Da quel momento Compaoré ha mantenuto ben saldo tra le sue mani il potere: da una parte un’operazione mediatica che ha tentato di fare di un presidente autoritario un uomo saggio super partes in grado di evitare che il paese sprofondasse nel caos, dall’altra accordi con le multinazionali francesi a cui ha svenduto le risorse naturale del Burkina, assicurandosi anche così la compiacenza di Unione Europea e Stati Uniti.
Negli ultimi giorni per Compaoré le cose si sono messe male. L'arrivo in Parlamento per la votazione della proposta di emendare l’articolo 37 della Costituzione così da poter permettere la rielezione sua rielezione (in netta violazione con la Carta dell’Unione Africana, tra le altre cose) ha costituito la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E il vaso è traboccato portando per le strade della capitale Ouagadougou migliaia di persone stanche di vedere la democrazia messa da una parte. Ci sono stati forti scontri con le forze dell’ordine (si parla di circa 30 morti e 100 feriti), i manifestanti hanno assediato il Parlamento ed occupato la sede della televisione di stato.
Inizialmente Compaoré è stato dato per scomparso ma nel giro di qualche ora è tornato a parlare alla popolazione riconoscendo la maturazione dei tempi per un cambio radicale in Burkina Faso (!) e proponendo una transizione lieve della durata di un anno. Come prevedibile la proposta non ha placato la rabbia dei manifestanti, consci del fatto che la possibilità di riscatto del paese passa dal riuscire a non lasciare spazio di manovra a chi lo ha soggiogato per decenni. Alla protesta si è unita una parte dell’esercito, che è scesa in piazza accanto ai manifestanti. Proprio in queste ore si attende di vedere quali saranno i prossimi passi: è evidente che la transizione sarà gestita dall’esercito. Altrettanto evidente è che ci sarebbe una grossa differenza tra l’instaurazione di una giunta militare e, come hanno proposto parte dei manifestanti, il richiamo dalla pensione del generale Kouame Lougue, silurato nel 2003 perché a Compaoré ricordava troppo il primo presidente burkinabé Sankara.
Già si è cominciato a parlare di una “primavera nera” per il Burkina Faso. A parte il fatto che forse rimando alle rivolte del Maghreb del 2011 non è l’auspicio migliore per un paese congelato da quasi un trentennio di dittatura, forse la cosa migliore da fare è provare a gettare uno sguardo indietro e vedere dove l’opera riformatrice di Sankara è stata interrotta. Un’opera di grande portata politica, che puntava a fare dei paesi africani non più i residui delle colonie europee che, per interessi di pochi, non sono mai riusciti a tagliare il cordone ombelicale col vecchio continente ma piuttosto degli stati indipendenti e laici, dove principi come quelli di giustizia sociale, uguaglianza e secolarismo potevano essere le basi per lo sviluppo del continente africano.
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