Mercoledì, 06 Agosto 2014 00:00

Ombre fondamentaliste in Medio Oriente

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Il mondo occidentale guarda quasi indifferente all’inarrestabile crollo dell’Iraq e del vecchio Medio Oriente che si sgretolano sulla mappa insieme alla Siria di Bashar Assad e alla Libia delle mille e duecento milizie, dove in Cirenaica è stato proclamato l’Emirato di Bengasi”. A scriverlo è Alberto Negri, lucida firma del Sole 24 Ore, il 5 agosto 2014.

L’Italia è un paese centrale per il Mediterraneo e, piaccia o meno, l’importante risultato alle europee ha rafforzato le possibilità per il governo di Renzi di giocare un ruolo di primo piano nello scenario internazionale, a partire da quello europeo. La cosa più probabile però è che la politica italiana risponderà al massimo con le facce contrite dei parlamentari che esprimono preoccupazione per i bambini morti in Palestina o qualche agitata dichiarazione sull’isolamento italiano in Libia.

Progressisti e liberali impegnati nella denuncia di Hamas come unica colpevole dell’attuale situazione a Gaza paiono ignorare completamente l’esistenza di altri paesi in quel Medio Oriente di cui Israele sarebbe l’unica democrazia.

L’Isil (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), disconosciuto anche da al Qāʿida per le proprie posizioni estreme, è un’organizzazione jihadista che guarda anche verso la Palestina ma oggi è principalmente impegnato in Siria e Iraq. In quest’ultimo paese in particolare è riuscito a creare un’alleanza tra i curdi della regione e il governo, sempre più debole, di Baghdad. Il califfo domenica ha conquistato le città (e i giacimenti petroliferi) di Zumar. Si parla di oltre 200mila profughi in fuga, di un’ombra fondamentalista che si allunga imponendo rigide leggi religiose (compresa l’infibulazione) e perseguitando ogni minoranza (da quella sciita ai cristiani, passando per gli yazidi, che alcune fonti denunciano stiano subendo una vera e propria pulizia etnica). A essere passati sotto le bandiere nere sono anche intere aree del Tigri e dell’Eufrate, mentre le dighe sono risorse contese di importanza pari (se non superiore) a quella del petrolio. Ormai il califfato minaccia i confini turchi oltre a quelli dell’Iran, mentre in Libano sabato si sono accesi forti scontri tra un fronte Isili-al Qāʿida (stando a quanto riportato su Avvenire, in un articolo dove si confonde Tripoli come città libanese) e l’esercito di Beirut. In quell'area l’Italia si è vista recentemente riconoscere la guida della missione internazionale militare dei caschi blu. Panorama, nell’intervistare il generale Luciano Portolano (nuovo comandante della Missione Unifi dell’Onu in Libano) ha tirato fuori praticamente solo i rapporti tra Beirut e Israele, senza che mai emergesse la situazione nel resto del Medio Oriente.

Sempre il 5 agosto, il manifesto, riporta i contenuti di nuove rivelazioni di Snowden, secondo le quali l'Isil avrebbe ricevuto armi da Usa e Regno Unito per contrastare Assad, oltre a finanziamenti dei sauditi e del Qatar. Inoltre:

El Bag­dadi [il califfo] è stato in car­cere a Guan­ta­namo tra il 2004 e il 2009. In quel periodo Cia e Mos­sad lo avreb­bero reclu­tato per fon­dare un gruppo capace di attrarre jiha­di­sti di vari paesi in un unico luogo: e tenerli così lon­tani da Israele. Per Sno­w­den, «l’unica solu­zione per pro­teg­gere lo Stato ebraico è quella di creare un nemico alle sue fron­tiere, ma indi­riz­zarlo con­tro gli stati isla­mici che si oppon­gono alla sua pre­senza». Un’operazione segreta detta «nido di calabroni».

In un contesto in cui si stanno muovendo forze pericolose e l’instabilità aumenta progressivamente, preoccupa l’assenza anche solo di una corretta informazione rispetto a quanto accade intorno a Gaza. La miopia con cui importanti settori dell’opinione pubblica progressista e liberale occidentale si stanno occupando della questione palestinese è evidente anche nell’incapacità di preoccuparsi di politica internazionale fuori dalle emergenze. In particolare, anche ricordando quanto scriveva Arrigoni in alcuni suoi articoli, una delle battaglie più urgenti per la sinistra sarebbe quella di un movimento europeo che anche attraverso le istituzioni sappia riportare il vecchio continente al centro dei mutamenti del Mediterraneo, per rimediare al disastro portato avanti da USA e Nato in un’area che oggi rischia di cadere definitivamente in balìa di visioni pre-moderne della società.

Immagine tratta da www.thesocialpost.it

Ultima modifica il Mercoledì, 06 Agosto 2014 00:04
Furyo

“È stato come se Celliers con la sua morte piantasse un seme dentro Yonoi, che noi tutti potremo far crescere”

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