Il mondo (leggi gli Stati Uniti), impegnato nel gridare al fondamentalista che non vuole la pace e non rispetta i diritti degli altri diversi da sé vedendo Hamas lanciare razzi Qassam in risposta ai raid israeliani, si è finalmente ricordato dell'Isis. Perché, diciamocelo, quando i giornali hanno riportato la notizia della nascita del Califfato in Iraq, lo hanno fatto un po' come si trattasse di una buffonata. Quasi nessuno (tolte le riviste specializzate e pochi altri quotidiani, niente dal grande impatto sull'opinione pubblica comunque) ha raccontato dell'unica resistenza che i guerriglieri dello Stato Islamico di Iraq e Siria hanno trovato, quella curda. Non si è parlato del collasso, di fatto, dell'esercito iracheno e di come il Nord del paese sia stato difeso dai peshmerga curdi.
Ma adesso il mondo si sta risvegliando. Obama si è messo all'opera per evitare di sfigurare in quello che oramai è diventato un must per qualunque presidente a stelle e strisce da vent'anni a questa parte: il bombardamento dell'Iraq. Contemporaneamente l'ex Segretario di Stato Hillary Clinton ha rilasciato a The Atlantic una lunga intervista nella quale espone (in vista delle prossime presidenziali?) la sua idea di politica estera. Ciò che ne viene fuori è che gli Stati Uniti hanno favorito la nascita dell'Isis, vedendolo come uno degli strumenti per destabilizzare lo stato siriano e per controllare quello iracheno, per poi perderne totalmente il controllo. Clinton attacca direttamente il Presidente Obama accusandolo di usare metodi troppo soft per arrivare al controllo dell'area medio orientale: i ribelli siriani avrebbero dovuto ricevere aiuti più consistenti dagli Stati Uniti (afferma esplicitamente che il pugno di ferro usato da Netanyahu nei confronti di Hamas è il modo giusto di agire nella regione).
A tutto ciò, si aggiunge una gravissima crisi politica irachena. Lo stato mai ricostruito dopo la caduta di Saddam è adesso veramente agli sgoccioli: il Presidente della Repubblica Fouad Massoum ha affidato l'incarico di formare un nuovo governo al vice presidente del parlamento, lo sciita Haider Al Abadi, scatenando così la reazione del presidente in carica, Nouri Al Maliki. Il problema vero è che, oltre a fare ricorso alla Corte Costituzionale, Maliki pare avere tutta l'intenzione di usare tutta la sua influenza sull'esercito (è a capo delle forze armate e a molti uomini fedeli all'interno) per impedire la formazione di un nuovo governo. Nuovo governo per il quale, neanche a dirlo, si sono spesi anche gli Stati Uniti.
Ora, mettendo insieme tutti i pezzetti di questa panoramica abbastanza superficiale, possiamo esclamare tutta una serie di “amarcord”. Per l'ennesima volta uno stato si ritrova sull'orlo del collasso dopo l'intervento e la “ricostruzione” USA: l'idea di affidare il governo di un paese a maggioranza sunnita, dove varie minoranza convivevano, ad uno sciita che, troppo preso dall'attività di tessitura di una fitta rete clientelare, niente ha fatto per creare un governo realmente condiviso nel quale potessero riconoscersi tutti gli iracheni (anche all'ultima tornata elettorale, quella della scorsa primavera Maliki aveva conquistato solo 92 seggi su 328, addentrandosi così nella formazione di un governo senza avere la maggioranza assoluta del parlamento).
Ancora una volta, come accadde con i tagiki in Afghanistan, gli Stati Uniti hanno puntato tutto su una delle componenti della società irachena per la sconfitta dell'Isis: i curdi. È infatti iniziato un intensivo trasferimento di armi ed aiuti ai peshmerga da parte degli USA e dell'esercito iracheno. Lo stesso esercito che, reso inoperativo da diserzioni e inefficienza, ha delegato la difesa del paese ai guerriglieri del nord. Quali saranno i conti da fare a guerra finita, non si tiene in considerazione: che diremo alla migliaia di persone appartenenti alle minoranza che hanno perso cari e che sono state costrette a scappare? Si parlerà di indipendenza del kurdistan iracheno (da notare che John Kerry, attuale Segretario di Stato americano pochi giorni prima dell'escalation militare contro l'Isil si è recato in viaggio nel Kurdistan iracheno per assicurarsi che il rifornimento di petrolio dalla zona continuasse senza intoppi)? Oppure la necessità di mantenere in piedi uno stato fantoccio come l'Iraq odierno avrà la meglio?
Resta comunque il fatto, innegabile, che sia difficile che la conclusione di una guerra del genere possa avvenire continuando a seguire coloro che l'hanno scatenata.
Immagine tratta da: www.nbcnews.com