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Novità sul fronte delle pressioni verso la Corea del Nord: è giunta, infatti, martedì scorso la decisione del Presidente USA Donald Trump di inserire nuovamente il Paese nella lista degli Stati sponsor del terrorismo. La scelta ha ricevuto il plauso di Giappone e Repubblica di Corea.
La RPDC era stata inserita in questa lista nel 1987 dopo l'abbattimento di un aereo della Korean Air (115 morti) e rimossa, nell'ambito di un tentativo di dialogo nel 2008.
Proprio per affrontare la minaccia nordcoreana il Ministero della Difesa di Tokyo starebbe pensando di sviluppare una propria versione del missile Tomahawk. Il dicastero guidato da Onodera ha infatti chiesto 7,7 miliardi di yen per l'anno fiscale 2018 al fine di sviluppare nuovi missili antinave.
Consenso, relazionalità e libertà: una questione sociale
La prima difesa di uno dei carabinieri accusati di aver violentato due studentesse a Firenze, all’inizio dello scorso settembre, consisté nel rivendicare la natura consenziente del rapporto intercorso.
Seguirono, sulla stampa, definizioni del consenso sessuale precise e dettagliate al limite del maniacale, tanto da apparire beffarde, se non addirittura crudeli, in un regno che è quello della violenza. Al mondo della violenza, a ciò che si situa anteriormente alla formazione delle società e dei codici, appartiene non soltanto lo stupro bensì, tout court, l’attività sessuale.
Settimana iniziata con due importanti fatti internazionali. Il primo è rappresentato dalle ultime esercitazioni nippo-statunitensi (le prime che hanno coinvolto tre portaerei) svoltesi dall'11 al 14 novembre nelle acque del Mar del Giappone con la partecipazione di ben tre navi del Sol Levante. I cacciatorpedinieri Inazuma, Ise e Makinami hanno infatti preso parte alle manovre guidate dalle portaerei Ronald Reagan, Theodore Roosevelt e Nimitz della Marina militare degli Stati Uniti.
Le esercitazioni sono state “un esempio di come si possa lavorare insieme” ha affermato Shinzo Abe lo scorso giovedì al termine di colloqui con l'ammiraglio Harry Harris, Comandante della Flotta del Pacifico degli Stati Uniti.
Indipendensa! – il referendum e la presunta identità Veneta (parte 2)
Leggi qui la prima parte
Cattolicesimo, Federalismo e Conservatorismo
Per comprendere la “questione veneta” è fondamentale guardare all’intreccio tra la storia e la struttura economica e politica del territorio. Come noto, il Veneto è conservatore e localista, sempre sospettoso del governo centrale; infatti fin dagli albori del Regno d’Italia si sono riscontrati movimenti anti-statisti. Sembra che già da prima della nascita dello Stato italiano, ai tempi della tanto rimpianta Serenissima, vi fosse una diffidenza tra l'entroterra della repubblica e il governo Centrale, situato a Venezia. Questa diffidenza si è poi trasformata al momento dell’annessione all’Italia, spostando il nemico verso Roma. Non appare casuale quindi, che sia proprio l’entroterra Veneto, tra le campagne delle province di Treviso, Vicenza e Padova, il territorio in cui gli autonomisti hanno sempre riscontrato un maggior numero di consensi.
Con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, il Clero inizia a essere il protettore degli interessi locali. In questo modo la gestione del potere e dell’ordine del territorio (soprattutto nelle campagne Venete più lontane dalle istituzioni) inizia a basarsi sull’influenza della chiesa e della famiglia. Quest’importanza dell’elemento familistico e spirituale riesce a perpetuarsi anche durante il ventennio fascista nonostante le sue politiche patriottiche. Alla nascita della Repubblica italiana, nonostante i compromessi tra il regime fascista e la Chiesa, quest’ultima rimane il vero collante sociale tra i cittadini e le istituzioni, e non perde il suo ruolo di riferimento nel territorio euganeo. Questa concezione è perseguita nel corso degli anni, tanto da far diventare il Veneto una roccaforte della Democrazia Cristiana. Nonostante la DC proteggesse gli interessi locali, riusciva a garantire un controllo politico e istituzionale della regione a livello nazionale. A fianco della DC erano però presenti molte voci critiche, che richiedevano un maggior distacco da Roma.
