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Intervista a Giovanni Mazzetti, il cui ultimo libro è uscito da poco: Dare di più ai Padri per far avere di più ai figli, di cui consigliamo la lettura e su cui contiamo di tornare nelle prossime settimane.
1) A inizio Luglio sei intervenuto per la seconda volta in due settimane nel dibattito avviato su “Sbilanciamoci”, con l’articolo “La torre di Babele della sinistra”, nel quale, eri evidentemente mosso dallo sconforto per l’andamento del dibattito, ma anche fiducioso sulle sue potenzialità; ad oltre due mesi e dopo un'altra decina di contributi che bilancio trai dal tuo “appello”?
Sono convinto che la situazione attuale sia senza speranza. Appena le argomentazioni causano la suscettibilità di qualcuno degli interlocutori tutto finisce su un binario morto. La maggior parte dei compagni ha paura del disorientamento che viene causato dal confrontarsi con argomentazioni critiche che non si riescono ad afferrare immediatamente e chiude i canali di comunicazione. Se tu sostieni apertamente, come ho fatto, che la rivendicazione del “reddito di cittadinanza” – non dell’indennità di disoccupazione che la storia ha dimostrato essere un sacrosanto espediente di fronte all’incapacità di creare il lavoro necessario – rappresenta una forma di parassitismo, scoppia lo scandalo. È indicativo che né il manifesto, né Sbilanciamoci abbiano voluto pubblicare un mio articolo nel quale cercavo di dimostrare che, invece di una cultura alternativa, la sinistra radicale sta producendo una mediocre poltiglia consolatoria. Come ricordava Danilo Dolci citando un vecchio proverbio siciliano “chi gioca solo non perde mai”. Purtroppo però il gioco che c’è nella società va avanti senza di lui,
2) Come continueresti il confronto, presupponendo la chiave che proponevi nell’articolo: L’idea che – i propri progetti - debbono legarsi con il progetto, l’attività, i mattoni e la calce degli altri?
Il problema è che la calce degli altri deve essere disponibile, e cioè deve entrare nel processo di “costruzione” del sapere alternativo. Se gli altri si ritraggono impauriti e non mettono a disposizione la loro calce, cioè non si scontrano con te argomentando in maniera critica, tu resti senza materiale. Se tu ricostruisci il processo di formazione di Marx, dagli scritti giovanili per la Reihnische Zeitung, alla Sacra Famiglia, alla Miseria della filosofia, perfino al Manifesto, troverai ovunque che egli ha svolto un percorso di differenziazione che procedeva proprio perché quelli dai quali dissentiva non avevano timore a manifestare la loro posizione. Per fortuna qualche studioso capace di un’interazione c’è. Marino Badiale, ad esempio, ha fatto una lunga critica alle mie posizioni contro la decrescita che non mi trovano d’accordo, ma che nel tono e nel contenuto sono dirette a generare un confronto. Tutto l’opposto di quello che i sostenitori del “reddito di cittadinanza” hanno fatto fin dalla mia radicale critica del 1997 in Quel pane da spartire.
3) La critica che sviluppi nell’articolo alle posizioni di Bevilacqua e Bascetta, cosa lascia di propositivo nelle loro posizioni che può “legarsi” con le altre che elenchi con precisione ad inizio articolo?
Alcuni sostenitori del “reddito di cittadinanza” partono da un argomento che, formulato in maniera analitica, è condivisibile. Non tutti usano espressioni adeguate, tant’è vero che in molti usano pedissequamente l’argomento rifkiniano de “la file del lavoro”. Ma qualcuno è un po’ meno grossolano e sostiene che è diventato difficile riprodurre il rapporto di lavoro salariato. Lo stesso Bevilacqua muoveva timidamente in questa direzione, anche se poi non ne faceva la struttura portante del discorso. Il perché, a mio avviso, è presto detto: nessuno o quasi nessuno a sinistra vuole non sentirsi “libero”. Cioè accetta di non attribuire alle proprie posizioni l’attributo di scaturire da un atto di libertà. Ma il problema non è quello di agire sulla base delle nostre determinazioni arbitrarie, quando di affrontare le questioni per come si presentano oggettivamente nella dinamica sociale. Per questo non è una questione di libertà scegliere tra “reddito di cittadinanza” e reddito connesso alla partecipazione al lavoro resa possibile dalle sua redistribuzione tra tutti.
