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Il vertice del Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 7 marzo avrebbe dovuto sciogliere il nodo dell'emergenza migranti che l'Europa sta vivendo. Nei fatti, come prevedibile, si è optato per l'ennesima toppa che può arginare il problema, senza però prendere in considerazione né le cause né le conseguenze di queste decisioni.
Il vertice, svoltosi alla presenza dei 28 capi di stato e di governo dei paesi membri e del Primo Ministro turco Davutoğlu, è stato concluso con l'annuncio che l'afflusso attraverso la cosiddetta rotta balcanica (Siria, Anatolia, Grecia) sarà chiusa ma per i dettagli il Consiglio si è aggiornato al 17 marzo. La necessità di un nuovo incontro è dovuta alle nuove richieste messe sul tavolo dalla Turchia: altri 3 miliardi di euro (in aggiunta ai 3 già concordati) per gestire l'emergenza umanitaria, l'eliminazione dell'obbligo di VISA per i cittadini turchi per entrare nei paesi UE già da aprile (invece che in autunno), il rilancio della trattativa per l'ingresso del paese nell'Unione Europea ed infine un accordo che preveda la regolarizzazione su suolo europeo di un rifugiato presente in Turchia per ogni rifugiato riaccolto dal paese dalla Grecia.
Sempre più forte il problema del calo demografico nel Sol Levante. Gli ultimi dati, recentemente diffusi, del censimento della popolazione, realizzato lo scorso anno, mostrano come, tra il 2010 ed il 2015, il Giappone abbia perso poco più di 947.000 persone.
Al primo ottobre 2015, la popolazione risulta, quindi, composta da 127.110.047 persone: di questi 61.829.237 uomini e 65.280.810 donne. Le famiglie hanno raggiunto la cifra record di 53.403.226, ma con un record anche nella media dei componenti che è di appena 2,38 per nucleo.
Secondo le Nazioni Unite, il Giappone potrebbe ritrovarsi, qualora proseguisse l'attuale andamento, ad avere 83 milioni di cittadini nel 2100, con circa il 35% di essi ultrasessantacinquenni. Per contrastare il fenomeno, il governo Abe ha creato un apposito ministero, a capo del quale è stato messo Katsunobu Kato.
Altro fenomeno demografico degno di nota, è la sempre maggiore concentrazione degli abitanti nelle grandi aree urbane (il 28,4% si concentra a Tokyo e, complessivamente, il 53,9% nelle nove maggiori aree urbane).
Il calo demografico più importante, -5,7%, ha riguardato la Prefettura di Fukushima, colpita dal devastante terremoto e tsunami del marzo 2011. Cali importanti hanno riguardato anche Iwate (-0,6%) e Miyagi (-3,8%), anch'esse colpite dal disastro naturale.
Sul piano ambientale, il Giappone, si appresta a testare un sito per la cattura e stoccaggio di gas CO2, nell'isola di Hokkaido, nonostante il sito scelto sia a rischio sismico.
Le iniezioni di anidride carbonica, in stagni salini profondi, dovrebbero iniziare ad aprile. Aziende nipponiche, come la Mitsubishi Heavy Industries, sono già state impegnate in progetti simili all'estero.
Critica l'organizzazione ambientalista Kiko Network: "non ci sono garanzie che l'anidride carbonica possa essere immagazzinata in maniera stabile in Giappone, Paese ricco di terremoti ed eruzioni vulcaniche", ha affermato la ricercatrice Kimiko Hirita.
Secondo uno degli ingegneri responsabili del progetto, Tetsuo Kasukawa: "l'anidride carbonica sarà iniettata in maniera tale da non avere impatti geologici".
Un altro progetto test si era tenuto nella Prefettura di Niigata (per un totale di 10.400 tonnellate di anidride carbonica). Ad Hokkaido, a partire da aprile, saranno stoccate, annualmente, tra le 100.000 e le 200.000 tonnellate, in due depositi separati (rispettivamente ad uno e tre chilometri di profondità).
Tre ex dirigenti TEPCO (l'ex presidente della compagnia Tsunehisa Katsumata e i due ex vicepresidenti Sakae Muto e Ichiro Takekuro), sono stati, intanto, indagati, per negligenza professionale causante morti e feriti, presso la Corte Distrettuale di Tokyo, in relazione alla loro condotta circa la centrale di Fukushima. L'accusa, più precisamente, riguarda la mancata previsione di misure di protezione dell'impianto, in caso di tsunami con onde maggiori di 10 metri e conseguente distacco della corrente elettrica.