L’idea che il Veneto dovesse aspirare a una maggiore autonomia, o addirittura che non fosse Italia, si ritrova nei discorsi politici già dagli anni ’20, quando iniziavano a circolare le prime idee indipendentiste tra i partiti politici e i giornali, sia a destra che la sinistra. Con il fascismo queste sono forzatamente messe a tacere, per poi rinascere verso gli anni ’70, dopo il boom economico, quando i movimenti autonomisti e indipendentisti iniziano a istituzionalizzarsi. Questo periodo coincide con il cosiddetto “miracolo del Nord-Est”, quando, grazie al passaggio da uno sviluppo basato sull’agricoltura ad uno sviluppo industriale basato sulle piccole-medie industrie, questo territorio riesce a sollevarsi dalla povertà e dalla depressione. Il Veneto diviene l’emblema di quella che viene definita “Terza Italia”, che contrappone l’Italia dei distretti industriali al triangolo industriale (Milano-Genova-Torino, la prima Italia) al Sud Italia (con un economia di industrializzazione assistita). Da questo periodo è incominciata la fioritura di diversi distretti industriali ad alto potenziale, caratterizzati da un capitale sociale estremamente forte, improntati su una subcultura bianca (di area cattolica) che permetteva stretti rapporti tra le imprese, il territorio e la comunità.
La Terza Italia (che comprende oltre al Nord-Est, anche Toscana, Emilia Romagna e Marche), divenne un modello di sviluppo a cui guardava tutto il mondo, e viene considerato uno degli esempi più eclatanti di passaggio da un sistema fordista a uno postfordista. Grazie a questa struttura economica, in poche generazioni il Nord-Est ha visto la sua popolazione trasformarsi da contadina - afflitta da carestie e dalla piaga della pellagra, costretta a cercare fortuna in Brasile, Svizzera, Argentina e addirittura in Romania - a piccolo borghese, trascinatrice dell’economia, locomotiva d’Italia. La maggior parte dei protagonisti di questa rinascita erano contadini, proprietari di piccoli pezzi di terra, che hanno iniziato a creare micro imprese, in genere a carattere familiare e artigianale, che a stento raggiungevano i 10 dipendenti. Nasce così il mito del Veneto gran lavoratore, che con le proprie forze è riuscito a rinascere dalle proprie ceneri e ottenere ricchezza e benessere. Un benessere che per molti veniva “minacciato” dallo stato centrale, e in particolar modo dai fondi utilizzati per risanare il mezzogiorno. Negli anni '70 e '80 è stata infatti l'improvvisa ricchezza che ha portato la classe media a diventare protagonista di rivendicazioni di tipo indipendentistico soprattutto per motivi fiscali (per mantenere la ricchezza dove la si è prodotta). Iniziano così a formarsi dei veri e propri partiti autonomisti, tra cui la Liga Veneta, nel 1979.
Con l’ingrandirsi della Liga Veneta e il processo di secolarizzazione della chiesa, inizia a nascere una nuova concezione della politica locale più laica della DC, che riesce a catalizzare meglio il malcontento popolare, unendo le questioni dell'autonomia a quelle del federalismo fiscale. Alla fine degli anni '80 la Liga Veneta formerà la Lega Nord, e con l’inizio della seconda repubblica il Veneto diventa una roccaforte del Carroccio. La Chiesa non ha comunque mai perso del tutto la sua influenza nella regione, e in molti comuni si è ritrovata ad essere il principale rivale della Lega. Essa continua tutt’oggi a interessarsi delle vicende politiche locali, basti pensare che alcuni giornali cattolici hanno invitato i fedeli a votare sì per quest’ultimo referendum, un consiglio che sembra aver poco a che fare con le questioni spirituali.
