Un focus a tutto campo che ha cercato di fare il punto su una situazione tutt'altro che semplice, che vede la Palestina degli anni 2000 ancora vittima non solo di un'occupazione che muove a passi feroci sotto il vigile piantonamento dei militari israeliani, ma anche di un moralismo solo apparentemente filo-palestinese di alcuni paesi arabi ed una “narrazione dei popoli oppressi” con la quale l'Europa mistifica i suoi interventi militari. Sullo sfondo di tutto ciò, neanche a dirlo, pesa la necessità primaria della pace.
«Quello palestinese è un popolo letteralmente assediato, privato di acqua e, specie nella Striscia di Gaza, di generi di prima necessità – ha commentato ad inizio serata Nicotra. – Un territorio che negli anni ha subito ogni genere di angherie che ne hanno modificato profondamente il volto. Sono stati fatti disboscamenti, sono state strappate terre, sono stati arrestati numerosi operatori internazionali e, nei momenti più tragici del conflitto, sono state utilizzate a più riprese quelle armi di distruzione (fosforo bianco, bombe a grappolo) che i paesi occidentali hanno sempre condannato solo quando si era in cerca di un casus belli contro paesi energeticamente strategici. Armi che lo stesso Stato d'Israele ha utilizzato all'abbisogna».
Del legame profondo che unisce la causa palestinese agli avvenimenti nei paesi arabi vicini ha invece parlato a lungo Marinella Correggia. «I paesi occidentali, ormai ciclicamente, si stracciano le vesti per i diritti umani violati in paesi come la Siria, l'Iran, il Libano e così via, ma per la Palestina vittima di abusi quotidiani da parte di Isreale niente è mai stato detto». Una buona dose di pessimismo, inoltre, è stata espressa in merito al recente riconoscimento formale all'Organizzazione delle Nazioni Unite dello stato palestinese. «Se l'obbiettivo, come si dice, dovrebbe essere quello di dare maggiori garanzie di rivendicazione e concertazione al popolo palestinese, quell'occasione è stata persa molte e molte volte. Paradossalmente, spesso, è stato proprio nei momenti in cui si preparavano nuovi interventi in medio oriente che le diplomazie avanzavano proposte circa nuove conferenze. Nel '91, poco prima della prima guerra irachena, si è parlato per mesi di un incontro internazionale che scongiurasse il conflitto, poi sappiamo com'è andata a finire. Eppure quelle stesse diplomazie hanno veri e propri scatti di zelo quando di mezzo ci sono armi, petrodollari dei paesi arabi e strettissimi rapporti economici con il governo israeliano. O con il Mali, in cui oggi si interviene in tutta fretta, come sempre, rivendicando una solidarietà agli oppressi che non sta in piedi».
Uno scorcio di come la comunità palestinese e islamica fiorentina abbia vissuto gli ultimi eventi occorsi in Medio Oriente, a cominciare dalle “primavere arabe” di Tunisia ed Egitto, ci è stato donato dall'imam Izzedin Elzir. «I membri della comunità locale hanno fin dall'inizio avuto un occhio di riguardo verso quelle che i giornali chiamano “primavere” e noi preferiamo definire come vero e proprio risveglio arabo – ha commentato Elzir. – Ma ci pare altrettanto chiaro quanti i recenti conflitti in Libano e quello paventato in Siria poco abbiano a che fare con le missioni umanitarie. Sono in realtà l'esito catastrofico di strategie che l'occidente ha sempre mosso a suo piacimento attraverso i decenni. L'ex-presidente tunisino che oggi i giornali italiani definiscono un tiranno era regolarmente invitato e premiato nel nostro paese, spesso ospite delle università italiane. I gruppi estremisti la cui esistenza e attività è stata posta a giustificazione della guerra, ieri in Afghanistan come oggi in Mali, sono stati foraggiati per anni dai paesi occidentali quando l'instabilità di quei paesi era considerata cosa buona e giusta. Detto questo non possiamo che rallegrarci dei cambiamenti positivi di alcuni dei paesi toccati dalle rivoluzioni, ma se queste devono imporci una linea da seguire, per ciò che riguarda la Palestina questa è molto chiara: Israele non vuole e non farà mai un passo verso la pace, tocca proprio ai palestinesi e a tutti gli arabi rompere il muro dei media occidentali e far luce sulle vere dinamiche che muovono da decenni armi, guerra e distruzione».
Toccante, infine, l'intervento di Mariano Mingarelli, dell'Associazione Italo-Palestinese. Una lezione esemplare di quali e quanti siano i rapporti economici del nostro paese con Israele, che a dispetto dell'immagine occidentale e democratica che ne viene fatta dai media cova in realtà un integralismo profondo, a cui l'esistenza di un parlamento, la Knesset, troppo spesso funge da mero riparo. «Ciò che non viene mai abbastanza ribadito circa la società israeliana è che da sempre, da quando è nata, essa vive e prolifera sulla guerra – ha spiegato Mingarelli. – La sua economia, la sua ricchezza, i suoi legami sociali, il suo patriottismo sono tutti derivati dalla guerra. Capire questo è fare già un passo in avanti rispetto al senso comune: Israele non è una democrazia, al massimo è un'etno-crazia. Uno stato che si regge economicamente sulla produzione di tecnologia militare e vendita di armi e che intrattiene stretti rapporti con le università. L'abbandono di questi rapporti economici è l'unico vero antidoto allo strapotere e alla prepotenza di uno stato che sempre più, anche nelle sue manifestazioni culturali e sociali quotidiani, specie nelle colonie, mostra chiari segni di integralismo; lo stesso integralismo, ad esempio rispetto ai diritti delle donne, che per i paesi arabi viene fortemente condannato e usato strumentalmente dai nostri media».
Un nuovo, doveroso passo verso una maggiore consapevolezza.
Immagine tratta da azvsas.blogspot.it