Una causa simile era stata rigettata dall'Ufficio della Pubblica Accusa di Tokyo, nel 2013. A motivare il rigetto, all'epoca, vi era la scarsa prevedibilità di tali eventi naturali.
Una manifestazione contro la cooperazione nucleare nippo-indiana si è, intanto, tenuta, lo scorso 25 febbraio, a Tokyo. La discussione sulla collaborazione, tra i due giganti asiatici, in un settore così delicato (l'India non ha sottoscritto il Trattato di Non Proliferazione) è partita nel dicembre dello scorso anno, durante la visita che il premier Abe ha tenuto nel Subcontinente.
Sul fronte lavoro, lo scorso 24 febbraio, il sindacato Zenroren, ha pubblicato una ricerca sulle condizioni delle lavoratrici. Tale ricerca è condotta dall'organizzazione sindacale, ogni cinque anni, a partire dal 1992.
I dati resi noti da Zenroren mostrano come il 14,1% delle lavoratrici a tempo pieno ed indeterminato ed il 47,5% delle precarie, non effettuano straordinario. Entrambe le percentuali sono in calo rispetto al 2011. In leggero aumento (al 21,9%) la percentuale di lavoratrici che hanno subito molestie.
Tra le lavoratrici a tempo pieno, il 52,7% (ed oltre il 60% nel settore pubblico) hanno lamentato una quantità di personale insufficiente ai compiti assegnati, sul proprio posto di lavoro. Come risultato di tali carenze, il 35,1% delle rispondenti, ha sottolineato di non aver potuto prendere più di due settimane di congedo per la cura dei figli e della famiglia.
Il 14,9% del totale delle lavoratrici ha dichiarato di aver vissuto comportamenti discriminatori concernenti la gravidanza ed il primo periodo di cura dei figli. Tra le lavoratrici precarie che hanno denunciato tali molestie, il 51,5% ha lamentato di aver ricevuto attacchi verbali ed il 34,8% di essere stata costretta a lasciare il lavoro od a cambiarlo. Oltre il 60% delle lavoratrici intervistate ha manifestato la necessità di introdurre un congedo legato alla responsabilità di cura della famiglia e di estendere quelli previsti per la cura dei figli malati.
“La nostra indagine mostra il tasso di sfinimento di molte lavoratrici. Lavoreremo con forza per creare posti di lavoro nei quali uomini e donne possano operare senza affrontare ansia e stress” ha dichiarato, durante una conferenza stampa presso il Ministero del Lavoro, Yuri Nagao, responsabile della sezione femminile di Zenroren.
Il 26 febbraio, invece, il periodico comunista Akahata, ha pubblicato dati riguardanti i redditi dei lavoratori liberi professionisti. Sulla base della Ricerca sulla Struttura dei Salari del Ministero del Lavoro, Akahata ha calcolato i redditi probabili di tale categoria di lavoratori sull'intera vita lavorativa (45 anni di lavoro a partire da 20 di età). Secondo il calcolo, la media di introiti di un lavoratore freelance (o comunque non contrattualizzato come dipendente) sarebbe inferiore del 45% rispetto ad un lavoratore dipendente a tempo pieno ed indeterminato (127,49 milioni di yen dei primi, durante la vita lavorativa, contro i 232,29 milioni dei secondi).
Le differenze maggiori si registrano nelle imprese che impiegano più di mille lavoratori (con un compenso, per i non dipendenti, inferiore alla metà rispetto ai regular workers), mentre nelle imprese con meno di dieci dipendenti la differenza salariale sarebbe “solamente” del 30%.
(con informazioni di Japan Press Weekly 24 febb. - 1 mar. 2016; theguardian.com; the-japan-news.com; japantimes.co.jp; ajw.asahi.com)
Contro un intervento italiano in Libia
"Nei giorni scorsi la stampa libica ha rivelato che una delegazione militare e d’intelligence italiana “di alto livello” ha incontrato il generale Haftar nella base di di al-Marj, città della Cirenaica nota con il nome di Barce ai tempi della colonizzazione italiana. Non si può escludere che l’obiettivo della visita fosse anche quello di definire il rischieramento in quell’area di mezzi, velivoli e truppe italiane.