Nell'ultimo decennio, a ridare forza agli indipendentismi ci ha pensato la Crisi Economica: le piccole imprese, che sono rimaste le protagoniste dell'economia Veneta, sono passate da un periodo di benessere a uno di depressione. In questo modo si è iniziato a diffondere un malcontento generale, in quanto il ceto medio si è ritrovato a sprofondare verso il basso da una posizione privilegiata, duramente conquistata, che sino a poco tempo fa risultava tra le più eminenti nel panorama industriale europeo. Inizia quindi a diffondersi una visione distorta di questa situazione: le persone devono subire la crisi economica causata dalle grandi banche estere, dall'Euro ed altri fattori, una crisi che viene dall'esterno e che si contrappone al precedente miracolo economico che viene visto come un successo interno, il risultato degli instancabili lavoratori veneti, che da povera realtà contadina sono diventati il motore economico d’Europa. Questa concezione ignora però che lo sviluppo dell’Italia del dopoguerra è stato influenzato soprattutto da “fattori esterni” alla regione, in primis i fondi del piano Marshall.
Che la questione della struttura economica sia strettamente legata al sentimento autonomista è evidente anche dai risultati del referendum in Lombardia. Dai dati si evince come tra i territori Lombardi che hanno partecipato più attivamente al referendum dell’autonomia sono quelli di Bergamo e Brescia. Queste province sono anch’esse caratterizzate da una struttura economica simile a quella del Nord-Est, fatta di distretti Industriali diffusi. Invece a Milano, vera locomotiva d’Italia e centro della grande industria italiana, il malessere per una fiscalizzazione troppo alta è meno presente, e ciò si è tradotto in una bassissima affluenza alle urne. Un altro fattore di malcontento derivante dalla situazione politica ed economica è il differente status del Veneto con le realtà circostanti: le altre due Venezie storiche sono infatti state dichiarate per ragioni differenti “a Statuto Speciale”, e godono quindi di maggiori privilegi. La questione delle regioni a Statuto Speciale è delicata e a mio avviso in parte anacronistica: attualmente sono venute a mancare alcune delle ragioni storiche che motivavano la scelta di considerare i territori del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia meritevoli questi privilegi.
Il Trentino Alto Adige, composto dalle province autonome di Bolzano e Trento, è diventato a statuto speciale nel 1946, dopo i trattati di pace del dopoguerra, in risposta alle richieste di autonomia e alle proteste della popolazione di lingua tedesca. Lo Statuto in questo caso è stato utilizzato come garanzia di tutela per la popolazione di lingua tedesca, compensando così i danni del ventennio fascista, che aveva attuato politiche di italianizzazione forzata. Il Friuli Venezia Giulia è invece stata l’ultima regione a divenire a statuto Speciale, nel 1963, non tanto per la presenza di una minoranza Slovena all’interno del territorio, quanto per l’importanza strategica e politica della regione, che si trovava in una zona di confine tra la Jugoslavia di Tito e il blocco occidentale.
Questo ultimo punto, “l’invidia” dello Statuto Speciale, è uno dei fattori principali che ha portato la gente a votare al Referendum. Lo stesso Zaia, forte del risultato della consultazione, ha dichiarato di voler trattare con lo stato proprio l’ottenimento di un Veneto a Statuto Speciale.
