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Due ruote che corrono. Ma verso Oriente. In un contesto in cui un’azienda leader come il gruppo Piaggio appare capace di aggredire i mercati. E di investire – in Italia – anche in ricerca e innovazione. Quando però i vertici del gruppo che comprende Guzzi e Aprilia devono decidere dove produrre, non guardano più al belpaese. Questo pensano i lavoratori impiegati negli stabilimenti italiani di Pontedera, Mandello del Lario (Guzzi), Noale e Scorzè (Aprilia), interpellati con un questionario distribuito dalla Fiom Cgil.
Dalle risposte degli addetti al questionario, rigorosamente anonimo, si sviluppa la fotografia di una grande azienda con la testa ancora a Pontedera, dove tutto è iniziato e dove il settore impiegatizio rappresenta non per caso il 30% dell’organico. Ma le catene produttive scivolano sempre più verso il Vietnam, l’India e la Cina, dove è impegnata la metà dei dipendenti del gruppo. E lo stato delle cose trova un riscontro nella percezione che del lavoro hanno gli addetti in Italia. Non è stata facile la ricerca promossa dalla Fiom, con la distribuzione di migliaia di questionari ai lavoratori del gruppo. Il sindacato ha potuto consegnarlo solo attraverso le portinerie, e non direttamente agli interessati. Che sono tanti: più di 2.000 a Pontedera, 550 all’Aprilia fra Noale e Scorzé, e 90 alla Guzzi a Mandello del Lario. Dai questionari raccolti, compilati e restituiti alla Fiom (circa il 40%), è emersa la preoccupazione dei lavoratori per il futuro. “La Piaggio è un’azienda che non punta sulla produzione italiana – riassumono Massimo Braccini, coordinatore Fiom del gruppo Piaggio, e il nuovo segretario provinciale Marco Comparini – è sana ma è governata con una filosofia per cui si preferisce distribuire dividendi, piuttosto che dare premi di produzione. Agli investimenti in ricerca non corrispondo investimenti industriali. E manca una discussione sul futuro del mercato delle due ruote, e sullo sviluppo per la riduzione dell’inquinamento”.
Dai questionari emerge che le relazioni fra i lavoratori sono buone (77% in media dei tre siti). Ma gli operai sono insoddisfatti della loro condizione (58%). La maggioranza (63%) ritiene basso il proprio stipendio, considera le norme sulla sicurezza rispettate solo in parte (58%), e che il lavoro non sia distribuito equamente (69%). L’insicurezza diventa generalizzata quando si affronta il tema di mantenere in futuro il lavoro: solo il 4% è sicuro di conservarlo, il 48% non ci crede. “Uno degli elementi che più è emerso è la ‘fame’ di formazione – spiegano Braccini e Comparini – i lavoratori non ritengono valorizzata la professionalità, o chiedono di acquisirne di più. Ma l’azienda li ignora”. A Pontedera il 30% degli intervistati segnala di non aver avuto formazione. Quanto poi alla percezione di come l’azienda risponde alla richiesta di formazione, per il 42% è limitata, per il 41% scarsa. La richiesta di corsi svetta invece con l’89%. In definitiva l’azienda non fa formazione, e questo fa paura: ben il 65% degli intervistati teme la perdita del posto. C’è sfiducia. Anche verso i sindacati, giudicati “insoddisfacenti” per il 79% dei lavoratori.
“Questo settore sul quale non si investe – tira la somme Braccini – è quello che fra un anno vedrà la fine degli ammortizzatori sociali tradizionali. Cig e mobilità, già strutturali, saranno sostituite dalla disoccupazione. Con tutto quello che comporta”. “Dobbiamo lavorare per recuperare fiducia e aprire una nuova vertenza – osserva a sua volta Comparini – l’obiettivo è saturare gli impianti e i volumi, perché oggi Piaggio è gestita con tre, quattro mesi l’anno in cui non si produce. Dobbiamo recuperare importanza produttiva. Anche per dare risposte alle aziende dell’indotto, dove la situazione è drammatica”.
