Altri, tempi, non c'è dubbio. Erano gli anni Novanta di Ramon Mantovani che scortò Apo in Italia da Mosca, gli anni Novanta di un movimento pacifista che dove passava lasciava traccia, gli anni Novanta del no secco ad ogni guerra, Jugoslavia in primis. Oggi di tutto ciò sono rimasti tanti ricordi e tanta amarezza per un qualcosa che, da un momento all'altro, è scomparso. Forse è anche per questo che, nonostante il periodo di campagna elettorale che non lascia respirare, che sia per le europee o le comunali, nessuno degli appartenenti alla sinistra fiorentina, che l'iniziativa di giovedì sera è riuscita.
Roberto Mapelli delle Edizioni PuntoRosso e Havin Gusener, attivista di Iniziativa Internazionale che si occupa di diritti del popolo kurdo e residente in Germania, sono riusciti a coinvolgere su una questione diventata, ahinoi, oramai marginale. Nonostante l'evidenza dell'ingiustizia subita da questo popolo, la questione kurda continua ad avere difficoltà nell'imporsi nel dibattito pubblico.
Come ha spiegato Havin, il Kurdistan è stato l'oggetto di diversi tipi di colonialismo e ciò ha fatto sì che, fino alla creazione del movimento indipendentista guidato da Öcalan, anche solo l'aggettivo “kurdo” fosse bandito a livello internazionale. Ed è in questa situazione di totale indifferenza che esplosa la questione kurda, grazie all'intraprendenza e alle capacità analitiche e teoriche del leader del movimento. Abdullah Öcalan, fine mente politica con all'attivo oltre sessanta pubblicazioni (tredici delle quali prodotte durante il periodo in carcere), dagli anni Settanta ha cominciato a riflettere, all'interno del suo partito di ispirazione marxista (PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan), su come conciliare le aspirazioni indipendentiste kurde con la teoria comunista e soprattutto con un processo di democratizzazione degli stati del Medio Oriente, Turchia in particolare. Ed è in questa ottica che negli scritti di Apo troviamo ragionamenti strategici che elaborano la prospettiva della formazione di più entità indipendenti kurde (il Kurdistan è attualmente diviso tra Turchia, Siria, Iran e Iraq) legate tra loro da legami confederali. Öcalan si oppone all'opzione della formazione di uno stato nazionale kurdo forte ella certezza che questo verrebbe strumentalizzate dalle grandi potenze globali. La soluzione confederale, invece, comporterebbe un processo di democratizzazione degli stessi stati nazionali che oggi comprendono le varie porzioni di Kurdistan: partendo dal basso, dalla formazione di consigli politici e di categoria locali, si arriverebbe a formare una struttura del tutto trasparente e democratica.
Nel fare queste affermazioni Öcalan porta ad esempio un caso concreto: la questione femminile, che nell'imporsi a livello di dibattito all'interno del movimento, ha comportato una democratizzazione ed uno sviluppo politico dello stesso movimento. All'inizio la società curda, per quanto non fosse chiusa e patriarcale quanto quella islamica, vedeva ovviamente forti elementi di disparità tra i diritti dei due generi. Attraverso l'elaborazione teorica dell'emancipazione femminile e l'applicazione di queste riflessioni all'interno del movimento hanno portato ad avere l'effettiva eguaglianza di genere, comportando così un miglioramento in senso democratico della società.
Le sfide poste da Abdullah Öcalan costituiscono una sfida vera anche per noi che viviamo tutti i giorni l'Unione Europea. Per quanto la questione kurda possa essere sentita da qualcuno come distante, questa presenta diversi elementi per i quali ciascuno di noi dovrebbe riflettere su quanto in realtà possa essere considerata contingente. In primo luogo, perché l'Europa (l'Italia in particolare) che oggi si pone in difesa dei diritti umani ha avuto un ruolo centrale nella cattura e dell'incarcerazione del leader curdo da parte di uno stato che all'epoca prevedeva ancora la pena capitale. In secondo luogo, perché le riflessioni di Öcalan sulle possibili modalità di conciliare istanza indipendentiste con l'esistenza di strutture statali suggeriscono soluzioni e stimoli alla questione della democratizzazione degli stati, che anche noi che viviamo nelle “democrazie occidentali” non possiamo ignorare dal momento in cui si parla di crisi della rappresentanza nelle sue varie forme. Infine perché è evidente che la dimensione economica ha egemonizzato il processo di integrazione europeo, comportandone così una deriva caratterizzata da austerity e sacrifici, lasciando da una parte il progetto di “Europa dei popolo”. E un'Europa che voglia dirsi rappresentativa di tutti i popoli che la compongono, deve accettare di confrontarsi e prendere le parti delle istanze indipendentiste che da secoli la caratterizzano e che puntualmente vengono represse, dai catalani ai baschi, dagli scozzesi agli irlandesi dell'Uslter.
Leggete, leggiamo, quindi, gli scritti di Öcalan, facendo tesoro delle sue elaborazioni, con la consapevolezza e il brio necessari dal momento che, poco ma sicuro, costituiscono una preziosa fonte di sapere per questa sinistra così scapestrata.