Identità, politica e cultura
Quella Veneta è un’identità che non si fonda su una reale cultura condivisa, ma rappresenta una narrazione, spesso enfatizzata per motivi politici. Esistono effettivamente somiglianze culturali nei territori delle Venezie, tradizioni, usi e costumi tipici della regione storica, che accomunano la popolazione di questi luoghi. Ma regioni con tradizioni comuni sono presenti anche nel restante territorio italiano: perché non esiste un forte sentimento indipendentista anche in Piemonte, nelle Marche o in Basilicata? Nel caso del Veneto ogni localismo è stato gonfiato, enfatizzato e portato all’estremo. Si elogia un presunto “popolo Veneto”, che sembra più unito dalla tendenza al conservatorismo e dall’ostentata difesa del proprio territorio e dei propri interessi più che da una tradizione degna di essere perpetuata e conservata. Nella costruzione di una “venecità autentica” sono infatti in gioco interessi storici ed economici, che però hanno ben poco da spartire con il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Ma d’altronde l’utilizzo dell’identità come mezzo politico è uno dei capisaldi di moltissimi movimenti, partiti e rivendicazioni a partire dagli anni ’60 fino ad oggi. In questo caso però non si tratta di una rivendicazione di un’identità subalterna negata o di una cultura di minoranza, ma di un’invenzione identitaria, costituita su miti ben precisi, e tesa al mantenimento dei propri privilegi e il proprio status quo.
L’identità Veneta viene così gonfiata, creando un tradizionalismo enfatizzato, che tende a imputare a cause esterne i problemi e i mali che ci circondano. Eppure la Mafia del Brenta, il fallimento della banca di Vicenza e Veneto Banca, il Mose i Pfas nell’acqua …. Sono tutti “disastri nostrani”, Veneti DOC.
Il dramma della questione migratoria in seguito agli accordi con la Libia
Quello che è successo la scorsa settimana nella parte del Mediterraneo che divide Libia e Italia è qualcosa che non solo fa rabbrividire da un punto di vista umano, ma aggiunge anche nuove complicazioni alla già difficile e mai risolta questione del traffico di migranti e delle politiche migratorie ad essa collegate. Proviamo a ricostruire brevemente la vicenda, anche se poco chiara poiché si contrappongono versioni differenti. Era il 7 novembre quando un fatiscente gommone, a trenta miglia dalle coste di Tripoli, è stato raggiunto da una parte da una motovedetta della marina tripolitana, dall’altra dalla Sea Watch, una ONG tedesca arrivata sul posto per soccorrere i migranti.
Il Giappone è “un alleato cruciale” per gli Stati Uniti, questa la rassicurazione giunta dal Presidente USA Donald Trump lo scorso 5 novembre in occasione del primo giorno della propria visita nel Sol Levante.
“Il Giappone è un partner prezioso ed un alleato cruciale per gli USA ed oggi lo ringraziamo per il benvenuto e per i decenni di splendida amicizia intercorsi tra le nostre nazioni” ha detto il massimo rappresentante nordamericano dalla base militare di Yakota, prima tappa del viaggio. “L'alleanza Giappone-Stati Uniti è alla base della pace e della prosperità nella regione dell'Asia del Pacifico così come all'interno della comunità internazionale” gli ha fatto eco il premier nipponico il giorno seguente.
Riguardo alla delicata questione nordcoreana Trump ha parlato di “venticinquenne anni di debolezza” e della “necessità di un nuovo approccio”. “Insieme ai nostri alleati, i nostri soldati sono pronti a difendere la nazione usando tutta la gamma delle nostre possibilità. Nessuno, non un dittatore od un regime od una nazione, deve sottovalutarci” ha sostenuto Trump arringando i propri militari.
Confermato, con termini e modalità mai così chiari, il fatto che il Giappone acquisterà armamenti dagli USA (“così come dovrebbe fare” secondo un poco diplomatico Trump) ed in particolare i caccia F-35A.
Consueta la difesa della propria politica da parte della Cina, nuovamente sollecitata dal premier Abe, nel corso della conferenza congiunta con l'omologo statunitense, a giocare “un maggior ruolo” nella vicenda nordcoreana. “Rimaniamo impegnati a promuovere la realizzazione della denuclearizzazione della Penisola coreana mantenendone la pace e la stabilità e facilitando la soluzione pacifica della questione coreana attraverso mezzi politici e diplomatici. Continueremo a farlo in futuro in quanto questo è il ruolo che compete alla Cina: un Paese responsabile, membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed un vicino della Penisola coreana. Speriamo che le altre parti interessate possano agire come la Cina e giochino veramente un ruolo responsabile compiendo sforzi costruttivi” è stata la risposta della Portavoce degli Esteri di Pechino Hua durante la conferenza stampa del 6 novembre.
