisbeth, stanca della situazione, riesce a fuggire (in maniera non particolarmente realista), lasciando da sola la bionda sorella Camilla (Sylvia Hoeks di Blade Runner 2049 e La migliore offerta). Il film poi ritorna ai giorni nostri.

Lisbeth è invecchiata, è stata de-erotizzata, ha un po' di borse sotto gli occhi. Sembra un'americana (scelta veramente penosa visto che siamo in Svezia), parla poco, è una hacker-macchina da guerra che protegge le donne dai maschi violenti e li fa pagare per i loro peccati. Questa nuova Salander ha perso il suo sex appeal, non è più sensuale. Rispetto a Rooney Mara pare più bambina e ha cambiato nettamente la sua fragilità, agendo più di pancia che di testa. Sembra una Batman femminista, guida Ducati e Lamborghini e ha anche qualche aggeggio hi tech che usa per i maschi molestatori che, a loro volta, odiano le donne. Come l'uomo pipistrello, anche lei ha un "doppio": se in Batman il lato folle del suo carattere è rappresentato da Joker, qui lo è ovviamente una persona a lei molto vicina che ha dato per dispersa o per morta (non vi sto rovinando nessuna sorpresa, basta guardare il trailer per capirlo). Ben presto però la situazione diventa pericolosa. Lisbeth aiuta lo scienziato informatico Balder a recuperare un programma che arma il mondo a forza di click. Il figlio di Balder, però, è l'unico che ha la chiave d'accesso per trovare il bandolo della matassa, dopo la morte del padre. Infatti ben presto arriverà un grosso pericolo: la misteriosa organizzazione degli Spiders che vuole mettere le mani sul programma. Ad aiutare Lisbeth nella missione c'è un anonimo Mikail Blomkvist (Sverrir Gudnason di "Borg Vs McEnroe" che fa decisamente rimpiangere Daniel Craig). Forse era meglio se lo toglievano dal film. Questo personaggio manca totalmente e il suo rapporto con Erika (Vicky Krieps de "Il filo nascosto") è appena accennato. Il passato, definito come un buco nero (se ti avvicini troppo ti risucchia e scompari)”, torna a bussare alla porta di Bat-Lisbeth e porta dietro diversi fantasmi.

Il film di Alvarez è ben ritmato, ma : ci sono alcuni buchi, cose che sanno di già visto (saghe di Bourne e 007) e soprattutto qualche scena poco credibile (il salto della moto nella distesa ghiacciata, la scena della vasca). È un discreto film d'azione con un ottimo montaggio e dei tempi molto sostenuti. Ancora una volta nei film di Alvarez tornano a essere protagonisti i luoghi chiusi, come ne "La casa" o in "Man in the dark". Il cambiamento più profondo operato in questo reboot Sony è l'immagine della protagonista: è meno giovane, più mascolina, più paladina femminista da movimento #Metoo e un esibito dominio tecnologico (come nella vita reale) che purtroppo soffoca ha qualcosa che non funziona nella sceneggiatura la trama e alcuni personaggi comprimari. Anche i piercing sono diminuiti, il look della protagonista è cambiato. Purtroppo la Foy qui ha una faccia "troppo pulita" per la parte: infatti in le hanno impiastricciato la faccia di bianco stile mascherina di carnevale. La bravura dell'attrice tiene a galla la pellicola, anche se alcune scene sono poco reali. La morale, oltre a dirci che sottovalutare il passato può essere pericoloso, è che non sempre bisogna fidarsi delle donne specie di quelle belle. Spesso sanno essere peggio degli uomini (notare il contrasto apparenza/realtà tra Lisbeth e Camilla) e può capitare di non sapere più chi siano gli uni o le altre.
Il film di Alvarez momentaneamente è promosso (ci sarà un sequel?), ma il grido di "Aridatece Fincher!", possibilmente con Daniel Craig e Rooney Mara, mi sembra d'obbligo.

Regia ***1/2 Fotografia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Sceneggiatura ***
Montaggio ***1/2
Fonti principali: Cinematografo.it, Comingsoon.it, Film Tv, Mymovies.it, Badtaste.it


FIRST MAN - IL PRIMO UOMO ***
(USA 2018)
Genere: Drammatico/ Biografico
Titolo originale: First Man
Regia: Damien CHAZELLE
Cast: Ryan GOSLING, Claire FOY, Kyle CHANDLER, Jason CLARKE
Fotografia: Linus SANDGREN
Sceneggiatura: Josh SINGER
Durata: 2h e 18 minuti
Produzione: Universal, Dreamworks
Distribuzione italiana: Universal Pictures
Uscita: 31 Ottobre 2018
Trailer https://www.youtube.com/watch?v=4V2hHNKwmoo
FILM D'APERTURA DEL 75° FESTIVAL DI VENEZIA
TRATTO DAL LIBRO DI JAMES R. HANSEN - "First Man: The Life of Neil A. Armstrong"
LA FRASE CULT: Dobbiamo fallire quaggiù, per non fallire lassù!

 

 

 

 

QUELLO CHE NON UCCIDE ***1/2
(USA 2018)
Titolo originale: The Girl in the spider's web
Genere: Thriller
Regia: Fede ALVAREZ
Cast: Claire FOY, Vicky KRIEPS, Sylvia HOEKS, Sverrir GUDNASON
Fotografia: Pedro LUQUE
Sceneggiatura: Steven KNIGHT, Fede ALVAREZ, Jay BASU
Durata: 1h e 57 minuti
Produzione: Sony Pictures
Distribuzione italiana: Warner Bros
Uscita: 31 Ottobre 2018
PRESENTATO ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2018
TRATTO DAL LIBRO "QUELLO CHE NON UCCIDE" di David LAGERCRANTZ
Trailer https://www.youtube.com/watch?v=5I6imTdr8Wc
LA FRASE CULT: Tu sei l'amministratore delegato che ha pestato due prostitute ma che ieri è stato assolto?


Immagine liberamente tratta da www.bestmovie.it
Ultima modifica il Venerdì, 02 Novembre 2018 17:28
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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