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Mercoledì, 24 Gennaio 2018 00:00

Il mistero dell’influenza

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Il mistero dell’influenza

Tutti siamo passati almeno una volta dall’influenza. Ma cosa nasconde questa particolare malattia virale?

L’influenza la conosciamo tutti: è quello “stato dell’animo” che ci mette KO nella stagione invernale, che porta febbre, raffreddore, disturbi respiratori, dolori articolari e muscolari, affaticamento e che, in casi particolari, può sfociare in situazioni anche molto gravi come polmoniti e altre infezioni.
L’influenza però può essere anche quella malattia, conosciuta con il nome di spagnola, che fece più morti della Grande Guerra esattamente un secolo fa. Dove sta quindi la differenza? Come può la stessa malattia essere una piaga pestilenziale da milioni di morti o un banale malanno di stagione? Per capire a fondo questa malattia dobbiamo andare nello specifico: l’influenza è una malattia virale a base di RNA (acido ribonucleico) che esiste in due forme. La forma A è quella degli uccelli acquatici, quella B degli uomini. La forma A può, mutando, passare anche negli uomini e diventare quindi molto pericolosa. All’interno della forma A della malattia esistono inoltre numerose sottoforme che si distinguono in base alle loro proteine di superficie: l’emoagglutina (H) e la neuraminidasi (N). Negli uccelli esistono 18 forme di emoagglutina e 11 di neuraminidasi che possono combinarsi tra loro in moltissime maniere. Le forme di influenza prendono il nome dalla combinazione di queste proteine (HxNy).

Curdi carne da cannone. Sono i nostri compagni eroici, difendiamoli

Quelle milizie curde e quei loro alleati appartenenti alle varie etnie e religioni della Siria (arabi, siriaci, turcomanni, yazidi, alauiti, ecc.) che hanno per primi sconfitto gli stragisti di Daesh armati e pagati da Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar sono da due giorni sotto attacco, nel loro cantone di Afrin, il più occidentale, da parte dell’aviazione e dell’artiglieria della Turchia. La Turchia inoltre ha dichiarato di voler procedere con l’invasione di terra con suoi carri armati e sue truppe. Inoltre ha dichiarato che suo ulteriore bersaglio è la città di Manbij, liberata a suo tempo dai curdi e da milizie arabe e turcomanne loro alleate e governata da un consiglio democraticamente eletto dalla sua popolazione. Nel frattempo sono già in movimento verso Afrin le milizie delle cosiddette Forze Democratiche Siriane, ostili al governo siriano e alla Russia, composte da tagliagole provenienti dal riciclaggio turco dei vari gruppi islamisti radicali in campo in questi anni, da Daesh ad al-Qaeda ad altri minori. Ad essi viene affidato il compito di rompere la tenuta delle milizie curde e di massacrare la popolazione curda.

La Turchia rivendica la sua azione a nome di un suo diritto a difendersi da minacce lungo le sue frontiere: minacce che non sono mai esistite. In realtà la Turchia occupa un tratto di territorio siriano, spezzando così la continuità del territorio in mano curda. In questo tratto c’è la città di Jarabulus, l’antica Hyerapolis: nella quale ha immediatamente operato a cacciare i curdi, ha portato turchi e turcomanni a essa legati, ha imposto l’insegnamento del turco nelle scuole, la legislazione turca, ecc. Attraverso quest’occupazione le truppe turche risultano collegate al complesso delle formazioni islamiste radicali che occupano l’area della città di Idlib, forniscono a queste sistematicamente armi e mezzi di sostentamento, possono trasportarne i feriti in Turchia ecc. Più in generale, la Turchia guarda alla conquista di Aleppo: la cui realizzabilità dipende dal fatto che la situazione siriana anziché evolvere verso la fine delle sue molteplici guerre ne veda il rilancio massimo possibile. Giova rammentare come il governo turco abbia recentemente dichiarato il ripudio di quel Trattato di Losanna (1923) che ne definì gli attuali confini e come essa ora rivendichi aree in mano greca (alcune isole dell’Egeo, la Tracia greca), in mano siriana (l’area di Aleppo), in mano irachena (l’area di Mosul), nella quale anzi ha recentemente spostato truppe in quattro località.

La Russia dopo l’abbattimento da parte turca di un suo aereo militare aveva collocato suoi soldati nel cantone di Afrin e precisamente sul suo confine turco, ciò che significava l’impossibilità per la Turchia di invaderlo, quindi solo la possibilità (continuamente effettuata) di bombardarlo, soprattutto con l’artiglieria. Appena iniziati i recenti bombardamenti aerei la Russia ha ritirato le sue truppe. Il rapporto con la Turchia, l’intenzione di non riconsegnarla agli Stati Uniti sono evidentemente le cose che per la Russia contano, non già i diritti di una popolazione che ha combattuto anche per conto della stessa Russia. Quanto agli Stati Uniti, una settimana fa avevano formalmente dichiarato ai responsabili curdi di non sentirsi impegnati contro un eventuale attacco turco al cantone di Afrin. Evidentemente la logica statunitense risulta simmetrica a quella russa. La Russia ha dichiarato di considerare gli Stati Uniti responsabili di un disagio della Turchia dinnanzi all’armamento pesante da essi consegnato alle milizie curde, e che ha consentito a queste ultime, ripulita la Siria orientale da Daesh, di costruire un’entità fortemente autonoma nella Siria orientale. Ma la Russia non aveva dichiarato di sentirsi impegnata dalla prospettiva di una Siria confederale, dove ogni etnia o religione fosse in grado di esercitare i suoi diritti, cosa questa che in Medio Oriente necessariamente significa essere armati?