Se comune è la linea (con diverse sfumature legate più che altro al momento) USA-Giappone sulla Corea del Nord il gelo è invece calato al summit di lunedì quando si è affrontato il tema del commercio internazionale. “Sono impegno ad ottenere una relazione commerciale che sia equa e libera” ha detto il Presidente USA alla conferenza congiunta aggiungendo che “cercheremo un equo accesso alle esportazioni americane in Giappone al fine di eliminare il nostro cronico deficit commerciale” in quanto il Giappone “ha vinto” nei rapporti commerciali bilaterali degli ultimi decenni. All'incontro con le maggiori aziende nipponiche Trump si è comunque retoricamente detto “ottimista circa la nostra futura partnership economica”.
Mentre il viaggio di Donald Trump è proseguito in Corea del Sud (per colloqui con l'omologo Moon Jae-in nonché per nuove dichiarazioni di forza circa la capacità militare statunitense) e poi in Cina (dove ha incontrato, senza che si siano prodotte grosse novità se non sul fronte di alcuni accordi commerciali, il Presidente Xi) il Sol Levante ha programmato nuove, ulteriori, sanzioni unilaterali verso la RPDC. Annunciato, infatti, dal Segretario Generale del Gabinetto Yoshihide Suga il congelamento degli asset di nove società e 26 persone fisiche. Le organizzazioni sono banche nordcoreane, alcune con sede in Cina, mentre gli individui colpiti dalla sanzione sono residenti in Cina, Russia e Libia.
Se il commercio con gli USA sembra marciare in una direzione che convenga soltanto ai nordamericani diverso è stato l'orientamento emerso dal summit ministeriale APEC di Da Nang (Vietnam) dello scorso otto novembre, conclusosi con una inaspettata dichiarazione congiunta. Ai lavori, preparatori rispetto ai colloqui intercorsi tra i capi di governo del 10 novembre, hanno partecipato per il Giappone il ministro dell'Economia, Industria e Commercio Hiroshige Seko ed il ministro degli Esteri Taro Kono.
“Grande allarme per la crescita del protezionismo” è stato espresso nel comunicato del Consiglio dell'organismo internazionale che ha inviato i ministri responsabili a “proseguire i loro sforzi per combatterlo in tutte le sue forme” sottolineando come “la natura dell'odierno protezionismo sia diversa dal passato. Mentre i dazi sono stati progressivamente abbassati stiamo oggi assistendo ad una crescita di ostacoli non tariffari che distorcono il commercio, diminuiscono la competizione e fanno crescere i prezzi per i consumatori”. “Incoraggiamo le diverse economie a compiere maggiori sforzi per avanzare in direzione della Dichiarazione di Lima sulla FTAAP (Free Trade Area of the Asia-Pacific) ed a sviluppare un programma di lavoro pluriennale per accrescere ulteriormente le capacità delle economie APEC per una discussione di qualità e globale su un accordo di libero commercio” si legge ancora nella dichiarazione riferendosi in questo passaggio ad un più ampio accordo (parallelo al TPP) che dovrà essere raggiunto tra le economie dell'area Asia-Pacifico.
Isolati gli USA il cui Presidente, presente al vertice del 10-11 novembre, con una excusatio non petita ha affermato che il proprio Paese “cerca amicizia e non ha sogni di dominio” e che gli Stati Uniti “faranno la loro parte” partecipando ai progetti infrastrutturali che interessano l'Asia meridionale.