Circa la tipologia di intervento la Pinotti ha parlato di aiuti che i libici hanno già indicato di preferire: protezione del governo quando si insedierà a Tripoli, formazione e addestramento".
I motivi del no alla riforma costituzionale
Daniele Sterrantino e Chiara Del Corona
Il primo marzo, si è tenuta a Lastra a Signa la prima riunione del Comitato per il No alla riforma Costituzionale, sulla quale i cittadini sono chiamati a esprimersi il prossimo ottobre. Daniele Sterrantino (RFC) e Matteo Gorini (Sinistra Italiana) hanno delucidato in maniera approfondita i punti cruciali della Riforma del Senato e chiarito i perché di un voto contrario a tale riforma adducendo motivazioni che quasi sempre vengono occultate o mascherate dalla propaganda del governo e dalla comunicazione mediatica main stream. Anche la campagna referendaria che partirà per promuovere il voto favorevole alla riforma sarà probabilmente tutta giocata all’insegna di una strumentale retorica efficientista che elogia il fare del governo e farà passare coloro che mettono invece in luce le ragioni per cui essere contrari a tale riforma, come i soliti “gufi” disfattisti che ostacolano ogni tentativo funzionale alla ripartenza del paese.
Se si cerca una lettura per sfrondare tutta la retorica accumulata negli scorsi anni anche a sinistra attorno a concetti importanti ma fumosi e ancora poco chiari quali “globalizzazione”, “finanziarizzazione” e “deindustrializzazione” il saggio di Domenico Moro “Globalizzazione e decadenza industriale. L'Italia tra delocalizzazioni, crisi secolare ed euro”, Imprimatur 2015, euro 16,00 è assolutamente imprescindibile.
Sgomberare e sfruttare. A Calais come qui.
400.000 lavoratori sfruttati nei campi a 2,50 euro l'ora per 12 ore giornaliere, con tanto di pagamento dei costi di trasporto sui luoghi di lavoro e affitto delle baracche, in condizioni abitative, sanitarie e umane al limite della sopravvivenza (clicca qui). La notizia delle condizioni di lavoro di queste persone è arrivata il giorno in cui era programmato lo sgombero di oltre metà del campo di Calais (in foto), ribattezzato "giungla" dal gergo giornalistico che ha dunque già ridotto a subumani i suoi abitanti.
Per quantificare questo esercito di riserva che i capitalisti attraggono e gli Stati accolgono così confortevolmente lasciandolo alla mercé di padroni sempre più vicini allo status di schiavisti potete prendere come unità di misura proprio l'accampamento di Calais. Un campo che è diventato il modello di chi vuole le ruspe sugli abusivi come sfogatoio legalitario-politico e di un'Europa che disegna l'immigrazione come una piaga biblica da cui difendersi, il Belgio stesso d'altra parte ha ripristinato i controlli alla frontiera francese non appena è venuto a conoscenza dell'intenzione di disperdere i migranti accampati.
Questo campo del resto assomiglia ai tanti sparsi per l'Italia e presi di mira dalla destra nazionalista. La retorica, ormai è risaputo nella politica che abbiamo davanti, fa il resto. Ecco quindi che proprio nella Francia dei Je Suis Charlie lo sgombero di un accampamento di migranti diventa nientemeno un'"operazione umanitaria". Ma si sa, i francesi erano umanitari pure nelle loro colonie, non sanno limitarsi ad un intervento singolo, l'estetica dell'atto (reazionario) a loro non piace, son ben più pratici e metodici. Quindi, facendo un rapido riepilogo degli ultimi interventi umanitari sul campo di concentramento di Calais da parte delle forze dell'ordine francesi, si possono contare all'incirca una ventina di operazioni con cadenza quasi settimanale che hanno portato a ridurre il numero della popolazione dagli 8000 di novembre ai 6000 attuali. Ovviamente le immagini degli sgomberi delle tendopoli e delle baracche non sono edificanti per la retorica democratica, quindi raramente vediamo le immagini sui mass media. Tantomeno veniamo a conoscenza delle bastonature.