La Costituzione trova casa. A Napoli.
Negli ultimi tempi sempre più spesso si è assistito a una totale svendita e “smobilitazione” dei beni pubblici, siano essi edifici o interi territori, a vantaggio di meri e speculativi interessi privati. È la piena applicazione della politica del “fare”, lo stesso modus operandi che sta cancellando (o almeno sta provando) a cancellare la Costituzione dello Stato. In un contesto piuttosto turbe e denso di nubi, la notizia giuntaci pochi giorni fa da Napoli non può far altro che ridare speranza a tutti coloro che negli anni hanno provato, e provano quotidianamente a battersi per i tanto bistrattati interessi collettivi.
Continua la tensione tra Corea del Nord e Giappone dopo l'annuncio da parte nordcoreana dell'intenzione di lanciare un satellite (od un missile a lunga gittata secondo il Sol Levante, gli Stati Uniti e la Corea del Sud).
Una stretta coordinazione internazionale per evitare il lancio è stata invocata dal premier Abe. Il ministro della Difesa Gen Nakatani ha confermato, durante la conferenza stampa del 2 febbraio, che il suo dipartimento e le Forze di Autodifesa stanno raccogliendo ed analizzando informazioni. Il giorno successivo, è stato emanato, un ordine di distruzione di eventuali missili balistici che dovessero entrare in territorio giapponese, mediante missili intercettori PAC-3.
Periodicamente i mezzi di comunicazione, in particolare alcune trasmissioni televisive parecchio seguite, pongono all'attenzione pubblica casi di suicidio di imprenditori o commercianti per sopraggiunte cartelle esattoriali, o comunque di imprenditori, commercianti o artigiani ancora vivi ma in lotta con il fisco.
La narrazione è sempre la stessa: un imprenditore (presentato come buono) vessato dal fisco, da un lato, mentre dall'altro, lo Stato ed Equitalia che, crudeli e senza cuore, lavorano alacremente per farlo fallire, o addirittura ne causano la morte.
Il racconto presentato così è semplice, lineare, sarebbe mostruoso mettervisi contro. Eppure in tutti questi racconti, che sfruttano a piene mani l'avversione di larga parte del mondo piccolo-imprenditoriale alla tassazione (in qualsiasi forma e misura), manca l'indicazione del comportamento alternativo che avrebbe dovuto assumere lo Stato o l'ente riscossore.
di Alessandro Zabban e Elena De Zan
Minimarket a Firenze: quando l’unico cancro da estirpare è la gentrificazione
Sono iniziati i controlli e le prime restrizioni sui minimarket a Firenze. L’obiettivo principale del comune è la “tutela e valorizzazione del paesaggio urbano storico, dell’immagine e dell’identità storico-architettonica" del capoluogo toscano. Ma la “guerra ai minimarket” del Sindaco Dario Nardella non è uno strumento di lotta al degrado, è una battaglia dichiarata contro coloro che difficilmente riescono a trovare lavoro al di fuori delle reti etniche e contro chi non può permettersi di pagare fior di quattrini per una bibita.
Report dell'iniziativa di solidarietà al popolo curdo a Firenze - Cliccando qui il video dall'iniziativa
È di pochi giorni fa la notizia del mancato invito della delegazione curda siriana ai difficili colloqui di pace a Ginevra, iniziati lo scorso 29 Gennaio.
Sebbene la conferenza tenuta nella città elvetica non sembri avere le carte in regola per trovare una soluzione politica per la Siria, questo ennesimo torto fatto nei confronti del popolo curdo, mostra ancora una volta la scarsa volontà della comunità internazionale di riconoscere il ruolo delle milizie e della società civile curda nell'ergersi a baluardo contro l'avanzata del fondamentalismo islamico fra Siria e Iraq.
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