“Oggi sono qui per offrire una rinnovata partnership con l'America e per lavorare insieme al fine di rafforzare i legami di amicizia e commercio tra tutte le nazioni dell'area promuovendo la nostra prosperità e sicurezza. Nell'ambito di questa partnership cerchiamo solidi rapporti commerciali incardinati sui principi di equità e reciprocità. Quando gli Stati Uniti, da ora in poi, prenderanno parte ad un rapporto commerciale con altri Paesi o altri popoli ci aspetteremo che i nostri partner seguano fedelmente le regole proprio come facciamo noi. Ci aspetteremo che i mercati siano aperti in misura uguale da entrambe le parti e che l'industria privata, non i governi, investa direttamente. Purtroppo, per troppo tempo ed in troppi posti, è accaduto il contrario. Per molti anni, gli Stati Uniti hanno sistematicamente aperto la propria economia fissando poche condizioni. Abbiamo abbassato o eliminato i dazi, ridotto le barriere commerciali e permesso agli stranieri di operare liberamente nel nostro Paese. Quando abbassammo le barriere di accesso al nostro mercato altri Paesi non ci hanno aperto i loro” ha sostenuto Trump nel proprio discorso.
L'incontro tra i capi di governo del 10 è stata anche l'occasione per uno scambio di vedute tra Shinzo Abe ed il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin che si rallegrato per il dialogo politico “diventato più vivo” e per la crescita dei legami economici tra i due Paesi “anche se rimangono delle questioni che necessitano di maggior attenzione” e qui il riferimento, anche se non esplicito, riguarda la vicenda delle Curili meridionali verso le quali il Giappone non ha, per ora, intenzione di abbandonare la propria - del tutto retorica - rivendicazione territoriale.
Riunione per il premier nipponico anche con il Presidente vietnamita Tran Dai Quang al quale sono stati promessi nuovi finanziamenti per progetti di sviluppo (siglati al termine dell'incontro accordi per un valore totale di 5 miliardi di dollari) e con il quale si è nuovamente affrontato il tema della sicurezza della navigazione e la contrarietà alle operazioni condotte dalla Cina nel Mar Cinese Merdionale (area nella quale il Giappone sostiene le rivendicazione territoriali vietnamite in contrapposizione a quelle di Pechino).
Nella Dichiarazione finale del vertice (dal pomposo titolo “Creando un nuovo dinamismo, promuovendo un futuro condiviso”) al netto delle parole di rito circa la crescita sostenibile (in linea con l'Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030) e sulle riforme strutturali (cui sarà dedicato un vertice apposito nel 2018) si è riaffermata la necessità di “rimuovere i sussidi distorcenti il mercato” nonché pratiche discriminatorie che ostacolino mutui vantaggi al fine di giungere alla Free Trade Area of Asia-Pacific (FTAAP).
Un punto specifico del documento è stato dedicato alla necessità di approfondire i legami tra i diversi mercati nel settore alimentare aiutando tanto le economie esportatrici quanto quelle importatrici ad adattarsi alla volabilità dei prezzi nonché a promuovere investimenti nelle infrastrutture rurali e nella logistica dell'agroindustria.
Per una rapida conclusione del trattato di libero commercio per l'area del Pacifico, anche senza gli USA, si è detta la Direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde intervistata dal quotidiano Asahi Shimbun. “Siamo particolarmente incoraggiati dalla leadership del Giappone sulla questione del TPP: segnale dell'impegno del governo giapponese al multilateralismo" ha affermato Lagarde dando pieno appoggio agli sforzi di Tokyo contro il protezionismo.
Proprio a Da Nang i rappresentanti degli 11 Paesi rimasti sottoscrittori del TPP dopo l'uscita dall'accordo degli USA (essi sono Australia, Canada, Messico, Brunei, Cile, Giappone, Malaysia, Nuova Zelanda, Perù, Vietnam e Singapore) hanno convenuto lo scorso giovedì (per poi ribadirlo sabato) di proseguire verso una rapida conclusione che porti alla definizione di un trattato del tutto simile a quello approvato ad Atlanta. L'uscita degli Stati Uniti dopo anni di trattative (trascinatesi tra mille difficoltà dal 2013 al 2015) ha però portato nuove rimostranze da parte di alcuni Paesi. Oltre alla Nuova Zelanda anche il Canada aveva espresso la volontà di ridiscutere l'accordo: “non entreremo in una trattativa che non faccia raggiungere i massimi vantaggi per il Canada ed i canadesi” ha dichiarato il Primo Ministro di Ottawa Justin Trudeau.