Tuttavia, negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare di Brexit e nonostante si parlasse quasi solo più della mobilità dei capitali da e verso la city, a quanto pare le persone contavano ancora. Infatti il vero spirito europeista è emerso immediatamente quando il Presidente inglese ha annunciato trionfante l'accordo anti-Brexit con un solidale "abbiamo riconquistato il controllo sulle frontiere, riuscendo a bloccare gli abusi dei lavoratori europei che sfruttano il nostro sistema di welfare". E se gli europei abusano del sistema di tutele britannico, che è noto dai tempi della lady di ferro per essere il meno esteso in Europa, pensate un po' cosa potrebbero fare le orde barbariche accampate a Calais! Ben altri epiteti di ben più antica memoria rispetto a quelli austeritari sarebbero spuntati dalla civilissima dialettica anglo-europea. Poi si è venuto a sapere che in realtà l'obiettivo era la fusione tra quelle che un tempo erano le due più grandi piazze d'affari dopo Wall Street e che oggi devono essere unificate in un'unica grande Borsa europea e l'entusiasmo dell'ideale europeista è svanito e si è tornati agli affari.
Ebbene, tornando invece al problema migranti che nel campo di Calais giustamente sconvolge le ultime coscienze democratiche rimaste in Europa che si preoccupano dell'ultimatum annunciato dal governo francese si scopre che, se si volesse per scrupolo misurare questo esercito di riserva che lavora quotidianamente nell'Italia del post-Expo in fase di ritorno alla pastorizia come unica alternativa programmata alla deindustrializzazione, dovremmo moltiplicare per 66 la popolazione del campo e distribuirla nelle campagne da Nord a Sud e concentrarla in particolare nelle cascine più industrializzate del Made in Italy di qualità. Si scoprirebbe così che l'80% dei lavoratori del settore agorindustriale è composto da manodopera straniera sottoposta a livelli di sfruttamento che l'Occidente benestante aveva dimenticato da oltre un secolo. Lavoratori che sono per lo più intrappolati da un'Europa che non solo ha trasformato i propri confini in barriere naturali contro cui far schiantare popolazioni in fuga, ma che ha iniziato ad erigere barriere materiali sempre più diffuse e numerose al suo interno. Dapprima generosamente offerte agli stati lungo i quali si snodava il flusso migratorio e ora in voga pure in quelli virtuosi come l'Austria.
Ed ecco che, un'altra volta, il destino della Grecia, in procinto di essere circondata dai recinti, sembra diventare sempre più un destino comune al netto delle ultime mosse dell'Austria e della Francia (giusto per non dimenticarci gli involucri umani avvolti nei teli antigelo a Ventimiglia). E questi 400.000 reietti del mondo del lavoro, che neppure la destra osa attaccare più di tanto per le evidenti convenienze, vengono semplicemente dimenticati e lasciati galleggiare o annegare a seconda della forza rimasta ai singoli in un altro mare, fatto questa volta di lavoro, salario e condizioni socio-sanitarie inumane, proprio come a Calais, solo che qui nessun magistrato si sdegna più di tanto e pochi giornalisti vi affluiscono. Vuoi vedere che forse è questa la ragione per cui è meglio evitare le grandi concentrazioni? Oggi abbiamo l'equivalente di 66 campi come quello di Calais, di lavoro questa volta e non di concentramento, dislocati in tutta Italia, ma nessuno li vede. Escono rapporti che presto cadono nel dimenticatoio. Un bel paradosso che tuttavia non fa altro che rappresentare l'economia capitalista in cui la forza-lavoro si vende e si compra liberamente sul mercato, ormai quasi tutto nero. Sarà difficile ottenere maggior flessibilità e produttività di così, ma senz'altro questo limite resta un obiettivo politico da abbattere da parte di chi ci governa, possiamo scommetterci. Si assume esattamente quel paradigma per erodere i diritti rimasti: una maggiore produttività, un minor salario, incrementi di merci vendibili e acquistabili sul mercato. Così esattamente come Cameron individua negli europei in Inghilterra degli indebiti sfruttatori del welfare inglese ridotto all'osso nonostante gli incrementi dei livelli di sfruttamento, oggi possiamo vedere il volto degli indebiti sfruttatori del nostro welfare in qualcun altro, purché non sia identificabile nel padrone ma in un altro il più possibile simile a noi e in quest'ottica rimane ancora molto da erodere: a livello sanitario, abitativo, salariale. Cameron lo sa bene, resta da vedere se quanti festeggiano per gli sgomberi a Calais l'hanno capito.
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