Gli Stati Uniti a loro volta hanno ieri chiesto a Turchia e a milizie curde di “fermarsi” e di “trattare” guardando solo al residuo di lotta a Daesh e compagnia. Sarà dura, dopo aver concesso alla Turchia di avviare l’attacco al cantone di Afrin.
Il Regno Unito ha dichiarato ieri di condividere pienamente l’azione di una Turchia minacciata sui suoi confini da un’entità aggressiva. Evidentemente è in ballo una trattativa commerciale tra Regno Unito e Turchia, oppure è in ballo qualche grossa fornitura d’armi. Come dice il proverbio, pecunia non olet. Giova solo rammentare come il traffico di armi sia il secondo grande business planetario, quindi un fattore di guerra addirittura indipendente dalla politica.

Il silenzio dal lato dell’Unione Europea è semplicemente assordante. La RAI ne parla per circa cinque secondi, in attesa di ordini di governo. Insomma l’attuale canagliaio mondiale grande e piccolo ha mostrato per l’ennesima volta di essere, non la soluzione del disastro mediorientale, ma uno dei suoi fondamentali attori. Agiamo come ci è possibile a difesa dei nostri compagni curdi, sono un faro di civiltà e di umanità in un pianeta che sta sprofondando. Se verranno soppressi il pianeta intero ci andrà di mezzo: tutti stanno riarmando, tutto sta marciando verso l’allargamento e la sinergia tra i conflitti in atto, e le armi usate, continuando così, saranno anche quelle atomiche. Già gli Stati Uniti lo dichiarano.

Le famiglie composte da una sola persona saranno il 39,3% del totale nel 2040: ad affermarlo una ricerca, resa nota il 12 gennaio, dell'Istituto Nazionale di Ricerca su Popolazione e Sicurezza Sociale. A determinare questa crescita l'aumento del numero dei divorzi e di quanti si sposano in età avanzata. Nel 2015 le famiglie composte da una sola persona erano il 34,5% del totale (18.420.000 persone in termini assoluti).
Sempre secondo l'istituto a quella data le famiglie nelle quali la principale fonte di reddito sarà un ultrasessantacinquenne si attesteranno al 44,2% del totale (erano il 36% nel 2015). Le famiglie composte da una coppia con figli (al 2015 il 26,9%) scenderanno al 23,3%.

Anche le assicurazioni affrontano l'invecchiamento della popolazione: Meiji Yasuda Life Insurance ha infatti anunnciato una assicurazione sanitaria la cui iscrizione è consentita a persone fino a 90 anni d'età (in precedenza il limite era di 80). Neo First Life Insurance e Medicare Life Insurance hanno invece portato la soglia ad 85 anni.

Sabato, 20 Gennaio 2018 00:00

I fatti insegnano

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Nella serata di venerdì 12 gennaio scorso l’assemblea lombarda degli aderenti a Libere/i e Uguali ha votato quasi all’unanimità (notabene) in quel di Cinisello Balsamo una partecipazione alle elezioni regionali separata dal PD. Molto opportunamente nei giorni precedenti erano venute meno le pressioni dal lato nazionale orientate invece all’accordo, ovviamente sulla base di una convergenza dei programmi. Tra i motivi dell’unanimità c’è stato anche, palesemente, il fastidio di compagne e compagni per il modo di queste pressioni, avendo esse sistematicamente evitato un confronto aperto a Milano o altrove in Lombardia tra figure nazionali e l’assemblea degli iscritti lombardi, o i loro delegati, benché continuamente da essi sollecitato. Non è vero quel che scrive il quotidiano del PD renziano e liberal-liberista la Repubblica, che dal lato nazionale non siano state assunte rivolte critiche e sollecitazioni ai lombardi, dato il loro evidente rifiuto dell’alleanza con Gori: tutt’altro. Accenno a tutto questo non per motivi polemici, oggi non solo inutili ma suscettibili di immettere code sgradevoli nel terreno più che necessario del riconsolidamento di reciproci rapporti di fiducia: ma perché è necessaria una discussione su cosa debba validamente comportare il ruolo dirigente. Nessuno, che io sappia, in Lombardia intende contestare quello attuale: anzi richiede che esso sia effettivamente dirigente, nei modi di esercizio di tale ruolo, inoltre perché allargato a quadri locali, a giovani, a donne, a figure di lavoratori dipendenti, ecc. È chiaro che tra i difetti che abbiamo vissuto c’è che il gruppo dirigente è tuttora, sostanzialmente, maschile e costituito da parlamentari.

Giovedì, 18 Gennaio 2018 00:00

Elezioni in vista. Ma con quale legge elettorale?

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Come tutti sanno la legislatura appena dichiarata conclusa era viziata alla base da poca cosa, solamente un vizio di incostituzionalità determinato da una legge elettorale (il Porcellum e l’Italicum, sua rettifica piddina). Che volete che sia? La legge elettorale infondo è solamente quello strumento di importanza vitale per la democrazia che fa discendere i parlamentari dai voti affidati dagli elettori. È altresì quello strumento che collega rappresentanti e rappresentati, paese legale e paese reale. Una quisquilia da poco se si pensa al mantra della “governabilità” imposto dai mercati. Siamo quindi immersi nel refrain de “l’importante è avere governi stabili”, perché l’instabilità attira le iene dello spread. Insomma, poco importa che coloro che occuperanno il parlamento per cinque lunghi anni siano o meno rappresentanti fedeli del cittadino che diligentemente si è recato a votare, ciò che importa è che riescano a trovare un accordo per formare un governo dalla durata in carica più lunga possibile.

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