Al netto delle nuove prese di posizione proprio a Da Nang i ministri responsabili della materia hanno deciso di proseguire, senza più provare a coinvolgere gli USA, sulla strada di un TPP ad 11.
“Abbiamo raggiunto un importante risultato sull'Accordo Globale e Progressivo del TPP” ha affermato l'undici novembre al termine dell'ultimo, forse decisivo, incontro Tran Tuan Anh, ministro di Industria e Commercio del Vietnam e copresidente della riunione insieme al ministro incaricato delle trattative per il Sol Levante Toshimitsu Motegi.
Sempre in ambito economico cattive notizie per Nissan che dopo lo scandalo sulle ispezioni ai propri manufatti si è vista costretta a tagliare le aspettative annuali di profitto del 6%.
Problemi anche per Kobe Steel che lo scorso venerdì ha fornito alla stampa nuove notizie circa le falsificazioni che hanno riguardato parte della propria produzione degli scorsi anni. “Mi scuso profondamente con i nostri clienti ed azionisti per tutti questi problemi” ha commentato il CEO della società Hiroya Kawasaki.
Di oltre 33 miliardi di dollari sarebbe invece, secondo quanto apparso sulla stampa internazionale, la richiesta avanzata dai creditori del produttore di componentistica per auto Takata. La società, in bancarotta, è stata rilevata da Key Safety Systems, parte del gruppo cinese Ningbo Joyson Electronic, dopo che i numerosi richiami di air bag hanno portato l'azienda nipponica al collasso.
Sul fronte delle servitù militari il 6 novembre sono cominciati i lavori per la costruzione di nuove piattaforme in mare nel sito di Henoko (Nago) destinati alla nuova base militare che avrà sede nella Prefettura di Okinawa sostiuendo quella di Ginowan. Le due nuove propaggini misureranno quando completate 210 e 270 metri.
In politica è stata vinta da Yuichiro Tamaki la corsa alla copresidenza di Kibo no To che vedeva il deputato confrontarsi con il collega Hiroshi Ogushi. A scegliere chi affiancherà la Governatrice di Tokyo Yuriko Koike alla guida dal partito è stata l'assemblea dei 53 parlamentari iscritti. La maggiore distanza tra i due candidati è rappresentata dall'atteggiamento da tenere verso l'eventuale modifica dell'articolo 9 della Costituzione (quello che garantisce il carattere pacifista del Sol Levante) nonché verso le norme belliciste approvate dal PLD nel 2015. Ogushi si è mostrato contrario alle politiche portate avanti dai conservatori mentre Tamaki ha una linea sostanzialmente coincidente con quella della maggioranza.
Per quanto concerne lo scandalo del Kake Educational è arrivata la dura presa di posizione del Partito Costituzionale Democratico dopo che un tavolo consultivo del Ministero dell'Istruzione ha raccomandato l'autorizzazione all'apertura di una Facoltà di Veterinaria a Imabari (Prefettura di Ehime).
L'istituzione scolastica privata aveva ottenuto un primo via libera che diede luogo a lunghe polemiche per il fatto che la stessa è guidata da un amico del premier (Kotaro Kake) ed ha beneficiato delle normative circa le zone economiche speciali approvate proprio dal governo Abe.
“E' inaccettabile che questa decisione sia stata presa senza che la pubblica opinione possa comprendere i fatti. Vogliamo che sia rimessa in discussione” ha affermato lo scorso 10 novembre il Segretario Generale del PCD Tetsuro Fukuyama.
(con informazioni di apec.org; kremlin.ru; whitehouse.gov; fmprc.gov.cn; xinhuanet.com; vietnamnews.vn; asahi.com; japantimes.co.jp; the-japan-news.com)
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