4) A conclusione del tuo “Contro i sacrifici Governo di tecnici o congrega di maldestri stregoni?”, elenchi una serie di punti dove prevalgono i termini: recupero della consapevolezza, approfondimento, elaborazione, che definisci come necessità di un processo di formazione. Quanto bisogno c’è di formazione a sinistra? E in che rapporto sta con la mobilitazione, che a sinistra sempre si invoca?
Quando descrivo la situazione culturale attuale della sinistra – anche di quella radicale – uso l’espressione “analfabeti della socialità”. Con questi termini intendo dire che i militanti non conoscono l’ABC dei rapporti sociali e del modo in cui sono emersi attraverso lo sviluppo storico. Essi condividono l’illusione borghese di essere già degli individui socialmente consapevoli. Per loro gli elementi dinamici propri dell’approccio relazionale sono acquisiti solo in forma talmente rozza da non consentire alcun passo avanti. Come sai per alcuni anni ho fatto parte del Dipartimento Formazione del Partito della Rifondazione Comunista con Bruno Morandi, ma da quel lavoro non è scaturito altro che la casuale influenza su questo o quel militante, perché il partito non sentiva alcun bisogno di un processo di formazione. Con i risultati che tutti possiamo constatare.
5) A primavera hai tenuto un ciclo di quattro seminari di Alta formazione, come sono andati? Emerge da questa esperienza un indicazione utile per una sua riproduzione anche da altre parti?
I seminari sono andati bene nel senso che hanno visto una buona partecipazione. E credo che li ripeterò nei prossimi mesi. Tuttavia per fare un passo avanti ci sarebbe bisogno di una istituzionalizzazione della cosa, nella quale il processo di costruzione di un sapere alternativo non viene lasciato al personale coinvolgimento dei militanti che vi partecipano.
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L'amnistia è un provvedimento generale ed astratto con cui lo Stato rinuncia all'applicazione della pena per determinati reati. È propria se interviene prima della condanna definitiva, e ha un'efficacia estintiva completa. È impropria se interviene dopo la condanna definitiva, e fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie, ma non gli altri effetti penali (dichiarazione di recidiva, abitualità, professionalità nel reato, esclusione della sospensione condizionale ecc.)
(Mantovani, Diritto Penale – Parte Generale, Parte IV, Capitolo III, 857).
Uno Stato ricorre all'amnistia quando decide che non c'è più necessità o volontà di punire alcuni reati, e si tratta di situazioni politiche o storiche eccezionali. I casi tipici di amnistia sono la caduta di un regime dittatoriale, una rivoluzione, la fine di un grande conflitto o di una guerra civile (emblematico il caso italiano del 1947), e così via.
Tra i disastri dell'economia italiana ce n'è uno, vera e propria bomba ventennale a orologeria, che continua a devastare il nostro sistema industriale: è quello delle privatizzazioni effettuate a quattro soldi a beneficio di una finanza e di imprenditori rampanti dai governi Ciampi e Prodi. Tra i suoi effetti oggi c'è la svendita quasi gratis a imprenditori esteri di siderurgia (ILVA, ecc.), Telecom, Alitalia, Ansaldo.
Il progetto appena lanciato da Barbara Imbergamo, ricercatrice di Sociolab (www.sociolab.it) ha fortissimi legami con il discorso della Presidente Boldrini di qualche giorno fa (vedi il video). Il tema dell'inclusione di genere è uno dei punti forti del progetto Cuntala_equal opportunities games.
La domanda con la quale Mercedes Frias ha aperto l'incontro con Bill Fletcher organizzato dall'associazione Prendiamo la parola lo scorso 21 settembre al Circolo Le Torri a Firenze non poteva fornire un migliore spunto: è possibile pensare, nell'Italia di oggi, ad un'alleanza a sinistra che riesca a costituire il filo conduttore per la creazione di un fronte trasversale in difesa (ed organizzazione, aggiungo) tra gli esclusi?
L'Italia è uscita da poco dalla “procedura d'inflazione” per “deficit eccessivo” (superiore al 3%) in cambio dell'impegno di tenere il deficit sotto a questa percentuale. Tuttavia quest'impegno equivale a non avere i mezzi finanziari per politiche economiche e di bilancio che favoriscano la ripresa, e con essa l'occupazione, inoltre per fare fronte alle urgenze a livello di cassa integrazione, di diritto degli esodati ad andare in pensione, di denari che debbono andare ai comuni e alle imprese creditrici dello stato, di abolizione di un po' di quelle tasse che gravano sui redditi bassi e sull'attività produttiva, ecc.
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